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Matteo Messina Denaro arrestato dopo 30 anni di latitanza

Matteo Messina Denaro, il super boss di mafia latitante da 30 anni, è stato arrestato senza opporre resistenza dai carabinieri del Ros fuori dalla clinica privata “La Maddalena” di Palermo, dove si trovava sotto falso nome (Andrea Bonafede è il nome sul documento che aveva presentato nella struttura) per sottoporsi a cure, in quanto malato di tumore. Messina Denaro era stato infatti operato un anno fa e doveva seguire una terapia.

Condannato all’ergastolo per decine di omicidi, tra i quali quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito strangolato e sciolto nell’acido dopo quasi due anni di prigionia, per le stragi del ’92, costate la vita ai giudici Falcone e Borsellino, e per gli attentati del ’93 a Milano, Firenze e Roma.

Mancava solo Messina Denaro alla lista dei latitanti di lungo tempo (e più pericolosi) a cui lo Stato dava la caccia. Per il suo arresto, negli anni, sono stati impegnati centinaia di uomini delle forze dell’ordine. La cattura ha messo fine alla sua fuga decennale. Una latitanza record come quella dei suoi fedeli alleati Totò Riina, sfuggito alle manette per 23 anni, e Bernando Provenzano, riuscito a evitare la galera per 38 anni.

La certezza che si sarebbe recato nella clinica “La Maddalena” era arrivata tre giorni prima. I magistrati, il procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e il procuratore aggiunto Paolo Guido, che seguivano da tempo la pista hanno quindi autorizzato il blitz cha ha portato alla cattura del superboss di Cosa Nostra.

Il pluricercato era all’ingresso, mentre la clinica veniva circondata dai militari con il volto coperto. Quando un carabiniere gli si è avvicinato chiedendogli come si chiamasse, il capomafia ha risposto: «Sono Matteo Messina Denaro». Avrebbe cercato di allontanarsi alla vista dei militari dell’Arma, ma non c’è riuscito. «Bravi, bravi!», le urla di incoraggiamento e applausi nei confronti dei carabinieri del Ros, da parte di decine di pazienti e loro familiari, che hanno accompagnato l’arresto del superlatitante.

Niente manette, un cappellino di lana bicolore occhiali e soprattutto a testa bassa. Così è apparso al momento dell’arresto, in cura da circa un anno per un tumore alla clinica “La Maddalena” di Palermo, dove si era presentato con il falso nome di Andrea Bonafede. Secondo quanto si è appreso, doveva sottoporsi a un ciclo di chemioterapia. È stato caricato a bordo di un van scuro accompagnato dai carabinieri del Ros e del Gis in direzione della caserma “San Lorenzo”.

In qualsiasi parte del Globo viene data in queste ore come breaking news l’arresto di Matteo Messina Denaro. Dal Guardian alla Bbc, dalla Cnn al Pais e a Le Monde, passando per al Jazeera. I siti internazionali dei principali giornali e televisioni ne danno ampio risalto e in molti casi le dedicano l’apertura. Tutti sottolineano che Messina Denaro era “il boss mafioso più ricercato d’Italia e che è stato arrestato dopo 30 anni di latitanza”.

Ad anticipare quella che sarebbe stata la sua vita da latitante e la sua vita da Primula Rossa fu una lettera scritta alla fidanzata dell’epoca, Angela come ricorda l’Agenzia Ansa, dopo le stragi mafiose di Roma, Milano e Firenze: “Sentirai parlare di me” – le scrisse, facendo intendere di essere a conoscenza che di lì a poco il suo nome sarebbe stato associato a gravi fatti di sangue – “mi dipingeranno come un diavolo, ma sono tutte falsità”.

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha telefonato al ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, e al comandante dell’Arma dei Carabinieri, Teo Luzi, per esprimere le sue congratulazioni per l’arresto di Messina Denaro, realizzato in stretto raccordo con la magistratura. Per il presidente del Consiglio «una grande vittoria dello Stato che dimostra di non arrendersi di fronte alla mafia», il commento di Giorgia Meloni appena giunta a Palermo. Per il Guardasigilli Carlo Nordio: «Chiusa stagione più drammatica Repubblica».

Dopo l’arresto del boss di Cosa nostra sono quattro i nomi rimasti nell’elenco dei latitanti di massima pericolosità facenti parte del “programma speciale di ricerca” del gruppo Interforze. È ricercato al 1997 Attilio Cubeddu, esponente dell’Anonima sequestri. Nato il 2 marzo 1947 ad Arzana (Nuoro), è irrintracciabile dopo non essere tornato, al termine di un permesso, nella Casa Circondariale dove era recluso.

Detenuto per sequestro di persona, omicidio e lesioni gravissime, partecipò nel 1981 al sequestro Peruzzi, in Toscana. E nel 1983 ai sequestri Rangoni Machiavelli e Bauer in Emilia-Romagna, poi si diede alla latitanza. Arrestato nel 1984 a Riccione, fu condannato a 30 anni di carcere. Dopo la fuga e l’inizio della nuova latitanza nel 1997, fu coinvolto nel sequestro di Giuseppe Soffiantini, per il quale è stato condannato a 30 anni. E sospettato – ma mai formalmente incriminato – per il sequestro di Silvia Melis, rapita a Tortolì, in Ogliastra, sempre nel 1997.

Dal 1998 è ricercato in campo internazionale, anche se all’epoca emerse l’ipotesi che Cubeddu fosse morto, forse ucciso dal complice Giovanni Farina che non voleva dividere il denaro del riscatto del sequestro Soffiantini. Tuttavia nel 2012 sono state riaperte le indagini: il procuratore Domenico Fiordalisi ritiene che si nasconda nel territorio dell’Ogliastra.

Altro nome nella lista dei ricercati è Giovanni Motisi, membro di Cosa nostra e capo dell’omonimo clan Motisi. Nato il 1° gennaio 1959 a Palermo, è latitante dal 1998. Sempre dal 1998 è ricercato per omicidio, dal 2001 per associazione di tipo mafioso e dal 2002 per strage. Le ricerca in campo internazionale, per arresto ai fini estradizionali, sono state avviate il 10 dicembre 1999.

Killer di fiducia di Totò Riina, secondo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Calogero Ganci Motisi era presente nel momento in cui Cosa nostra discusse dell’omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Condannato all’ergastolo per l’omicidio del commissario Giuseppe Montana, ucciso il 28 luglio 1985, è anche nella lista dei criminali più ricercati d’Europa dell’Europol.

È latitante dal 2002 Renato Cinquegranella, esponente della camorra. Nato il 15 maggio 1949 a Napoli, è ricercato dal 2002 per associazione a delinquere di tipo mafioso, concorso in omicidio, detenzione e porto illegale di armi ed estorsione. Cinquegranella è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Giacomo Frattini, giovane affiliato della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Frattini fu torturato, ucciso e fatto a pezzi, il 21 gennaio 1982, per vendicare l’omicidio in carcere di un fedelissimo dell’allora boss di Secondigliano, Aniello La Monica.

Il quarto della lista è Pasquale Bonavota, esponente di spicco della ‘ndrangheta di Sant’Onofrio. Nato il 10 gennaio 1974 a Vibo Valentia, è ricercato dal 2018 per associazione di tipo mafiosoe omicidio aggravato in concorso. Condannato all’ergastolo nel processo scaturito dall’operazione “Conquista”, Bonavota è sparito qualche ora prima dell’esecuzione dell’ordine di carcerazione disposto dall’autorità giudiziaria dopo la condanna emessa in primo grado.

Giorgia Iacuele