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Un proverbio cinese tra “Militanza Fascista” e “Militanza Comunista”

Scritto da Franco D'Emilio il . Pubblicato in .

                             

Alcune recenti letture sulla storia del fascismo e del comunismo in Italia, pure attraverso la biografia di taluni dei loro protagonisti, mi inducono al confronto tra due affermazioni; la prima di Giovanni Gentile, celebre filosofo, intellettuale e sostenitore del regime; la seconda di Paolo Robotti, noto esponente del PCI clandestino e antifascista, al sicuro, però, nel suo rifugio in URSS dal 1932 al 1947.

Entrambe le affermazioni, seppure diversamente, interpretano il tema della dedizione politica, intesa come totale e continuo impegno personale per i fini, i progetti del partito d’appartenenza. Due affermazioni, dunque, di differente concezione della militanza entro un partito, anche rispetto al rapporto tra vertice e base.
Partiamo, allora, dalle parole di Giovanni Gentile nella conferenza dell’8 marzo 1925 nel Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio a Firenze: “Il Fascismo è intanto un partito, una dottrina politica perché, prima di tutto, è una concezione totale della vita. Non si può essere fascisti in politica e non essere fascisti nella scuola, non essere fascisti nella propria famiglia, non essere fascisti nella propria officina. Ovunque, il fascista deve sempre ricordarsi di essere un fascista!
Una dichiarazione, questa, di grande dedizione al Fascismo, movimento che esige di essere condiviso e partecipato appieno per essere la ragione unica e totalizzante della vita del cittadino: altrimenti, esclude ogni voce critica come nemica del suo progetto di realizzare una sola idealità e identità collettiva, uniforme e comune a tutti i militanti. Il Fascismo, quindi, duramente repressivo di ogni dissenso, inconciliabile con il suo pensiero.                                  

Da qui la dottrina fascista, indiscutibilmente imposta quale unica, possibile via salvifica attraverso il suo spiritualismo etico, già sostenuto da Giovanni Gentile, quale sviluppo del neohegelismo contro il materialismo, tanto diviso e divisivo nelle sue varie espressioni politiche e nelle sue soluzioni, soltanto temporanee ed utilitaristiche, delle tante necessità umane.
Il Fascismo è autoritario, duro contro ogni ostilità esterna al suo pensiero unico, finalmente ispiratore di una ferma dottrina dello stato, ma non risulta nient’affatto ostile al confronto, al dibattito, pure critico, eventualmente presente al suo interno. Due sono, ad esempio, le anime del Fascismo, mai conciliatesi tra loro: da una parte, quella movimentista, intransigente, perlopiù nata dalla sinistra interventista; dall’altra, quella moderata, propensa dopo la sconfitta del bolscevismo a ristabilire, anche se in modo innovativo e moderno, una continuità con i principi dello stato liberale.

Neppure, ancora, possiamo ignorare quante  diverse connotazioni caratterizzino il Fascismo, alcune delle quali, spesso, sostenute da un gruppo di riferimento, guidato da un esponente di riguardo del Partito Nazionale Fascista: insomma, un vero e proprio anticipo in politica delle correnti interne di partito, oltremodo poi diffuse, pure in modo deleterio, nelle vicende della successiva Italia democratica e pluralista.
Così, nel Fascismo Edmondo Rossoni sostiene un ruolo più importante del sindacato, soprattutto nella politica economica del regime; il giurista Alfredo Rocco è fautore di un forte stato accentratore, poco disponibile a concedere spazi agli enti territoriali; Giuseppe Bottai, addirittura, auspica un’organizzazione corporativa dello stato molto libera, fuori dal peso delle direttive di partito; Italo Balbo non perde occasione per ribadire l’originalità del Fascismo, quindi la sua contrarietà all’alleanza con la Germania nazista. In fondo, si può concludere che solo nella percezione dall’esterno il Fascismo risulti davvero monoliticamente autoritario, mentre, invece, considerato al suo interno, riveli la presenza e la voce di posizioni diverse, anche tra loro politicamente concorrenti.                                                               

Se le parole del filosofo Giovanni Gentile, ministro dell’istruzione nel primo governo Mussolini e, come tale, autore della prima, innovativa riforma della scuola italiana, sono molto esortative ad una dedizione piena ai valori del Fascismo, tale che ciascun militante, dal vertice alla base del partito, se ne senta protagonista attivo, invece di diverso spirito è la lapidaria affermazioneSe mi hanno punito, evidentemente avevano delle ragionidel dirigente comunista italiano Paolo Robotti (nella foto), pure cognato di Palmiro Togliatti, a commento dell’arresto e dell’anno di carcere per l’accusa di “attività provocatoria e spionaggio”, ingiustamente inflittigli a Mosca dal marz0 ’38 al settembre ’39, ad opera dello stalinismo, persino supportato dal silenzio vergognosamente complice dello stesso enigmatico Togliatti.
Semplicemente sconcertante: il compagno Robotti, consapevole di aver subito una punizione ingiusta, come testimonierà ripetutamente al suo ritorno in Italia nel ’47, ritiene assurdamente i comunisti sovietici e i loro corresponsabili italiani, riparati a Mosca, nell’eventuale ragione per sospettare della sua persona e punirlo. E’ il triste esempio di una dedizione che si manifesta solamente come passiva soggezione alla volontà centralista del partito: è la volontà comunista che dal vertice, nel pieno arbitrio del proprio autoritarismo ideologico, dispone e controlla, sospetta e punisce chiunque, anche internamente alle fila dei suoi stessi militanti, devii dall’unicità dittatoriale del suo pensiero e della sua pratica politica.      

Dunque, molto più oppressivo, direi doppiamente, il comunismo rispetto al fascismo, soprattutto nella concezione della militanza: quella comunista, infatti, appare rigidamente ispirata a imprescindibili canoni di supina ubbidienza, di piena costrizione al sacrificio, persino riguardo alla quotidianità della vita, delle minime abitudini personali.
Questo spiega anche perché, al suo interno, il comunismo internazionale abbia conosciuto più congiure, a volte addirittura sanguinarie, anziché un palese confronto tra posizioni, bene o male manifeste, come abbiamo visto svolgersi entro il PNF; al massimo, nel suo ipocrita trasformismo, pure verso i propri militanti, il comunismo ha soltanto mutato, camuffato il suo centralismo dispotico in un patetico surrogato, come il cosiddetto “centralismo democratico”.
Le parole del comunista Paolo Robotti, Se mi hanno punito, evidentemente avevano delle ragioni, fanno quasi tragicamente sorridere, anche richiamando un noto proverbio cinese, riferito alla figura di ogni marito ovvero “Quando torni a casa la sera, picchia tua moglie. Tu non sai perché, ma lei lo sa.”
Ecco, forse la signora cinese è come nei panni del comunista Paolo Robotti, irriducibile antifascista per 15 anni al sicuro a Mosca; anch’ella sa di non meritare le botte maritali, eppure pensa che evidentemente il consorte abbia ragioni per punirla!

                                

 


Foto autore articolo

Franco D’Emilio

Storico, narratore, una lunga carriera da funzionario tecnico scientifico nell’Amministrazione del Ministero per i beni e le atiività culturali
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