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Marx-Proudhon: la vecchia polemica, ritornata in auge nel 1978, tra Craxi e Berlinguer oggi è solo “archeologia politica”

Il MANIFESTO E I MANIFESTI ! Cosa è rimasto in Europa della tradizione tanto marxista e socialista delle lotte operaie, quanto dei manifesti delle Avanguardie: una fra tutte?

“I FUTURISTI ITALIANI” !

Una via italiana al socialismo non marxista in Europa non ha avuto mai fortuna; dallo scritto del 1978 uscito sull’Espresso di Bettino Craxi che polemizzava in risposta a Berlinguer sul leninismo; il paradigma era presente già inizio secolo in una rivista di Giovanni Papini degli anni Dieci del ‘900, dove presentava un lungo articolo sul tema del socialismo in chiave non marxista ma di origine decisamente europea occidentale. In copertina la foto di un articolo uscito pochi giorni prima delle elezioni del 18 aprile 1948, parte di un Archivio ancora tutto da sistematizzare

  Raffaele Panico

Nel 1848 Carlo Marx pubblicava il Manifesto dei comunisti, il famoso documento a cui dovevano ispirarsi, per quasi centoquaranta anni, almeno fino al 1989, intellettuali, attivisti, circoli politici, letterari, artisti e formazioni politiche e corpi sociali. In principio una vasta schiera di adepti si dichiaravano anche “discepoli” per riconoscersi tra loro e confondersi nella moltitudine: la famigerata polizia zarista li avrebbe ristretti nelle patrie galere prima della rivoluzione d’Ottobre in Russia.

La produzione di idee – i circoli di pensiero e le relative scuole filosofiche, politiche e di partito, dalla primogenitura alla caduta dei regimi dell’Est Europa – non ha visto solo semplici slogan. Oggi, il recupero del valore etico e sociale che è stato indubbiamente enorme, come categoria del pensiero politico dei movimenti di lotta dove sta, nascondendosi? La genesi del Manifesto nasce come sappiamo dal confronto serrato tra le idee di Carlo Marx e del grande sociologo e pensatore francese Pierre J. Proudhon. Il francese è l’autore di concezioni socialiste in Europa occidentale, idee meno conosciute rispetto a quelle di Marx.

In Italia ricordiamo un tempo, erano gli anni Settanta, e per così dire – passiamo in rassegna, la cosiddetta “Polemica agostata” di Bettino Craxi; era esattamente il 27 agosto 1978. Sul settimanale l’Espresso apparve un lungo articolo di Craxi, dal titolo: Il Vangelo socialista. È la risposta socialista ad una intervista di Enrico Berlinguer sul leninismo. È un confronto serrato tra il Psi e il Pci; da due anni il segretario era Bettino Craxi, e le polemiche sfociarono in un duello politico tra comunisti e socialisti. È anche l’inizio di una divisione a sinistra, mai più ricomposta. Berlinguer, cui Craxi risponde, è alla luce di questi giorni, l’ultimo grande vero “campione” della sinistra italiana.

Ed appare un duello politico e intellettuale a mezzo stampa, nel quale Craxi come socialista, in quel tempo rispondeva a Berlinguer che riprese nell’intervista a lui fatta da Eugenio Scalfari su La Repubblica, la figura carismatica di Lenin. Il socialista italiano “rispolvera” la figura di Pierre-Joseph Proudhon. Ecco, oggi una seria efficace classe politica dovrebbe ritornare sulla genesi di tutta questa vicenda: del socialismo in senso ampio; i manifesti e le idee politiche ed anche le avanguardie politicizzate, estetiche ed artistiche.

La Genesi

Nel 1846 Proudhon aveva pubblicato a Parigi un trattato che portava il suggestivo titolo di “Sistema delle contraddizioni sociali” e “Filosofia della miseria”, una tra le opere le più brillanti dello scrittore politico dell’800. Il libro è frutto di un pensatore fervido ed eclettico. Proudhon ha anche il coraggio di superare la scuola socialista classica, e in aspetto contraddittorio, si riallaccia decisamente alle correnti liberiste, alle teorie di Rousseau e di Adamo Smith. Spera in un affrancamento dell’uomo dalla servitù e dalla disuguaglianza per attuare anche sul piano economico i principi che sul terreno politico si erano visti propagati dalla Rivoluzione francese.

Proudhon lancia i suoi “dardi” con violenza contro i monopoli e le imposte e contro tutte le forme di sfruttamento del lavoro. Su Malthus, che vuole la miseria come dovuta ad un esagerato accrescimento della popolazione sui limiti imposti all’ambiente, sostiene che quella dottrina inaridisce lo slancio verso le attività produttive lavorative dell’uomo, il quale secondo i suoi principi invece è il pungolo e il fondamento del valore e della ricchezza vera. Ossia, l’uomo è ad un tempo, produttore e padre di famiglia, nell’insieme è l’unità produttiva e riproduttiva con sua moglie, lavoratore e marito. Rispose Carlo Marx, l’anno dopo, con la sua “Miseria della Filosofia”, che è una forte condanna al libro di Proudhon.

