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L’Arte della guerra – De re militari di Machiavelli

La Fortuna ci lascia se non vi è un capo autorevole  

Raffaele Panico

 “Mancò la fortuna non il valore” è la celebre frase che accompagna il riposo dei Nostri caduti ad El Alamein che mitiga, se mai fosse possibile, il ricordo che è stata una sconfitta. Sconfitta marcata due volte visto che la Libia era ben integrata grazie alle opere infrastrutturali e di inclusione sociale condivisa con le popolazioni nelle provincie della cosiddetta Quarta Sponda. I termini dell’italiano tengono alla durata dei secoli a modo delle parole di Dante che citano il deserto libico nella Divina Commedia.

Il comandante del XXXI battaglione guastatori alpini, Paolo Caccia Dominioni, disse che ad El Alamein “i nostri soldati si aggrapparono, ciascuno al proprio pezzo di deserto, quasi fosse terra promessa”.

Dovremmo pensare se mai fosse stato possibile che Italo Balbo, governatore della Libia ed artefice del miracolo economico libico, avuta ben chiara la suprema ragion di Stato e l’interesse degli italiani e dei popoli ben inseriti nelle provincie d’Oltremare, e dunque avesse operato al fine di spodestare il Duce che oramai trascinava il Paese verso l’abisso, era una cosa ben chiara… doveva meritarsi le Patrie galere per alto tradimento, anni prima del tardo 25 luglio 1943. Questo, già molto prima dell’infamia delle leggi razziali. Eppure l’Italia era stata la nazione del primato nel conseguire indipendenza e libertà nel moto generale del Risorgimento in Europa dopo la Primavera dei Popoli 1848-49. Nazione giovane destra e gagliarda oltre che tenace e fiera uscita gloriosa dalla Piccola Guerra 1911-12 contro l’Impero Ottomano, e ancor più contro gli Imperi centrali 1915-18, seppur offesa per la Vittoria mutilata. Risolto persino il problema dell’inserimento dei cattolici nella vita politica del Paese, non apparivano conflittualità con altre religioni nella grande area dell’Impero italiano. Cosa fare dunque per mitigare questa ferita? Ricorrere alla storia della cultura italiana cosa, che non tenne bene a mente proprio Mussolini che, non solo dell’ingresso nel conflitto mondiale era colpevole, ma della guerra civile in Spagna, della resa o cessione o anschluss dell’Austria alla Germania, l’infamia indelebile delle Legge razziali, aver in breve perso il timone della nave dimostrando non esser più non solo “Il Principe” di Machiavelli, da incarnare tenendo a mente anche l’altra sua opera “L’Arte della guerra” (De re militari) del 1520 che andava parimenti seguita ed onorata. Questa opera pone Machiavelli a livello di primo teorico militare moderno, dopo i Commentari di Cesare o le opere di Polibio, perfino pari alle guerre e battaglie napoleoniche o a un von Clausewitz. Machiavelli concepisce un esercito moderno, organizzato politicamente, con milizia popolare e territoriale cosa che all’Italia del dopo Vittorio Veneto certo era sangue pulsante nelle vene e nell’animo di ogni italiana e italiano. In breve è l’antitesi del comando assoluto di tipo feudale un uomo solo al comando. È l’apoteosi della antica legione romana, guerriera e dedicata strutturalmente alla disposizione sul territorio, fedele alla Patria, si struttura in modo flessibile e a secondo dei luoghi. Cosa però fa la differenza? È la razionalità del Capo militare alla guida dell’intera nazione la quale è informata e ben disposta a fornire uomini e mezzi per la difesa della Patria. Ironia della mala sorte: se il monarca o i generali avessero posto al di sopra dello Scranno di Mussolini lo stemma di Bernardo Rucellai ispirato a Marsilio Ficino, che raffigura la nave che ha per albero maestro una Donna nuda ovvero la Fortuna, che nella mano destra tiene la parte inferiore della vela rigonfia dal vento e nella sinistra la vela maestra, così la razionalità del Capo è assolutamente indiscussa perché è la Virtù che lo guida ed egli altro non deve fare che seguire il vento per potersi destreggiare e portare la Nave in porto. Ma, il Duce, accecato dal falso mito europeista del Führerprinzip di unificare il continente, ha tradito la Fortuna dell’Italia cinta ancora una dalla divina grazia del baluardo delle Alpi, naturale corona pregiata a cingerle il capo, una grazia ottenuta per arte militare e tenacia della Nazione tutta intera e conseguita dopo tanti secoli il 4 novembre 1918. Il mare che unisce i tre continente doveva essere il mito ieri come in questi anni, il Mare Nostrum.

     Guardare a Berlino dalla Vetta d’Italia sulle Alpi orientali vuol dire non farsi dettare le sue imposizioni, rea ieri e da sempre come oggi, del tradimento d’Arminio nella cupa e triste foresta di Teotoburgo.   

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