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“THE SWEET SIXTIES: NARRAZIONI DI MODA”
gli anni ’60 in mostra a Castel Sant’Angelo

DAL 27 MARZO AL MUSEO NAZIONALE DI CASTEL SANT’ANGELO LA MOSTRA-PERFORMANCE “THE SWEET SIXTIES: NARRAZIONI DI MODA”

La Swinging London, dalla minigonna di Mary Quant alle visioni da indossare di Ossie Clark, dalle vetrine di Carnaby Street allo sbarco sulla Luna: l’eredità associata all’immaginario estetico degli anni Sessanta costituisce un bacino semantico reinterpretabile sotto molteplici aspetti. Un periodo rivoluzionario in tutti i sensi.
Da qui la volontà di indagare  su questo lato straordinariamente dolce della decade “fluttuante” – così il settimanale Time definiva Londra nel 1966 – attraverso un’antologia fatta di atmosfere e citazioni raffinatamente sixties.
Stefano Dominella e Guillermo Mariotto hanno presentato The Sweet Sixties. Narrazioni di Moda presso il Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo a Roma.“Non è la prima volta che il famoso Monumento romano apre le sue porte per presentare una delle più interessanti manifestazioni della nostra creatività, la Moda, con la sua capacità di attraversare e interpretare le epoche storiche e rievocarne le atmosfere e le suggestioni”. – afferma Mariastella Margozzi, direttrice del Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo – “Non caso di questa mostra, la rappresentazione degli anni Sessanta attraverso gli stili degli abiti e dei loro creatori, ci consente di rivivere uno dei periodi più densi di innovazione e trasgressione della nostra storia più recente, di coglierne l’entusiastica identificazione dei giovani con un modo di vestire che racconta l’esigenza di allargare i propri orizzonti culturali e geografici.

Cinquanta accostamenti che uniscono capi storici, vere icone di stile, con abiti e accessori recuperati nei mercatini e nei negozi vintage. Tendenza, quella del recupero, attualissima e adottata soprattutto dalle giovani generazioni che amano rendere contemporaneo il passato. Con le scenografie di Virginia Vianello, protagonisti, ancora una volta, gli abiti. Ecco le tinte audaci e naturalistiche firmate dalla genialità creativa di Ken Scott, definito “il giardiniere della moda” proprio per le sue stampe floreali. E poi i lembi di pelle coperti soltanto da 40 cm di tessuto di Mary Quant, fino ai motivi futuristici disegnati da Courrèges, Paco Rabanne e Pierre Cardin. Come non citare i colorati cappotti di Max Mara, rubati al guardaroba maschile e reinterpretati con tinte vivaci. La moda degli anni Sessanta ha riscritto e reimmaginato la silhouette di un’intera generazione. Abiti, scarpe, dischi e accessori diventano il manifesto poetico di quel coloratissimo periodo.

«Questa è la decade in cui i giovani si sono scoperti tali per la prima volta» racconta Stefano Dominella. «Una dimensione fortemente borghese, all’improvviso, si è trovata a fare i conti con l’effervescenza britannica dei sixties, il ritmo dei Beatles, il fascino di James Bond, la minigonna di Mary Quant e le tendenze in fatto di moda di Soho e Kensington. E poi i film con Doris Day, Brigitte Bardot a Saint Tropez, Catherine Deneuve, Jane Fonda in Barbarella» conclude Dominella.
Sono gli anni in cui nasce l’industria delle calze e dei collant, in cui alla cotonatura si sostituisce la linearità tagliente del caschetto, in cui l’alta moda comincia ad attingere dal basso. Sono anche gli anni in cui il poliedrico Elio Fiorucci inventa (e vende) uno stile di vita fatto di jeans e t-shirt con angioletti e cuoricini dando vita ad una vera e propria subcultura internazionale. Subcultura che, a partire dal bersaglio stilizzato della Royal Air Force inglese (s)cucito sui giacconi Parka dei giovani Mod alle prese con il blues e la musica beat, in Italia intercetta le lunghezze d’onda propagate dagli specchietti colorati degli scooter, della Vespa e della Lambretta. Sullo sfondo ci sono le notti passate a ballare nei club notturni e i brani Uno dei Mods (1965) e Vi saluto amici Mods (1966), entrambi scritti da Franco Migliacci.

