Il primo lo vuole ideato da una certa Suor Ughetta che decise di preparare un dolce per le sue consorelle impastando un pan dolce con uvetta, burro e canditi. Prima di infornarlo, ne segnò con una croce la sommità: l’incisione, in cottura, donò la caratteristica forma a cupola. Particolare curioso è che “Ughetta”, oltre ad essere il nome della suora, sia anche il termine in dialetto milanese usato per uvetta.

Seconda leggenda è quella di Ulivo degli Atellani. Siamo sempre a Milano, sotto il dominio di Lodovico il Moro. Il falconiere, residente vicino alla chiesa delle Grazie si innamora di Adalgisa, la figlia del locale panettiere. Per dimostrare il proprio amore, si fa assumere dal padre e si inventa il dolce panettone, facendo diventare famoso il piccolo forno. Il padre di Adalgisa quindi diede il consenso per il matrimonio ed i due giovani si poterono sposare.

Di questa leggenda esiste anche una variante, dove è un membro della famiglia che creò il pan di Natale (il figlio del condottiero Giacometto degli Atellani), innamorato sempre della di Adalgisa. La relazione tra i giovani è però osteggiata dalla nobile casata, per via delle umili origini della ragazza. In questo caso l’Atellanino si iscrive a bottega appositamente per creare il panettone, rendere il forno e la famiglia della giovane famosi e quindi degna della propria stirpe.

Ultima e più accreditata leggenda, sia per rilevanza del contesto che per i suoi risvolti quasi etimologici, è quella legata al garzone Toni. Sempre Milano e sempre ai tempi di Lodovico il Moro, questa volta siamo addirittura alla corte di Lodovico stesso. Per la cena di Natale del 1495 ci sono personaggi illustri, la tavola è imbandita, e tutto sembra procedere per il meglio. In cucina invece si sta svolgendo quello che sembra essere un dramma: il cuoco infatti ha bruciato il dolce. A quel punto il garzone Toni, con quello che c’è in cucina, impasta un pane dolce arricchendolo con uvetta e canditi e lo fece portare a tavola.

A Lodovico il Moro piacque talmente tanto che convocò il ragazzo per fargli pubblicamente i complimenti per l’audace invenzione. “E come si chiama questa… Torta, o cuoco?” E lui: “L’è il pan del Toni!” – che, tramandatosi fino a noi, ha mutato il nome in pan-et-tone. 

Queste sono tutte leggende che però un qualcosa di vero ce l’hanno; non ci sono dubbi su quando e dove il panettone sia nato, in una Milano, dominata dagli Sforza, nel tardo Quattrocento.

La prima attestazione scritta specifica e relativa a “Pani di Natale” arriva però molto più tardi, nel 1559, anno in cui il Collegio Borromeo di Pavia serve le specialità ai suoi alunni, registrando il tutto su un registro spese.

Altre note di prodotti riconducibili al panettone sono reperibili nella Storia di Milano del Pietro Verri, pubblicata per la prima volta nel 1783, che tramanda che già nel IX secolo “Il giorno del Santo Natale […] si usavano dei pani grandi; e si ponevano sulla mensa anitre e carni di maiale”.

In questo caso, la tradizione dei “pani grandi” (dei panoni e quindi panettoni) si ricollega al rito del ciocco, durante il quale, nella notte di Natale, il capofamiglia tracciava a croce tre grandi pani per poi servirli a tutti i commensali, mentre gettava nel camino un ciocco di legno.

Di questa usanza ne troviamo conferma anche in un manoscritto ambrosiano di fine Quattrocento, era rito comune ancora in casa Sforza negli anni Settanta di quel secolo: autore del manoscritto in questione, intitolato “De origine et causis caerimoniarum quae celebrantur in Nataliciis” (“Origine e cause dei riti che vengono celebrati nel periodo natalizio”) è infatti Giorgio Valagussa, al tempo precettore presso la dimora dei Duchi di Milano, che riporta il dialogo intervenuto tra lui medesimo e i figli di Francesco I; che gli chiedevano informazioni sulla cerimonia: “Panes tres magnitudine praestantes, ut scis, hic diebus conficiuntur” risponde il Valagussa, cioè “Come sapete, in questi giorni vengono preparati tre grandi pani”.

Sempre legata agli Sforza, e per la precisione a Gian Galeazzo Visconti, è invece una circostanza storica che segna in maniera rilevante l’usanza di consumare per Natale “pani speciali”, tanto che, nel 1395, venne emanato un editto comunale che permetteva anche ai forni che rifornivano le classi medie di produrre eccezionalmente, nel periodo natalizio, pani di frumento, nel resto dell’anno destinati esclusivamente all’aristocrazia. È ipotizzabile che questo speciale pane natalizio, per la sua natura lussuosa, fosse conosciuto come pan di siori o, dato appunto il suo “tono” esclusivo, come pan de ton.

È incerto quindi se a livello etimologico il lemma “panettone” derivi da una contrazione di quest’ultima locuzione, o se sia piuttosto un semplice accrescitivo relativo alle grandi dimensioni del lievitato: certo è che nel 1606 il termine risulta già consolidato, comparendo nel primo dizionario milanese-italiano (il Varon milanes de la lengua de Milan di Giovanni Capis) come Paneton de Danedaa.

La forma lessicale rimase inalterata da allora fino ad oggi, ciò che invece è stato “codificato” è il procedimento ed i relativi ingredienti: nel dizionario milanese-italiano di Francesco Cherubini, stampato per la prima volta nel 1839, il “Panatton de Nadal” è descritto come “Spe’ di pane di frumento addobbato con burro, uova, zucchero e uva passerina o sultana”.

Risale al 1853, al ricettario di Giovanni Felice Luraschi “Il Nuovo Cuoco Milanese Economico”, la prima menzione tra gli ingredienti del lievito, mentre i canditi al cedro, furono codificati un anno dopo dal “Trattato di cucina, pasticceria moderna” da Giovanni Vialardi, cuoco di casa Savoia.

La rivoluzione della forma, ed anche degli ingredienti, arriva un centinaio di anni fa con Angelo Motta, pasticciere, industriale e imprenditore di Gessate. Aumentò il numero di uova ed il contenuto di burro nell’impasto, facendo cuocere il tutto con pirottino per favorire uno sviluppo verticale anziché in larghezza (ispirato molto probabilmente dal kulič russo, dolce pasquale che preparava per la comunità ortodossa milanese; simile al panettone ma con spezie orientali)

A Motta si deve anche la prima produzione di massa, sdoganando un prodotto artigianale e democratizzandolo, ma grazie a questo il panettone è arrivato non solo in tutta Italia ma anche nel resto del mondo. 

E comunque artigianale o no, non è Natale senza il Re Panettone.

 

fonte dissapore