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SERVIZI DI PUBBLICA UTILITA’ NELL’ITALIA DELL’800

Evoluzione dei servizi di pubblica utilità nell’Italia dell’800 
il dibattito, le scienze economiche, politiche e sociali

Raffaele Panico

            Una sintesi storica dello sviluppo dei pubblici servizi in Italia consente di ritrovare le linee politiche delle correnti di pensiero economiche. Nella prima metà dell’Ottocento nell’Italia preunitaria solo la parte Nord (Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto e Terre Irredente) e l’area portuale di Napoli, sappiamo – avevano un certo sviluppo che poneva le basi per successivi sviluppi. Il resto dell’Italia rimaneva notevolmente arretrata. In Europa, l’Inghilterra svolgeva un ruolo egemone e nei paesi europei, dell’area centro-settentrionale, avanzava l’industrializzazione con l’utilizzo di combustili fossili. Duro il colpo subito dalle fiorenti industrie, anche all’avanguardia, della zona di Napoli già capitale del Sud borbonico, colpo dovuto all’introduzione della Tariffa doganale. Tariffa introdotta dai “piemontesi” con la proclamazione dell’Unità d’Italia con capitale ancora a Torino, dovuta ad un inquadramento del neocostituito Regno d’Italia dei Savoia nell’area di libero scambio capitalista anglo-franco.belga-olandese. L’economia italiana, fatta eccezione per l’area padana, continentale, scadeva ancora di più a livelli di altri paesi arretrati dell’Europa mediterranea. Solo nel 1887 l’Italia dei Savoia si scrollò di dosso la camicia di forza della Tariffa doganale voluta da Cavour, iniziando la cosiddetta guerra commerciale con la Francia. Cavour e i liberisti anglofrancesi avevano visto per l’Italia Unita una vocazione agricola, e silvo-pastorale, situazione che i francesi riproposero dopo il secondo conflitto mondiale per la Germania divisa nelle 4 aree di influenza postbellica.

Il sottosuolo italiano forniva scarse quantità di minerali e combustibili, le risorse prodotte erano essenzialmente agricole e manifatturiere e si rivelavano insufficienti per una popolazione in continua crescita. Da tali premesse, il processo di creazione, o di riorganizzazione dei pubblici servizi, nelle realtà urbane in continua espansione, era condizionato dai fattori tecnologici e finanziari e lo sviluppo del settore era in ritardo e spesso a rimorchio di analoghe esperienze straniere.

In alcuni casi i servizi di pubblica utilità non nascevano da precise motivazioni di carattere sociale, largamente presenti invece verso la fine del secolo e promosse dalle battaglie dei socialisti e dei radicali storici. Nascevano invece, i servizi di pubblica utilità nell’Italia preunitaria, da particolari segmenti di mercato come le ricche borghesie cittadine o le prime attività manifatturiere a livello industriale. Anche i fattori traumatici, come alluvioni, smottamenti, terremoti hanno promosso le comunità a una decisa spinta ad intraprendere sistemazioni idriche e fognarie, dettate anche dalle gravi epidemie coleriche viste intorno la metà del secolo. Capitali e tecnici inglesi, francesi, e svizzeri, costituiscono i primi sistemi di produzione e distribuzione di gas illuminanti, operando il potenziamento e il risanamento degli acquedotti, attirati dalle opportunità offerte dalla spinta alla urbanizzazione, dal crearsi di un primo tessuto di attività produttive concentrate attorno ai nuclei urbani. La massiccia presenza straniera era costituita da società francesi, per l’illuminazione a gas di Torino (1837), Napoli (1842), Milano e Venezia (1844), Genova e Verona (1846), Alessandria (1847), poi a Firenze, Palermo, Modena, Bergamo, Piacenza, Vicenza, Treviso. Acquedotti di società francesi erano a Genova (1853), Roma (1867), Napoli, Bergamo e La Spezia. 

Società inglesi per l’illuminazione a gas di Bologna (1847), Roma (1850), Viterbo, Cagliari. Società svizzere per l’illuminazione erano presenti gas a Bologna (dal 1861), Pisa, Reggio Emilia. Presenti anche società belghe a Siena, Rimini (1865) e Catania. Società tedesche per l’illuminazione a gas ad Ancona e Brescia (1865), Foggia, Rapallo, Mantova.

