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Un addio a Camilleri e De Crescenzo, due “luci” del Sud

Una duplice perdita notevole nella cultura italiana

Il 17 luglio è morto a Roma Andrea Camilleri, uno dei migliori scrittori di “gialli” del secolo. Libri “gialli” se ne sono scritti, ma pochi autori hanno un primato riconosciuto, come Georges Simenon o Conan Doyle o Agatha Christie . Forse anche Rex Stout o Ed Mc Bain entrano nell’elenco di giallisti, ma è difficile, concentrati come sono in questo “genere” senza spaziare in abilità collaterali come il “nostro” autore siciliano.

Per essere scrittori non basta scrivere gialli, che evidenziano quasi sempre il meno bello di una società, un ambiente particolare, e produzioni di soggetti ed azioni non sempre graditi o compresi, ci vuole un panorama conoscitivo più ampio.
Chi era Andrea Camilleri? Un siciliano autentico, che nei suoi libri ha evidenziato la Trinacria tutta attraverso il dialetto, oltre quello della nativa Porto Empedocle , terra greca di sapienza e filosofia, terra italica del più grande drammaturgo moderno, Luigi Pirandello, che, a parte il luogo, è profondamente diverso da Camilleri, e se ne comprende l’accostamento a fatica .

Il venerando autore, vicino ai cento anni di percorso vitale, è stato inizialmente un soggettista ed un curatore di films televisivi di gran livello, poi ha scoperto il suo alter ego, il Commissario Montalbano, e lo ha lasciato spaziare agli occhi ed allo spirito di chi l’ha seguito.

Luigi Pirandello è stato un indagatore dell’anima umana, in aspetti usati ed inusuali, ha causato amore, rabbia, odio, ma indifferenza mai. Pirandello o lo si ama o si leva semplicemente il cappello al suo nome: è il grande pittore delle qualità dell’uomo e dei loro moventi alla ricerca della verità, lo specchio sul quale il lettore si china a guardare, in forse per temere di vedersi.

Con Salvo Montalbano Camilleri si è fermato, gioioso nel lasciar crescere il suo albero dai cento rami e rametti con il poliziotto come personaggio, affiancato da altri non meno veri ed appassionanti, nella specie del caricaturale come Catarella o nel “fimminaro” Augello o l’affezionato braccio destro Fazio. Ma il motus animi per questi è meno radicale, a differenza dei Sei Personaggi o Il fu Mattia Pascal. Ognuno dei soggetti di Camilleri può essere incontrato per strada, sono viventi e naturali, uomini e donne come Livia, le donne astute o risolute, le popolane come Adelina e le dame della Terra degli Aranci: non c’è figura che non sia credibile, ed è questo che fa geniale uno scrittore, ma ad una posizione diversa. “educar divertendo”

Sia nell’uno che nell’altro l’essere maestri è ciò che lascia verificare, in quanto inventori di soggetti verosimili, l’esistenza del Creatore, se è comprensibile l’assunto di Platone, secondo il quale l’arte è “mimesis”, imitazione .

Ma il secondo personaggio messo in cantiere dall’autore di gialli, Collura, è già più consueto, più appianato, sebbene conservi il carattere fra il saggio e l’ironico tipico del siciliano, e gli altri libri che ha creato (l’invenzione del Telefono, il Birraio di Preston, e ancora) non hanno il livello di un’opera letteraria di un Verga o Silone, per restare nel luogo, e meno ancora se si transita il confine. Il bello di Camilleri per Montalbano è il sapiente miscuglio di dialetto e pura lingua italiana, elegantissima. Il vernacolo è inserito a tempo, senza diventare pesante. Questa è una nota di ottima letteratura: anche Mérimée usa inserti o Lawrence (spesso il protagonista, l’amante della Lady, parla slang) ma tutto sta a non eccedere nel popolare, nelle “Centona” o i poemi dell’Abate Meli. Siciliano vuole ad ogni modo dire essere di origini profonde ed artista, già con il Protonotaro Stefano di Federico II°. 
Camilleri non deroga da questa tipicità, così come Pirandello la lascia conoscere ovunque.

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Ma ciò che fa dispiacere al termine di questo pensiero, è che se ne sia andato via un artista di poco differente, che lo ha per così dire seguito un giorno dopo prendendo anch’egli il volo: Luciano De Crescenzo, napoletano, artista televisivo, scrittore con l’intento dell’ “educar divertendo” e cioè d’insegnare filosofia al popolino, (Oi Diàlogoi), e avente pari volontà con Giuseppe Marotta che addirittura ripete i racconti mitologici tradotti in vernacolo, ma non nei termini espressivi, piuttosto nei concetti (L’Oro di Napoli, San Gennaro non dice mai no, Gli Alunni del Sole, un vero capolavoro). Marotta è stato più volte premiato, ha partecipato a sceneggiature e canovacci per films e televisione e condivide il forte apporto filosofico con De Crescenzo, soprattutto nel libro: “Così parlò Bellavista”, nel quale, – ribadito dal titolo – la scelta per un messaggio filosofico è voluto, inteso ironicamente come grandioso, nel carattere tutto meridionale del gioco contrapposto al severo  “Also sprach Zarathustra” di Friedrich Nietszche, per raccontare le gesta mitologiche greche, il vivere naturale, senza pompa e senza martiri, degli Dei.

Valoroso interprete del teatro di Eduardo De Filippo riesce solo in parte ad avere in toto il coinvolgimento descrittivo ed affettivo del conterraneo drammaturgo.

Lo spazio di pochi giorni, e l’Italia è restata priva di un “giallista” che ha nobilitato il genere come letteratura vera e propria, e di un esponente della creatività ridente, talvolta buffonesca, e dello stile incontestabile di scrittore, dall’espressione anche personale quieta e precisa. Si distanzia così da Marotta che è spesso tragico anche quando scherza, e vince senz’altro più di questi per aver saputo convincere il gran numero di quei lettori che non si limitano a sorridere o ad assorbire un avvenimento, ma amano far viaggiare il pensiero. Drammi o amori, arresti o pitture di paesaggi e nobildonne, è dal Sud e dall’Italia che viene la luce.

Marilù Giannone

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