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“Win the Bank”…. Valerio Malvezzi e Massimo Bolla

LA CHIAREZZA D’IDEE DI MASSIMO BOLLA:
UN ESPERTO CHE BADA AL SODO E PUNTA IN ALTO

MASSIMO BOLLA a colloquio con Massimiliano Serriello 

Valerio Malvezzi ha stigmatizzato l’attitudine del neoliberismo a produrre inutili pezzi di carta ai danni delle sane aziende agricole. Massimo Bolla – suo partner associato, che per il corso “Win the Bank” costituisce l’anima del processo d’individuazione e creazione di valore, senza cui le competenze tecniche vanno a farsi friggere, la pensa uguale. E non le manda a dire. “Provate a contestare al marchio ‘Chicco’ che i suoi clienti sono piccoli ha spiegato, con aria complice, destando l’interesse delle persone presenti. Il sottoscritto, fosse pure solo per una questione che lo tocca, avendo la sorella maggiore, Giorgia Serriello, direttore generale della filiale italiana di Petit Bateau, un altro brand pensato per i piccoli, ha gradito la battuta. Che dà anche da pensare.
Per lui l’autoreferenzialità costituisce però l’intoppo maggiore. Da evitare, ribadisce con insistenza. Al pari della noia al cinema. Se Malvezzi, docente di comunicazione finanziaria fedele all’input multidisciplinare dell’economia umanistica, richiama alla mente Robin Williams nel cult “L’attimo fuggente”, Bolla rimanda – almeno a primo acchito – al Gordon Gekko di Michael Douglas.  In un secondo tempo gli occhi cerulei – pronti ad accendersi ogni qual volta la chiarezza d’idee coglie nel segno – svelano una sfumatura di indulgenza nei riguardi di chiunque voglia capire qualcosa in merito alle associazioni di categoria, al bisogno  di rimettere tutto in discussione ed essere percepito come affidabile dalle banche.
Quando succede, senza dare adito ad aridi fraintendimenti, Massimo somiglia più a Jeff Daniels: un attore avvezzo ai toni leggeri della commedia, che nondimeno nel thriller “Debito di sangue” dà del filo da torcere nientepopodimeno ché a Clint Eastwood.
Ma, al di là dei giochi citazionistici sulla settima arte, Bolla fa sul serio. L’arte è eterna, la vita è breve. Occorre andare al punto. Concretamente. 

*** ***** ***

1). D / –  Massimo, te lo chiedo da persona avventizia in materia ma curiosa, come si fa ad andare sul mercato col target e raggiungere il risultato? 
> R /  – Malvezzi è un divulgatore con una base culturale infinita che dà il buon esempio in tal senso. Un’azienda dovrebbe cercare di capire, all’interno della categoria in cui opera, se esistono delle nicchie con bisogni ed esigenze particolari. Per poi andare al sodo. A quel punto, dopo la giusta preparazione che segue all’individuazione, va comunicato  il  target a cui hai accennato nella domanda. In realtà vengono presentati ed escogitati il più delle volte prodotti ritenuti ‘fichi’, con cui sfondare, come per dire alle banche: se soltanto me lo finanziassi… Tipo, pure: non sai cosa ti perdi…
La verità è un’altra: ciò che piace a loro non è detto che piaccia ad altri. Specie a chi ci investe. Il rischio tangibile è di andare sul mercato con un prodotto basato, anziché sulle esigenze del cliente, sulle proprie. In tal caso se hanno la sfortuna di essere finanziati, si rovinano davvero. In modo irreparabile. Perché perdono tutto quello che hanno dato in garanzia. Compreso il capannone, per capirci, e succede di continuo. Troppe volte. 

