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Luigi Broglio e il ”Progetto San Marco”

Italia terzo Paese dopo Unione Sovietica e Stati Uniti a lanciare in orbita un satellite

Raffaele Panico

Correva l’anno 1964, 15 dicembre, dal poligono spaziale americano di Wallops Island, un sottile razzo vettore Scout mette in orbita il satellite italiano “San Marco 1”.
Il lancio fa dell’Italia il terzo Paese al mondo (dopo Unione Sovietica e Stati Uniti) a mettere in orbita un satellite attorno alla Terra. Artefice di quel ”Progetto San Marco” che ci fece conquistare quel primato fu il professor Luigi Broglio, un italiano di grande levatura scientifica e morale che, anche se oggi sconosciuto ai più, è da tutti gli addetti ai lavori considerato come l’iniziatore dell’astronautica italiana.

Nato a Mestre il 6 novembre 1911 e morto a Roma il 14 gennaio 2001 a Roma il “padre” indiscusso e solitario dello spazio in Italia (sei satelliti nazionali lanciati) è stato ricordato in un libro “Nella nebbia, in attesa del Sole. Breve storia di Luigi Broglio, padre dell’astronautica italiana” (Di Renzo Editore) scritto da Giorgio Di Bernardo Nicolai, un giornalista scientifico particolarmente esperto del settore spaziale.
Personaggio schivo, Broglio non volle mai scrivere una autobiografia e solo poco prima della sua morte accettò di raccontare la sua vita. Quella di Broglio è stata una “avventura” che non ha eguali nel mondo dello spazio e che è stata negata anche a personaggi del calibro di Von Braun, messo in disparte dopo il trionfo della Luna e ha finito i suoi ultimi giorni molto amareggiato per la rinuncia americana alla conquista di Marte.
Broglio è stato fino all’età di 82 anni l’uomo senza il quale non si prendevano decisioni nel poligono di lancio spaziale San Marco, nato anch’esso dalla sua intuizione, installato al largo del Kenya a cavalcioni dell’Equatore (la migliore posizione per il lancio di satelliti).

                 

 

                           