L’influenza delle nuove concezioni liberistiche che cominciano ad affermarsi, prima nel Piemonte di Carlo Alberto, successivamente, con l’opera politica degli uomini del Risorgimento andati al potere con l’unificazione dell’Italia, determinano il non intervento delle autorità pubbliche locali nella costruzione e gestione dei primi importanti servizi a rete. Cavour seguiva attentamente il dibattito teorico portato nella sua più alta espressione dall’inglese Ricardo e gli avvenimenti politici ed economici nell’Inghilterra dell’inizio secolo, nazione che prima di altre aveva visto svilupparsi una prima serie di pubblici servizi. Vennero così quasi del tutto ignorati i grandi economisti napoletani della seconda metà del Settecento, Genovesi, Filangieri e altri, che avevano una grande tradizione, una scuola di pensiero che solo negli anni ’50 del XX secolo viene analizzata da Schumpeter: “non erano secondi a nessuno in Europa, anzi legati ai fattori umani e di mentalità delle popolazioni, un embrione di sviluppo economico attento al locale e alle reali ricchezze nel possesso dei mezzi di produzione, delle arti e dei mestieri”.       

La dottrina economica dell’area settentrionale anglofrancese dominante e che si esplicitava nella formula del laissez-faire, rifiutava invece ogni intervento sia pubblico che privato, tendente a turbare il libero confronto tra i soggetti economici. Pertanto, l’effetto di questo indirizzo economico determina una moltiplicazione delle imprese che, sullo stesso territorio, gestivano analoghi servizi. A Torino e Milano esistevano più officine del gas, come a Genova e a Roma per le imprese acquedottistiche.

L’assenza delle municipalità nella realizzazione e nella gestione di tutti i servizi di pubblica utilità, l’acqua, il gas, i trasporti, la raccolta delle immondizie, i macelli, i mercati ed altro, dovevano produrre i suoi effetti a livello generale nel giro di pochi decenni, generati dai meccanismi di progresso economico e sociale indotti dalla prima industrializzazione. La realtà dello sviluppo capitalistico alla fine del XIX secolo dimostra, nei meccanismi di mercato, l’esistenza di disfunzioni e insufficienze che richiedono significative correzioni. Con lo sviluppo della dimensione delle imprese e la loro politica di espansione dei mercati, emerge la concentrazione ed il monopolio, aprendo un dibattito sulle teorie liberistiche allora largamente professate.

L’inurbamento delle città aumentava il divario sociale tra i ricchi e i poveri, determinava una crescente domanda di beni e servizi e quelle che un tempo nelle campagne erano le rivolte spontanee della fame, andavano delineandosi nella contrapposizione tra classi sociali. D’altro canto il capitalismo importato in Italia da Oltralpe mirava a realizzare il massimo degli utili attraverso tariffe speculative e lo sfruttamento generalizzato della mano d’opera. Ecco allora la diffusione dell’idea che lo Stato, o la pubblica autorità, non deve limitarsi a fornire una mera cornice alle attività economiche, ma deve intervenire per soddisfare quelle richieste necessarie al miglioramento delle classi meno abbienti. L’Inghilterra, su questo punto, perché paese di prima industrializzazione, risponde prima a questa esigenza, sia nella sfera teorica che in quella sociale, si manifestano così nuove linee di tendenza. Dal 1874 la città di Birmimghan, e successivamente Glasgow, procedono alla municipalizzazione dei servizi idrici.

È ampiamente riconosciuto infatti che il problema della assunzione da parte di Comuni della produzione e distribuzione di beni e servizi viene elevato per la prima volta a preciso programma politico dalla “Fabian Society” fondata nel 1884, che vede in Webb, Burns e Shaw i principali animatori. Già alla fine del secolo (1898) in Inghilterra 44 municipalità sulle 64 con oltre 50.000 abitanti avevano municipalizzato il servizio acqua mentre 90 Comuni e 77 distretti urbani possedevano e gestivano la officina del gas. Nel contempo le scienze economiche, politiche e sociali, si arricchivano di fondamentali studi e ricerche sul capitalismo allora dominante, contrapponendo teorie radicali del contesto socio/economico, si veda C.Marx con “Il Capitale” del 1867/68 o individuando forme miste, liberali e socialiste, atte a correggere le regole di libero mercato (per esempio M.Weber,  V.Pareto). 

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