2). D / – È chiaro: per essere credibili, la gente al tuo nome deve associare un’idea precisa. Altrimenti si paga dazio a cocenti delusioni, dovute all’autoreferenzialità anteposta in partenza all’urgenza di comunicare il marchio. Passando ad altro, Carmelo Bene ed Einstein hanno sempre fatto capire che in fondo il vincolo costituisce l’opportunità. Vale solo per i geni?
> R / –
Sai bene come la pensava Einstein: siamo tutti geni.
Ciascuno a modo nostro. Nel rispettivo campo di competenza. Se però ci misurassimo tutti nello stesso sport, per dire, assisteremmo al trionfo di un fuoriclasse e alla sconfitta di una serie di “schiappe”. Nelle frasi fatte, tipo dietro ogni crisi c’è una possibilità, risiede un fondo di verità: dietro la malattia, c’è la medicina che la cura. Fuori discussione.
In questo momento ci sono problemi con le banche; io e Malvezzi abbiamo la medicina. La mancanza di cultura, tuttavia, sta facendo danni: le persone devono capire che i cambiamenti vanno studiati come hanno studiato le cose di prima. Sennò uno può dare un caro caldo saluto alla possibilità d’imprimere valore emozionale, come dici tu, al brand.  Valerio, per altro, sulle ali del suo sano entusiasmo, diffonde tanto di quel materiale  gratis che c’è gente che si è aperta lo studio facendo tesoro dei suoi dettagliatissimi consigli. L’impasse però d’imprenditori che, come molte donne, vogliono dimagrire, ma senza fare la dieta, persiste.  Noi, come associazione dei finanziamenti d’impresa, c’impegnamo a portare in ogni PMI (piccola/media impresa) ciò che serve. Non basta dire: lontano dalle ‘confort zone’ la creatività si aguzza e dà vita a effetti eminentemente concreti.
La carica di adrenalina, quando è frutto di un discorso motivazionale preparato ad arte, muore all’alba. Come i sogni di gloria. Occorre acquistare consapevolezza sul campo. In questo momento gravitano invece nel mercato migliaia di proposte capestro con l’inghippo. Li ci si fa male. Ti dicono: pensiamo a tutto noi. Poi, invece…

3). D / – A Roma si dice che lo sbaglio è di chi si fa fregare, non di chi frega. Per valorizzare anche la minima differenza di un prodotto, e credere nel progetto affinché ci credano gli investitori, un po’ di sofferenza va messa in conto. Sarà una frase fatta, ma come riesci a cambiare la testa a chi vuole la botte piena e la moglie ubriaca?
> R / – 
Perdona se insisto. È lapalissiano: se uno non lavora,  non combina niente. Più lavori, più guadagni. Sia il pigro sia quello che si fa fregare, mettila come meglio credi, nel momento dell’estremo bisogno si rivolgono al ‘risolutore principe’ delle pmi: il commercialista. Che, però, è in altre faccende affaccendato. Quasi mai nel campo della finanzia d’impresa. Occorre far capire che il sacrificio è indispensabile. Vendere cose come il controllo di gestione serve a ben poco. Un conto sono poi le indicazioni economiche, un altro quelle patrimoniali. Non è comunque mai un software che dà una mano quando le cose sono complesse. Il software dà informazioni. A chi le sa leggere ed elaborare.
Noi, come associazione dei finanziamenti d’impresa, abbiamo una persona unica nel suo genere, Malvezzi, che traduce, divulga, spiega ed entusiasma. Allora con lui davvero i numeri, una volta tradotti, non sono più aridi. Con la giusta, instancabile, accurata valutazione, si va incontro all’evoluzione del mercato. Si deve però, prima, ripeto, individuare un’esigenza pratica che costituisce una nicchia. 

4). D / – In merito proprio al ‘risolutore principe’, destinato a fare i conti col nuovo  che avanza, quali sono le opportunità di business, offerte dai cambiamenti, da cogliere giocando d’anticipo?
> R / – 
Oggi chiunque nel campo dell’impresa quando va in banca deve firmare un contratto preliminare di finanziamento. Sono in pochissimi quelli che sanno leggerlo. Gli avvocati che curano determinati interessi si fanno affiancare da esperti come Malvezzi per tradurlo in un linguaggio comprensibile. Se non si comprendono i rischi, ivi connessi, si commettono sbagli irreparabili. Bisogna andare a fondo nelle cose. Cercare di specializzarsi individuando le necessità. Tu, per esempio, Massimiliano, come giornalista, rispetto ad altri tuoi colleghi, su cui preferisco stendere un velo pietoso, contatti due o tre esperti, ti fai un’idea, elabori, approfondisci, divulghi ma non fai pubblicità né propaganda. Con le cose che scrivi, e per come le scrivi, segnali, crei opportunità. Nel rispetto della verità sostanziale dei fatti. Però, sia in campo economico sia nel campo dell’informazione, non bisogna mai fermarsi in superficie. 

