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Un “Ventennio” di Fiction

VENT’ANNI DI FICTION:

I SUCCESSI DELLA NARRAZIONE TELEVISIVA ALL’ITALIANA

 _____________________di  Claudia D’AGNONE*

Se si volesse usare una metafora sportiva  si potrebbe dire che la fiction “Rosy Abate”, trasmessa da Canale 5, da settimane  domina lo schermo, vincendo ai punti dell’Auditel , ben strutturate trasmissioni  di informazione.  Per molti versi “Rosy Abate” sta riproponendo il successo che negli anni 60 e 70 ottenevano gli sceneggiati televisivi trasmessi allora da “mamma Rai”. Chi non ricorda la Freccia Nera,  Il Segno del Comando o la Baronessa di Carini?  Si tratta di trasmissioni epocali rimaste addirittura nell’immaginario collettivo italiano.  Ed oggi?  Il successo di Rosy Abate dice che il genere narrativo è capace ancora, pur nell’offerta generalizzata di programmi, di essere ancora vincente. Fiction, telefilm, serie tv, soap opera: sono tanti nomi per l’arte della narrazione televisiva che raccoglie grandi consensi a livello nazionale.

È l’apoteosi dello storytelling, un termine tanto caro quanto abusato in questi anni, la lunga o media serialità che è entrata nelle nostre case già dagli anni ’50 (con un fine prettamente pedagogico) e, dopo un periodo di investimenti in coproduzioni cinematografiche, vi è tornata, prepotentemente made in Italy, dalla metà degli ’80 con l’ enorme successo del poliziesco targato Rai “La Piovra” del 1984 (che raggiunse anche i 15 milioni di telespettatori medi)

Ma fu solo l’inizio della rinascita della fiction italiana che rappresentò, poi, la chiave di volta per l’affermazione delle reti televisive private del gruppo Fininvest. Il primo prodotto in materia di continuous serial (soap opera) tutto italiano approdò sulla terza rete Rai nel 1996: “Un posto al sole”, ispirata alla serie australiana “Neighbours”.

Gli alti costi d’importazione e la legge 122/98, che imponeva alle reti di investire nelle produzioni nazionali, decretarono, poi, la  ripresa decisiva della fiction made in Italy: il mezzogiorno di Canale 5 andò arricchendosi, tra il 1999 e il 2001, di due tra le più seguite fiction nostrane: “Vivere” (che arrivò al 35% di share nella prima fascia pomeridiana) e “Centovetrine”, che rilanciarono la zona del Canavese, dove erano entrambe girate, e crearono un indotto economico rilevante e moltissimi posti di lavoro. Rilancio che è ripreso, proprio in tempi recentissimi, grazie alla nuova fiction, in onda da venerdì 8 dicembre, “Sacrificio d’amore” girata, anch’essa, negli studi di Telecittà.

I dati auditel esaltanti hanno spinto Rai e Mediaset ad aumentare gli investimenti nel settore da 120 milioni complessivi nel 1996 ai 500 milioni del 2006. Non solo lunghe serialità, ma anche mini serie su più stagioni. Riprendendo format spagnoli ed adattandoli al pubblico italiano, Rai e Mediaset diedero vita a due longeve serialità familiari, rispettivamente “Un medico in famiglia” e “I Cesaroni”.

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Tantissime le fiction, in costume, poliziesche, storiche, che negli anni hanno fatto la fortuna di tantissimi attori italiani: si pensi al successo di pubblico ottenuto da “Elisa di Rivombrosa” nei primi anni duemila (verranno girate 3 stagioni) che ha lanciato le fulgide carriere di Vittoria Puccini ed Alessandro Preziosi. E non mancano le affermazioni europee dei nostri prodotti: tra le serie italiane più viste all’estero, spicca “Il commissario Montalbano”, trasposizione televisiva dei romanzi di Andrea Camilleri.

Un vera e propria età dell’oro della fiction, che ha mostrato una tendenza popolare a preferire lo svago all’informazione. Tendenza reiterata anche in tempi più moderni, in cui la pluralità dell’offerta televisiva e la presenza di piattaforme di streaming come Netflix, hanno reso il mercato della serie italiana quanto meno rischioso. E invece, nonostante le opzioni per chi è dotato di telecomando si siano centuplicate, la fiction mantiene un tenore di vita più che decoroso, dimostrandosi anche in grado di vincere serate ostiche: “Rosy Abate”, spin off della serie “Squadra Antimafia”, già successo annunciato, va ben oltre le aspettative con 4 milioni e mezzo di telespettatori ed uno share del 19,81% nella serata del 26 novembre, risultato più che ragguardevole se si considera che i suoi diretti competitor sulle altre reti erano Massimo Giletti, con il suo nuovo talk “Non è l’Arena” su La7, “Le Iene” su Italia 1, e, sull’ammiraglia Rai, uno dei programmi di punta del servizio pubblico “Che tempo che fa” di Fabio Fazio che ha potuto vantare come ospite anche il capostipite del Biscione nella rinnovata veste di politico, Silvio Berlusconi. Tuttavia neppure la presenza del cavaliere ha fatto conquistare al programma più di un 14,94% di share.

Perché le fiction continuano a piacerci così tanto? Come riusciamo, nonostante la stretta marcatura di serie estere, a mantenere viva la narrazione televisiva made in Italy? La fiction italiana, evolvendosi nei tempi ed adattandosi ad un pubblico via via più esigente, mantiene un mood nostrano di creare suspance e di intrattenere, ben più lento di quello americano (che ci batte in velocità anche a livello di articolazione delle parole), più accomodante, ma mai noioso. Le storie dei protagonisti ci accompagnano nella quotidianità, stuzzicano la nostra voglia di sapere “cosa succede dopo” ed aumentano il nostro coinvolgimento tanto da spingerci a ragionare sui vari percorsi che potrebbe prendere la trama. Che sia smaccatamente con fine pedagogico, poliziesco, commedia, la fiction è un linguaggio che ci abitua a non rilassarci del tutto e che con l’intento di farci riposare ci porta a riflettere su situazioni storiche, su storie personali che ritroviamo nella trasposizione o a porci delle domande nuove.