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L’Uomo senza Platea: un soggetto molto molto diffuso

Un romanzo che fa esaminare se stessi

L’autore di questo libro, l‘Uomo senza Platea, edito da Edizionicroce, Ernesto Marzano, è un VIP: è stato Dirigente, Banchiere, Direttore, Amministratore Delegato delle maggiori industrie italiane del ferro e dell’acciaio. E’ stato un uomo la cui intuizione professionale ha concesso di spaziare in ogni dove, di fare moltissime cose, di godersi la vita con lo stesso senso un poco malinconico dell’avventura di un Hemingway e la stessa libertà di Kon-tiki.

Lo stile lo dichiara: è passato, più che ha vissuto, come una folgore fra amori, famiglia, attività, lasciando indelebili tracce su agili ed articolate imprese, affrontando gli anni della ripresa economica dell’Italia del ‘boom‘. Infatti la penna gli si precipita, non scorre, sulla carta, ma è una penna egregia, ferace, l’incisività della quale denota un certo distacco, come lo sguardo di un uomo che è superiore a ciò che vede, a ciò che incontra. Anche il racconto presenta una cesura: dopo il vissuto, suddiviso in normali capitoli, si spezza nella raccolta di una serie di lettere-diario composte da una personalità diversa, vale a dire quella del figlio. Il padre la ospita nel volume per uno scopo: evidenziare le condizioni dei dializzati per indurre l’attenzione di ogni specie, da quella assistenziale a quella meramente dialogica. Ed a questo punto emerge un velo di tristezza che sembra appartenere ad un possibile senso di colpa, poichè il genio che racconta, Ernesto Marzano, si sente colpevole della disgrazia del figlio Carlo, procuratagli dalle sue scorribande all’ansiosa ricerca di un sè-superuomo, vertice di un cumulo infinito di ammirazioni diffuse in vari campi: lavorativo, affaristico, commerciale, economico, sessuale, ora tutte inutili, platea del protagonista.

Come Qoelet della Bibbia, che ride piange e cresce sulla moltitudine, Marzano subisce una svolta pesante nel suo eterno gareggiare con la visione del sè, che egli considera non più che un mezzo e che per questo ben presto gli chiede il conto, incalcolabile. E’ colui che salva imprese ed industrie del calibro della Finsider, del Fondo del Banco di Roma, del Gruppo Falck, ponendosi al primo posto come un capobranco, è il maschio tremendo che spazza via ogni donna e domina la loro estasi, ma è anche la sua rovina assoluta: la moglie lo lascia, i figli lo lasciano per le sue performances sessuali con chicchessia e dunque perde il focolare che non ha saputo discernere per lui vitale, ed infine si ritrova solo, passa per un tentato suicidio ed una cura psichiatrica.

Rifugiatosi al paese natio, accetta il microcosmo locale con dolore; in esso fa freddo, è tutto freddo come lo è lui: l’idea dell’equivalenza ambientale con il vuoto del suo spirito non lasciano l’intenzione a ripetere l’eliminazione personale e immergersi nel gelo una volta e per tutte.

Il libro fa pensare, dopo la distrazione curiosa di tante prove andate ad ottimo fine, e fra le frasi ricche ed ornate, spese senza generosità ma con verismo, che spesso il consiglio di un giornalista encomiabile, Fabrizio Federici, placa nella normalità del vivere . Questo libro è uno squarciarsi senza remissione e senza ritorno per ciò che si è perso da VIP prevaricatore : l’umanità. E’ anche un riconoscere che numerosi soggetti vicini o lontani sono uguali al protagonista e si scuote la testa per essi, disperati o non coscienti loro come impossibilitato al soccorso chi legge.

Marilù Giannone