Skip to main content

Messina Denaro non partecipa al processo contro di lui, Anche la sorella finisce in manette perlo aiutato nella latitanza

L’ex capomafia di Castelvetrano Matteo Messina Denaro, detenuto al 41bis presso il carcere di massima sicurezza dell’Aquila, dopo una lunghissima latitanza iniziata nel 1993 per le stragi di Falcone e Borsellino, l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio di un ex pentito e i fatti di Roma, Firenze, ha rinunciato al collegamento in videoconferenza con l’aula bunker del carcere Malaspina di Caltanissetta, nell’ambito del processo che lo vede imputato come mandante delle stragi che videro coinvolti i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino tra il maggio e il luglio 1992.

Lorenza Guttadauro, nipote e legale rappresentante di Messina Denaro ha contestualmente fatto pervenire la richiesta di rinvio dell’udienza, tramite il collaboratore, l’avvocato Salvatore Baglio. Questa è stata fissata dal giudice al 9 marzo.

La comunicazione della rinuncia del latitante è arrivata tramite la presidente della Corte d’Assise d’appello, Maria Carmela Giannazzo. Questa decisione, per Antonino Patti, procuratore generale di Caltanissetta, è riconducibile al precario stato di salute dell’ex boss.

Presente invece nell’aula del carcere Pagliarelli di Palermo, Giovanni Luppino imprenditore, fino ad oggi incensurato, nel settore delle olive e suo uomo di fiducia che lo accompagnava alla clinica “La Maddalena” dove riceveva le cure chemioterapiche per il tumore.

«Non sapevo che fosse Matteo Messina Denaro» dichiara tramite il suo legale, l’avvocato Giuseppe Ferro, aggiungendo che «solo un pazzo poteva accompagnarlo».

I carabinieri del Ros nel corso delle indagini hanno posto sotto sequestro l’abitazione della madre del vero Andrea Bonafede, il geometra prestanome di Denaro, indagato per associazione mafiosa e favoreggiamento che secondo gli inquirenti avrebbe ricevuto 20 mila euro per acquistare a suo nome l’appartamento di Campobello di Mazara utilizzato come nascondiglio fino all’arresto, in cui gli investigatori hanno trovato numerosi oggetti di lusso ma nessun documento o arma. Stessa cosa per il secondo nascondiglio nel centro del paesino trovato nelle scorse ore.

Il premier Giorgia Meloni  ha commentato la notizia come «Una vittoria dello Stato che dimostra di non arrendersi di fronte alle mafie. I miei più vivi ringraziamenti, assieme a quelli di tutto il Governo, vanno alle forze di polizia, e in particolare al Ros dei Carabinieri, alla Procura nazionale antimafia e alla Procura di Palermo per la cattura dell’esponente più significativo della criminalità mafiosa».

È finita in manette con l’accusa di associazione mafiosa anche Rosalia Messina Denaro, detta Rosetta, la maggiore delle quattro sorelle del superboss e ormai ex superlatitante Matteo Messina Denaro e madre di Lorenza Gattadauro, nipote e legale del boss. A disporre la misura cautelare nei confronti della donna è il giudice di Palermo Alfredo Montalto. A condurre l’operazione gli uomini del Ros, i carabinieri del Comando provinciale di Trapani e lo squadrone eliportato dei Cacciatori di Sicilia. Eseguite decine di perquisizioni nella provincia trapanese.

Arrestata questa mattina nella storica abitazione di famiglia, in via Alberto Mario, la donna 68enne che non è una semplice parente ma, secondo le indagini coordinate dal procuratore Maurizio de Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido, è una donna d’onore con strettissimi legami in Cosa Nostra.

Rosalia Messina Denaro gestiva per il fratello la cassa della famiglia, custodiva i segreti del boss oltre a essere considerata un punto di riferimento nella gestione dei pizzini, i biglietti contenenti informazioni e ordini che consentono ai mafiosi di gestire i propri affari durante la latitanza, o dal carcere.

Il marito Filippo Guttadauro, boss palermitano della famiglia di Brancaccio e postino di Bernardo Provenzavo, e il secondo figlio della donna, Francesco, nipote favorito del padrino trapanese, sono tutt’ora in carcere con la medesima accusa di associazione di stampo mafioso.

È proprio grazie al ruolo della donna che è stato possibile arrivare a Matteo Messina Denaro. Il 6 dicembre scorso, i carabinieri del Ros scoprono, mentre erano impegnati nel piazzare delle microspie, un pizzino all’interno della gamba di una sedia contenente informazioni importanti sulle condizioni di salute del fratello. Proprio grazie a questo e agli audio raccolti dagli inquirenti è stato possibile arrestare, presso la clinica La Maddalena, il superboss latitante da trent’anni celatosi dietro il nome del geometra Andrea Bonafede.

Fatto importante che smentisce una volta per tutte le supposizioni per cui il boss si sarebbe consegnato spontaneamente. Ipotesi costantemente smontate dagli inquirenti che hanno parlato, fin da subito, di una chiara operazione della polizia.

Per il suo arresto, negli anni, sono stati impegnati centinaia di uomini delle forze dell’ordine. Oggi la cattura, che ha messo fine alla sua fuga decennale. Una latitanza record come quella dei suoi fedeli alleati Totò Riina, sfuggito alle manette per 23 anni, e Bernando Provenzano, riuscito a evitare la galera per 38 anni.

La certezza che si sarebbe recato nella clinica “La Maddalena” era arrivata tre giorni fa. I magistrati, il procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e il procuratore aggiunto Paolo Guido, che seguivano da tempo la pista hanno quindi autorizzato il blitz cha ha portato alla cattura del superboss di Cosa Nostra.