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Le prospettive del reale. 140 anni usciva il romanzo:
“Una Vita” di Guy de Maupassant

di Anna Lina Grasso

 

Nella primavera del 1883 usciva in volume a Parigi il primo romanzo dello scrittore normanno Guy de Maupassant, Una vita.

Si sa quanto dovesse il giovane scrittore tra i padri del realismo, alla paterna assistenza del suo eccezionale padrino, Flaubert (di cui purtroppo non ebbe lo stesso successo) e quali legami di amicizia legassero l’autore di Madame Bovary alla nobile figura di madre che fu Madame Laura de Maupassant, sorella di quell’Alfredo Le Poittevin, poeta al quale Flaubert dedicò Le tentazioni di Sant’Antonio.

Maupassant iniziò a scrivere presto e sottoponeva i suoi scritti a Flaubert fino a pubblicare Boule de suif presso il Ministero della pubblica istruzione e Una vita, il più amaro e profondo dei romanzi di Maupassant, una reazione a tutte le retoriche letterarie, romantiche, idealistiche, romantiche.

Non sarà che lo scrittore francese abbia voluto difendersi dall’accusa d’aver attirato sopra un solo capo tante inverosimili e dolorose vicende, quasi a dimostrare che l’umile verità, epigrafe che precede il romanzo, è, alle volte, inverosimile? Rileggendo il romanzo, seguendo la storia della povera Giovanna tradita da tutti, dai genitori, dal marito, dal figlio, dalla sua stessa natura, si avverte davvero che l’autore non ha esagerato: un grande senso di pietà umana e poetica ha reso possibile che l’arte non eccedesse, la retorica naturalista non si infiltrasse nel misteriose tepore delle pagine e ciò nonostante le legittime inverosomiglianze dell’umile verità.

Cosa rende indimenticabile Una vita? Cosa racconta ancora oggi, a 140 anni dalla pubblicazione, il romanzo d’esordio di Maupassant?

Ripartiamo dalla trama. Jeanne, unica figlia del barone Simon-Jacques Le Perthuis e della baronessa Adelaide, all’età di 17 anni lascia il collegio e torna al castello paterno in Normandia, dove, fanciulla tenera e sognatrice, vive giorni felici e spensierati. Ben presto va sposa al visconte Julien de Lamare, di cui è romanticamente innamorata, ma, già al ritorno dal viaggio di nozze, la vita le si presenta ben più triste e cruda di quello che aveva sognato: Julien è un marito meschino e un uomo interessato. L’ha tradita con la serva Rosalia, sorella di latte di Jeanne, dalla quale ha avuto anche un figlio, e continua a tradire la moglie finchè muore tragicamente, ucciso dal marito di un’amante. L’amore e la tenerezza di Jeanne si riversano sull’unico figlio, ma Paul, cresciuto tra i vizi e l’indulgenza della madre, del nonno e della zia Lison, non ancora ventenne conduce una vita disordinata, giungendo perfino a fuggire in Inghilterra con una donna. Jeanne è rovinata e ridotta alla miseria dai debiti contratti dal figlio; la morte del padre e della zia Lison e infine la forzata vendita del castello nel quale era sempre vissuta non fanno che accrescere la sua disperazione. Rosalie, divenuta ormai una contadina benestante, si prenderà affettuosamente cura dell’antica padrona, la solleverà dallo smarrimento in cui è caduta e la guiderà con prudenza verso il buon senso. Finalmente Jeanne ha la consolazione di vedere le proprie giornate riempite dalla presenza della nipotina, la figlia di Paul, che lui le ha affidato, essendo morta la donna che aveva sposato. Rosalie, rivolgendosi a Jeanne, conclude con queste parole il romanzo: “Vedete, la vita non è così bella né così brutta come si crede”.

A differenza dei romanzi Madame Bovary, Madame Gervaisais, Germine Lacerteux, Therese Raquin, il titolo di Maupassant sembra voler dichiarare fin da subito la perdita di identità della sua eroina. Progressivamente Jeanne Le Perthuis des Vaud verrà spogliata di tutto ciò le appartiene. Uno dopo l’altro i suoi sogni crolleranno, relegandola a una condizione sempre più apatica e sconfitta. Con questo romanzo Maupassant esprimeva la propria invettiva nei confronti della condizione femminile.

La figura di Jeanne ricorda quella di Emma Bovary, e invita a riflettere sulle aspettative e sulle illusioni della vita, da un punto di vista femminile. Se nelle sale imperversa il brand movie Barbie che punta sull’ empowerment femminista, il vero messaggio rivoluzionario oggi è quello racchiuso nel romanzo di Maupassant è nello specifico nella frase finale sopracitata. La lapidaria frase viene pronunciata da uno spirito semplice e pragmatico, Rosalie, sorella di balia nonché serva personale e infine redentricedi Jeanne. Questa donna ha il potere di sigillare una storia che si pensava giunta ad un triste e scontato epilogo e che riapre, invece, le prospettive del reale. Jeanne è così vicina anche al lettore contemporaneo perché rappresenta la realtà che può susperare se stessa grazie all’intervento di un cuore semplice.

Jeanne è le speranze e le illusioni che hanno animato e animano tutte le donne, il fallimento di tante esistenze femminili oggi che credono di realizzarsi pienamente adempiendo ai precetti del progressismo femminista e transumanista.

L’invito è fare come Rosalie che intima alla sua padrona a guardare oltre se stessa e a reputare infelice il destino non suo ma di chi vive diversi scenari caratterizzati da povertà, guerra, miseria.

Guy de Maupassant con Una vita, offre una visione altalenante della storia, a tratti lirica e a tratti tormentata, che turba la sfera emotiva e al contempo attivando quella intellettiva. Fra tutti i narratori Maupassant è quello che esige meno indulgenza dai lettori, non la chiede perché non è mai monotono e nelle sue opere c’è l’interesse della curiosità e la morale di un punto di vista coerentemente mantenuto e mai imposto per fini di gratificazione personale.

Lo scrittore francese non è un ideologo e mostra come la realtà non sia un riflesso di una teoria, peculiarità della modernità e in particolare del nostro momento storico.

Guy de Maupassant, Una Vita