Un poligono creato nel ’64, a soli tre anni dal lancio di Gagarin, e fatto funzionare con materiali dismessi dalla Nasa o fuori norma dell’Aeronautica Militare Italiana, su due vecchi pontoni donati dall’Agip e dalla Marina Usa. Con razzi Scout che solo Broglio è riuscito a farsi dare in omaggio dagli Stati Uniti. Imponente di corporatura, capelli cortissimi, spessi occhiali neri, Broglio era il professore o il generale (del genio aeronautico) secondo le circostanze. Veneziano di terra (era nato a Mestre), cattolico praticante aveva battezzato le due piattaforme del poligono Santa Rita e San Marco (quella da cui partivano i razzi). Soprattutto era dotato di una fede-cocciutaggine che niente è riuscito a scalfire anche dopo anni di inattività del poligono.
Per anni gli aveva fatto da efficientissima segretaria la madre più che ottuagenaria. Broglio inaugurò gli studi spaziali in Italia già dagli anni ’50. Sull’onda di quanto sapeva che avveniva all’estero, appena dopo la guerra, mentre era docente nella facoltà di ingegneria dell’Università di Roma, aveva fatto per primo in Italia esperimenti di propulsione spaziale.
Il primo esperimento provocò una esplosione del motore che fece crollare il tetto del capannone del laboratorio e fece accorrere la polizia che temeva un attentato dinamitardo. Un paio d’anni dopo quell’episodio, l’Università di Roma istituì la prima cattedra in Italia di ingegneria aerospaziale e Broglio ne divenne il direttore. Tornando alle due isolette di ferro del poligono al largo di Malindi, irte di antenne per inseguire i razzi al lancio, e al campo base a Ungama Bay, Malindi, per tenere sotto controllo i satelliti in orbita, questi suggerivano l’immagine di un mondo che si sentiva assediato dalle incomprensioni ufficiali italiane in fatto di finanziamenti e di controlli.
A questa comunità di ricercatori dell’Università di Roma e di uomini dell’ Aeronautica Militare, bastava essere capitanati da Broglio e sapere che la Nasa continuava ad inserire il San Marco nei suoi programmi di lancio anche se a lunghi intervalli.
Certo anche i suoi ultimi anni non sono stati felicissimi per le lungaggini normali o “artificiali” che hanno vanificato il suo progetto (del 1977) per realizzare un razzo vettore Scout potenziato con parti italiane. L’obiettivo era arrivare poi ad un razzo tutto italiano in grado di lanciare piccoli satelliti da 800 kg in orbita equatoriale, a costi contenuti. Il Cipe aveva concesso 90 miliardi per il 1990-92, ma fu fatto passare tanto tempo che la Nasa mandò nel frattempo in pensione lo Scout.
Le sue proposte vennero bocciate dall’allora vertice dell’Agenzia Spaziale Italiana, che anzi decise un ridimensionamento di tutto il progetto San Marco; ciò lo convinse, nel luglio 1993, a dimettersi dal Consiglio di amministrazione dell’Asi.
Fu probabilmente anche il suo carattere esclusivista a non facilitare il tentativo che voleva assicurare alla base San Marco un avvenire meno precario di quello che ha avuto, cioè fare del poligono una base europea per il lancio di piccoli satelliti scientifici o applicativi non solo per le nazioni africane. Il gruppo di lancio di Broglio è stato certamente il gruppo di “spaziali” più carichi di entusiasmo, che il prestigio del “professore” ha tenuto in pugno. E con che risultati. Gli uomini di Broglio (non pochi dei quali furono in “cattedra” o in posti di responsabilità all’Agenzia spaziale italiana o nelle industrie) hanno l’invidiabile primato mondiale di non aver sbagliato un lancio di satellite (11) o di razzo sonda in 25 anni.
Sono sei i satelliti scientifici San Marco lanciati fra il dicembre 1964 (primo satellite italiano) e il marzo ’88; quattro satelliti astronomici americani (almeno uno entrato nella storia per aver individuato la prima sorgente extragalattica di raggi x che ha fatto nascere una nuova astronomia) lanciati fra il dicembre ’70 e il maggio ’75, e un satellite scientifico inglese lanciato nell’ottobre ’74. L’anno d’oro, il 1970-71 con tre satelliti lanciati in 11 mesi.
Ora la base, per quanto riguarda i lanci, è inattiva da quasi 20 anni (l’ultimo lancio, quello del satellite San Marco-5 è avvenuto nel 1988) e funziona solo come base di controllo e ricezione dati di satelliti in orbita e per la telemetria dei vettori Ariane lanciati dalla base di Kourou dell’Agenzia spaziale europea. Solo a Broglio gli americani hanno affidato propri satelliti per il lancio. Solo a Broglio l’Aeronautica Militare americana, ha offerto grado e compiti da generale.
Il primo accordo di collaborazione spaziale fra la Nasa americana e l’Italia (firmato dal vice presidente Johnson nel settembre ’62) si riferisce proprio ai lanci dei satelliti San Marco e dal poligono San Marco. Broglio era molto ben voluto e stimato dai responsabili della Nasa, con i quali ebbe una collaborazione ultradecennale che consentì all’Italia rapporti da protagonista e non da semplice interlocutore o questuante di tecnologie. Una collaborazione diretta che dura ancora oggi, con la collaborazione italiana alla costruzione della Stazione Spaziale Internazionale.
I satelliti San Marco, con l’ingegnosa “bilancia Broglio” (due gusci collegati ad un sistema di molle e di sensori di registrazione che rilevavano gli urti delle particelle della bassa atmosfera equatoriale), venivano quasi fatti nel “retrobottega”, al Centro ricerche aerospaziali dell’Università di Roma, semplici strutture all’aeroporto dell’Urbe. Nella loro concezione e realizzazione Broglio ha tenuto sempre lontane il più possibile le industrie e anche questo non lo fece molto benvolere.
Broglio fu inoltre un precursore anche nella utilizzazione dei piccoli satelliti in orbita bassa per utilizzazioni come telerilevamento, telecomunicazioni, controllo ambientale, ricerche scientifiche.

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