5). D / – Non ci piove. Il giornalista deve controllare le notizie, farsi interprete del pensiero altrui, mantenendo il proprio, per poi lasciare il giudizio a chi legge. Montanelli diceva di tenere fede al proposito di scrivere in modo da essere capito anche da un lattaio dell’Ohio. Tu – come esperto conscio che della liquidità con cui Mario Draghi (Presidente di Banca Centrale Europea) ha inondato il mercato quasi nulla è andato alle pmi – da chi vuoi essere capito? Da commercialisti e imprenditori? O pure dal professionista che valuta, a ragion veduta, alternative al sistema bancario?
> R / – 
In determinati frangenti mi rivolgo ai commercialisti, in altri agli imprenditori. Con entrambi stabilisco un contatto distinto. Ho la fortuna di provenire, come background, da ambedue i settori. Io stesso sono un imprenditore.  Ci sono a volte professionisti a cui piace smontare le idee altrui. È un vizio comune a tanti ed è anche abbastanza semplice. Ben più difficile è costruire. Esistono pure giornalisti che vogliono solo distorcere le cose con malizia. Quando c’è buona fede, e spesso accade, ben venga invece il confronto.  In quel caso i professionisti di cui parli non sbagliano nel dire di valutare le alternative – come incubatori, fondi, mercati borsisti con indici per le pmi – al fine di finanziare la crescita.
Noi abbiamo un corso, Master Bank, dove teniamo conto delle opzioni. Nel momento in cui ho le credenziali in regola, posso rivolgermi a un fondo. L’importante è calarsi nei panni di tutti, capire come la pensano e agiscono, le decisioni che prendono. Praticità è la parola chiave. 

6). D / – Prima hai posto l’accento sulla  necessità di comprendere i rischi. Visto e considerato che valutare la solvibilità di una PMI con l’analisi dei bilanci non basta, un’analisi dei rischi cambia le cose o è un po’ come sapere le risposte prima?
> R / –
  
Il concetto di valutazione del rischio è insito in ciascun individuo. Tieni presente che esiste una normativa per cui le aziende devono fare l’analisi dei rischi. Puoi ben immaginare: da quando è venuta fuori, la gente ha cominciato a scrivere una marea di fandonie. Io invece ho pensato: adesso è il momento di fare sul serio. Ci sono rischi che per lungo tempo sono stati sottovalutati. Se un fornitore particolare salta, ad esempio, non si possono più fare le consegne. Diventa necessario prendere informazioni, capire da vicino chi è quel fornitore. Una banalissima analisi può mettere in evidenza le criticità e le inefficienze in modo da non farsi trovare impreparati. Identificando gli input, e tanto le cose da modificare quanto quelle da gestire, la qualità del prodotto, requisito decisivo, cresce. Senza dover sostenere spese impossibili. 

7). D / – Se le microimprese, nemmeno le PMI vere e proprie, per ovviare alla tendenza all’individualismo, si consorziassero, facendo ricerca comune per poi mantenere ciascuna la  specifica differenza qualitativa, in che termini le cose migliorerebbero?
> R / – 
Al microimprenditore che sgobba venti ore al giorno, come  fai a dirgli di studiare  il marketing e la qualità? Occorre quindi mettersi insieme, con tutte le difficoltà che questo comporta. Ognuno lavora a modo proprio. Trovare il  giusto equilibrio non è facile. Da par mio cerco di smussare attriti ed eventuali ripicche di tipo individualistico. Il lavoro di marketing, d’altronde, non sta appresso a gelosie ed esigenze particolari della singola persona, bensì preserva il brand che serve per la crescita. Ognuno contribuirà secondo le proprie possibilità. Quindi: consorziati sì, ma  nel modo giusto. Se si segue un determinato percorso, a un certo punto tutti ci arrivano: lavoriamo sull’esigenza. Quella conta.