Marx si distacca completamente da lui che, pur in un primo tempo, l’aveva considerato suo maestro, e sottopone le sue dottrine ad una critica severa e violenta. Accusa Proudhon essere un “borghese insignificante”, incerto, oscillante e contraddittorio tra il Capitale ed il Lavoro, tra economia politica classica ed il comunismo, e quindi di “non essere affatto socialista”.

Proudhon mostra in realtà un lato debole, presenta cioè i suoi argomenti in parte contraddittori, sostenendosi continuamente con tesi ed antitesi e non sempre trova una felice sintesi nel suo discorrere. Marx, quindi, si era accanito su Proudhon; autodidatta questi, freddo ed anche cinico il primo, pronto a cogliere e battere in risposta i paradossi dello scrittore politico francese. Ebbe il vantaggio di rispondergli e riuscì con più freddezza logica ad imporsi nel “duello” e finì col forgiarsi la “taglia” di capo assoluto del “socialismo scientifico”. Il duello Proudhon-Marx annuncia in un certo senso storico, quello tra la Civilisation francese e la Kultur germanica. Duello o battaglia questa tra la Civilisation francese e la Kultur germanica sfociata nel conflitto armato iniziato nel 1914 che ha visto svanire il dominio europeo per lasciar il posto, dopo la guerra dei Trent’anni 1914-45, allo spazio geostrategico Euroasiatico da un lato ed Euroatlantico dall’altro, o se si vuole, al confronto tra capitalismo di mercato e capitalismo di Stato: confronto tra Usa e URSS e i loro Stati satelliti europei annessi. La dottrina sul valore economico del francese è formulata in maniera meno scientifica di quella di Marx, ma presenta lati più umani, più cuore che cervello dell’uomo, e palpita di vita che si estrania nelle teorie marxiste. Ma la strada è oramai aperta per il Manifesto dei Comunisti.

Il francese non partiva dalla lotta di classe ma dall’eguaglianza e dalle pari opportunità, e non vuole la soppressione della proprietà, ma la “universalizzazione della proprietà”. E intende precisare nel 1849, all’indomani della pubblicazione del Manifesto di Marx: “Noi vogliamo […] che ognuno abbia una sua proprietà”. Quindi i soli mezzi di lavoro, secondo Proudhon, dovrebbero essere liberi ed accessibili a tutti, individualismo e rispetto della proprietà in Proudhon, contro il collettivismo della scuola marxista.

Forse contraddittorio certamente nello svolgimento della dottrina e del pensiero Proudhon, ma incertezze ed oscillazioni dovute più alla verifica pratica, graduale e sperimentale e, quindi, costruttiva rispetto a Marx, e alla sua assoluta certezza dogmatica del comunismo. Nuove professioni del resto lentamente si sarebbero delineate nella società moderna industriale, sempre di più articolata e complessa e sempre di meno divisa per classi sociali contrapposte nella “lotta di classe”. Ideale collaborazione tra le classi sociali, in senso anche sinergico e dignitoso erano già in essere in Europa occidentale, rispetto alla Russia degli Zar, dove non a caso la sterile e dannosa lotta di classe di Marx realizzerà l’opera fattuale del comunismo. Storia dell’uomo ridotta ad urto di forze economiche senza speranza negli ideali superati dal dogma. Il lavoro non è elevazione continua nel Bello filosofico ma redenzione materiale che si avrà solo a lotta di classe terminata con l’atto violento della sostituzione di una classe su tutte le altre. La fine della collaborazione anche sperimentale di quella coesistenza tra classi che, a ben vedere, dovrà diventare poi indispensabile alla modernizzazione delle società evolute.

In effetti il pensiero di Proudhon ha vinto nel tempo, sul lungo periodo rispetto al pensiero di Marx, ma il danno nella storia dell’umanità, e al suo ambiente, è stato notevole dove, le sue teorie marxiste, hanno prevalso nella storia del socialismo quasi ovunque, eccetto singole e particolari comunità sparse nel tempo e nello spazio, nel globo intero. Il socialismo si è identificato parimenti col marxismo, mentre visioni socialiste non marxiste, o antimarxiste erano da sempre presenti, si pensi anche alla scuola degli scrittori economici e politici napoletani del Settecento, troppo dimenticati qui in Italia e riscoperti negli anni ’50 da Joseph Schumpeter.
Si preferiva ancora il dramma di uno scontro, anziché il paziente lavoro graduale e sperimentale, nonostante tutta la modernizzazione dell’uomo e del suo lavoro. Da miopi e ottusi spettatori, non critici, ecco che lo si preferisce ancora oggi. Sembra assolutamente sì e lo si osserva, e lo vediamo, nei regimi del “connubio incarnato”, dalla in fondo in fondo anche “simpatica” Corea del Nord o dal gigantismo della Repubblica popolare cinese colosso affetto dalla sindrome dell’elefantiasi di un organismo dualistico capitalista-comunista.

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