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Tutelare i figli dalle insidie e “sfide online”

“Basta con queste challenge. Una tendenza che può costare la vita” è il titolo del comunicato stampa dell’Associazione Di.Te., lodevole e meritorio, che pone importanti obiettivi nel rispetto dei principi della giusta formazione/informazione e nel  rispetto della Costituzione. Non mai però, come in questi trascorsi anni, e la tendenza non cambia, è il ricorso massiccio e invasivo all’uso di anglicismi che, seppur hanno ovvia valenza commerciale o a seguito di attività convegni – incontri/meeting – e simposio internazionali, su specifiche materie anche e soprattutto sanità e salute, occorre aggiungere sempre termini italiani o, dove possibile, in latino di cui l’alfabeto è in uso anche nella stragrande maggioranza delle lingue indoeuropee ed è idioma scientifico per eccellenza in medicina e in tassonomia. Chi non rispetta il Padre e la Madre… è un monito forse desueto? Il latino, e l’italiano di un Collodi ad esempio che ci ha lasciato in eredità la fiaba di Pinocchio, non sono forse pedagogia ed educazione quasi vivente nel corpo sociale della comunità, società o nazione che dir si voglia ! Oltre al fatto che, dovremmo tornare nei programmi di intrattenimento per i piccoli ai cari vecchi fumetti in TV che molto erano talvolta formativi e non invasivi con immagini e racconti oggi invece spesso deliranti e mostruose.                                                                                                                                                                         Raffaele Panico

“L’Associazione Nazionale Di.Te. – Dipendenze Tecnologiche, GAP e Cyberbullismo, organizzazione di volontariato si avvale di un team di esperti psicologi, psicoterapeuti ed educatori formati sul tema delle dipendenze tecnologiche. L’Associazione Nazionale Di.Te. ha l’obiettivo di indagare i temi sempre più diffusi delle nuove dipendenze, tra cui anche quello dell’Hikikomori, oltre che attivarsi concretamente con azioni formative, di sensibilizzazione e di prevenzione. Si occupa del trattamento delle dipendenze tecnologiche, del gioco d’azzardo patologico (GAP) e dei fenomeni internet correlati, come il cyberbullismo”. 

Giuseppe Lavenia: «Tuteliamo i nostri fgli. Non diamo loro il cellulare prima dei 13 anni »

Senigallia, 30 settembre 2020 – Con molta probabilità siamo di fronte a un’altra sfida sui social, questa volta costata la vita a un ragazzino di soli 11 anni. Polizia e Procura, che stanno indagando sull’accaduto, ipotizzano il reato di «istigazione al suicidio». Il ragazzo, prima di scavalcare la ringhiera, avrebbe scritto un bigliettino nel quale chiede scusa alla mamma e fa riferimento a uno stato di paura vissuto, secondo quanto si apprende, alle ultime ore di vita: «Mamma, papà vi amo ma devo seguire l’uomo col cappuccio».

Ma perché sono i ragazzi, pur conoscendone ormai la pericolosità, continuano a cedere al fascino delle challenge? E, soprattutto, come tutelare i nostri figli, dai pericoli della vita online? «Non c’è una risposta univoca. La sfida, l’emulazione, il senso di onnipotenza sono temi ricorrenti per gli adolescenti», premette Giuseppe Lavenia, psicologo, psicoterapeuta e Presidente dell’Associazione Nazionale Di.Te. (Dipendenze tecnologiche, GAP e Cyberbullismo).  «E’ importante giocare d’anticipo. Le “sfide online” vanno a colpire i ragazzi sotto i 14 anni, una fascia più piccola rispetto a ciò che abbiamo visto in passato. – continua l’esperto. A questa età i ragazzi sono molto più vulnerabili. Il loro sistema limbico, sede dell’emotività e dei comportamenti, non è ancora completamente formato, per questo tendono a essere più impulsivi e non hanno l’esatta consapevolezza del pericolo che stanno correndo».

Cosa fare? «A parer mio è assolutamente normale per le generazioni di oggi richiedere uno smartphone ma è altrettanto giusto che i genitori sappiano dire di no fino a quando i ragazzi non sono davvero pronti ad avere tra le mani uno strumento armato di tante potenzialità. Nel bene e nel male. Fino ai 13 anni, non hanno bisogno di uno smartphone in quanto non sono nemmeno in grado di riuscire a gestire il rapporto con la tecnologia con consapevolezza. Bisogna che i genitori partecipino alla vita digitale dei figli, informandosi attivamente su cos’è davvero la tecnologia perché non è un gioco, come molti ancora pensano. Ritrovare, con urgenza, il contatto profondo con i nostri figli e ritornare a essere una guida per loro. Aiutiamoli a sviluppare una consapevolezza digitale che li possa aiutare a comprendere il senso del limite. Chiediamo ai ragazzi se sono a conoscenza dei rischi e dei pericoli, non lasciamoli da soli dietro a uno schermo. Interessiamoci alla loro vita online, aiutiamoli ad attivare il pensiero critico e non stanchiamoci di invitarli a irrobustire l’empatia».

                                   Esempio di una collezione di fumetti anni Settanta Ottanta

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