Cinquanta creazioni divisi in cinque capitoli narrativi per raccontare la parte più leggera e sognante degli anni Sessanta. Un esperimento che, facendo suo il linguaggio della contaminazione visiva, guarda alla moda di quegli anni come ad un archivio da consultare e valorizzare attualizzando l’identità culturale di una decade complessa e multiforme.
Tutto prende inizio da Carnaby Street, la prima sala, con due look creati e curati da Guillermo Mariotto che troneggiano al centro dell’ambiente: delle ragazze  Ecco alle prese con una sessione di shopping nei negozi culto della Londra dell’epoca.
Il secondo capitolo riflette invece sulle libere associazioni vestimentarie: da una parte le stampe naturalistiche e colorate di Ken Scott, dall’altra il denim e gli angioletti dichiaratamente pop di Fiorucci.
Si arriva così alla terza sala, realtà in cui sono le atmosfere lunari di Courrèges, Pierre Cardin, Paco Rabanne, Valentino Garavani ad essere riscoperte sotto forma di metallo, pvc e cappelli a mo’ di casco. Un presagio stilistico, quello della Space Age, che di lì a poco vedrà un uomo solcare il suolo lunare per la prima volta. E poi è la volta dei colori e dei ricami con cui l’alta moda vestiva i borghesi per le grandi occasioni – le tinte audaci, il glamour e le paillettes iridescenti rivivono grazie ad una selezione di abiti d’archivio tra cui quelli della sartoria Battilocchi, Jole Veneziani, Gattinoni, Lancetti, Mila Schön e Carosa.
Infine, nella sala Optical, il ritmo degli Sweet Sixties rallenta e si sofferma sull’accostamento geometrico dei due colori (non colori) per antonomasia: il bianco e il nero. Si finisce con il celebrare l’arte – si citano il testamento creativo di Giuseppe Capogrossi e l’operato dei Pittori maledetti di Roma – e con il ricordare la straordinaria potenza evocativa della moda, che questo progetto in fieri utilizza come sistema d’indagine e di ricerca dai contorni mobili e sfumati per rileggere un’epoca sospesa tra mille possibilità. Bella, dolce e moderna come allora.

Una mostra-performance che restituisce potentissima – afferma il Sottosegretario di Stato al Ministero della Cultura Lucia Borgonzoni – una delle innate capacità della moda: fare cultura. Il lavoro di selezione dei look e il percorso dei cinque filoni narrativi riescono perfettamente nell’obiettivo di rappresentare tutta la carica creativa di un decennio che ha segnato la storia e la cui voce è in grado di risuonare ancora oggi. Sa infatti mescolarsi alle voci della contemporaneità e agganciare tendenze che interpretano nuove consapevolezze, come ad esempio quelle legate agli acquisti “vintage” e al rispetto per l’ambiente, ambito nel quale la moda italiana sta già lavorando da tempo con risultati d’eccellenza a livello internazionale. Al Ministero stiamo lavorando perché la moda sia sempre più valorizzata proprio in quanto cultura e affinché abbia gli strumenti per vincere le sfide del futuro. Per favorire la sostenibilità delle imprese culturali e creative e incoraggiare l’approccio verde lungo tutta la filiera, nonché un comportamento più responsabile nei confronti dell’ambiente e del clima, abbiamo deciso di destinare i fondi del Pnrr (pubblicheremo bandi per un importo complessivo pari a 30 milioni di euro) per accompagnare la transizione green del settore”. Una conclusione quella della senatrice Borgonzoni che fa sperare in un futuro promettente e concreto per la Moda nella contemporaneità.