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Taranto: il caso ex Ilva-ArcelorMittal, le due facce della stessa medaglia

Dall’ ITALSIDER all’ ARCELOR-MITTAL,
la sintesi di un  drammatica e tragica vicenda 

una analisi di Rossella Di Ponzio 

Siamo negli anni ’60, precisamente il 21 ottobre 1964, nel pieno boom economico italiano, quando fu inaugurato il primo altoforno dell’allora Italsider, il secondo venne acceso il 29 gennaio 1965. 
Per la sua costruzione vennero estirpati decine di migliaia di alberi di ulivo deturpando così l’ambiente circostante. Il più grande impianto siderurgico di Europa finì con l’occupare prima 600 e poi 1500 ettari di superficie, per un’estensione pari al doppio dell’intera città.

Da quel momento in poi fu la città che si adattò completamente alle condizioni e alle regole dettate dalla fabbrica. Fu una rivoluzione per molti, pescatori e agricoltori lasciarono mare e campagne per essere assunti dal più grande siderurgico del Paese. Fu una svolta economica per l’Italia, ma soprattutto per il Sud e per Taranto: vennero assunti tanti operai non solo tarantini, molti provenivano anche da altre regioni del Mezzogiorno.

L’Italsider si insinuò nella città, in un momento in cui la stessa viveva una profonda crisi, fino ad allora la sua economia era stata profondamente legata solo alla Marina Militare. Dopo la guerra, con il declino dei Cantieri Navali, erano molte le difficoltà, così apparve l’Ilva, come il miracolo economico, come la portatrice di tutte le soluzioni. 
Ma quanto è costato il sogno di una vita migliore? Tantissimo, perché si erano sottovalutate le conseguenze del danno ambientale prodotto dall’inquinamento, così è arrivata la morte per una percentuale cospicua di abitanti della città.

Nelle ultime settimane la questione ex-Ilva, nonché ArcelorMittal, è di nuovo al centro delle cronache nazionali. Si discute su cosa sia meglio per città dei due mari: salvare posti di lavoro o pensare finalmente a tutelare la salute dei cittadini, intossicati dai fumi e dai veleni del siderurgico. 
Politici, economisti e media nazionali, ad eccezione di qualcuno, nelle ultime ore nei cosiddetti “salotti mediatici” parlano solo di crisi economica e di acciaio, di una catastrofe che comporterà un mancato accordo per il futuro della fabbrica, che pur mantenendo il PIL nazionale miete ogni giorno vittime dell’ inquinamento.

Nessuno che prende in considerazione l’ipotesi, per molti ritenuta folle, di chiudere quel mostro generatore di morte. Sono anni che operai, famiglie e bambini perdono la vita. Nessuno parla delle condizioni pessime in cui gli operai lavorano, nessuno racconta della situazione tragica che sono costretti a vivere i pazienti ammalati di cancro negli ospedali di Taranto, dove in uno hanno chiuso anche il pronto soccorso.

La chiusura dell’industria dell’acciaio di sicuro comporterebbe una crisi economica nel nostro Bel paese, accordi con lo Stato, con la politica, vendite a ipotetici compratori non porterebbero certamente indietro le vittime alle famiglie, ma di sicuro si porrebbero le basi per un futuro migliore.

Nessuno che si preoccupa del danno ambientale, si parla di immunità penale: una parola arida, che diventa solo uno strumento di propaganda politica, di accusa e di ricatto. Ma i numeri parlano chiaro purtroppo: secondo quanto diffuso qualche anno fa da Peacelink, la proporzione di chi è affetto da questa patologia tocca punte di 1 caso ogni 18 abitanti nella zona industriale della città jonica.

Il dato è stato ricavato analizzando i dati sull’esenzione dal ticket sanitario per “malattie tumorali” (codice: 048), riconosciuta a 8.916 individui su 191.848 residenti (dato ultimo Censimento). In particolare si evince che nel distretto sanitario 3, che comprende i quartieri più vicini all’area industriale (quartiere Tamburi, Paolo VI, Città Vecchia e parte del Borgo), c’è un malato di cancro ogni 18 abitanti.

Per la precisione 4328 malati su 78/mila abitanti. E ancora i dati dello Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento riportano:

  • + 54% di incidenza del cancro considerando solo i bambini fino ai 14 anni.
  • + 21% mortalità infantile, rispetto alla media regionale.
  • + 20% eccesso di mortalità nel primo anno di vita.
  • + 45 % malattie iniziate in gravidanza.

Dati sconcertanti che dovrebbero allarmare chi di dovere per trovare una soluzione risolutiva per tutti. Operai e cittadini dovrebbero unirsi per richiedere subito la chiusura dell’Ilva, il pre-pensionamento di tutti i dipendenti, la bonifica immediata di tutta l’area e il risarcimento dei danni subiti in 50 anni di menzogne.

Ma la questione è molto più complessa e va analizzata su più fronti. Si dovrebbe creare un dialogo con il cittadino, sentire i suoi bisogni, le sue verità, ascoltare le tante associazioni che da anni si battono per un futuro migliore per la città e per la sua trasformazione prima di tutto culturale.

Sono le periferie che vanno cambiate, vanno riportate verso l’integrazione, verso la possibilità di un mondo possibile senza Ilva e incentrato sul turismo, sulla pesca, sull’agricoltura e sulla “cultura“. 
Invece no, la città dei due mari, si ostacola come si può, tagliando i trasporti ad esempio: vengono ridotte le corse di treni e autobus, si tiene chiuso l’aeroporto di Grottaglie perché conviene così, perché Taranto deve vivere grazie all’Ilva che fa girare l’economia.

Cosi gli operai ricattati continuano a sopravvivere ogni giorno, chiudendosi nello stabilimento più pericoloso di Europa. Per non parlare della malavita che dilaga: persino le cozze, il cosiddetto oro nero della città, è nelle mani della criminalità organizzata, che ostacola la crescita degli imprenditori che coltivano le cozze rispettando la legge. È una guerra tra poveri dove a farne le spese sono solo i cittadini. 
Le parole volano, la gente dimentica, la stampa nazionale chiude gli occhi, la politica lancia slogan senza comprendere davvero quello che accade. I numeri degli ammalati però aumentano e le vittime pure.

Camminando per le vie del cimitero di Taranto, posto proprio ai piedi del mostro, troverete sulle tombe quella polvere rossa che entra nel naso, nella pelle dei parenti e degli amici che vanno a trovare chi non c’è più, diventando anche loro vittime di un sistema “economico” che per generare soldi causa morte. Il ricatto deve finire, non bisogna più scegliere tra la vita e l’acciaio.

 

 

 

 

 

 

 

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