Ci eravamo già emozionati a febbraio 2020 quando, in occasione del 25° anniversario della serie, la Warner Bros. aveva annunciato che i protagonisti di Friends si sarebbero riuniti di nuovo. Ma lo show revival è costato lacrime e sudore. Questo gruppo di amici stabilitosi a New York – che sono poi diventati una famiglia per scelta e ci hanno lasciato in eredità alcuni dei momenti più comici e accattivanti della storia della televisione – è ancora con noi e, nonostante gli anni, le sue avventure non passano di moda né sembrano smettere di saperci confortare.
Finalmente però, come ha informato la BBC giusto qualche ora fa, dopo il ritardo nelle riprese – che erano previste per agosto dello scorso anno – il reunion show è stato girato la settimana scorsa,presso gli studi Warner di Burbank (Los Angeles), e andrà presto in onda su HBO Max, esattamente 17 anni dopo la messa in onda dell’ultimo episodio della serie, da sempre fra le più amate dal pubblico. La data specifica è ancora da stabilire.
Anche TMZ ha riferito la notizia, riportando che l’atteso episodio speciale è stato registrato con un pubblico per la maggior parte composto da “comparse del sindacato attori”, rispettando tutti i protocolli di sicurezza Covid, dato che che la pandemia avrebbe impedito la presenza dei soliti fan sul set. Nondimeno, non sono mancate piccole anticipazioni sul programma, che in questi giorni sono circolate sui social, pubblicate sia da parte dei presenti alle riprese che dagli stessi attori.
Come aveva commentato mesi fa Kevin Reilly, responsabile dei contenuti di HBO Max, in un’intervista per l’Hollywood Reporter, il ritorno televisivo di questa famiglia elettiva consentirà alle piattaforme di recuperare ai vecchi fan della serie e di guadagnarne di nuovi. E in effetti, nonostante gli anni, le repliche di tutte le stagioni precedenti continuano a funzionare a meraviglia nei cataloghi di piattaforme come Netflix, Amazon Prime Video o HBO.
Ovviamente però, dopo quasi due decenni di attesa per il ritorno di Jennifer Aniston, Courteney Cox, Lisa Kudrow, Matt Leblanc, Matthew Perry e David Schwimmer, non possiamo che augurarci con entusiasmo che la riunione del nostro cast preferito non deluda.
Quando il ragno tesse la tela della violenza domestica,
quale tutela e protezione per le vittime?
di Alice Mignani Vinci
“Nessun posto è bello come casa mia”: così recitava la giovane Dorothy nel celebre lungometraggio disneyano “Il Mago di Oz”. Eppure, tra quelle che dovrebbero essere mura sicure, culla degli affetti e rifugio dagli affanni, si annidano sovente regimi del terrore, sopraffazioni, abusi, paura soffocata e rinchiusa in una prigione.
Una emergenza, quella della violenza domestica, che il presente legato alla pandemia e alle relative restrizioni ha esasperato oltremodo, inutile eludere il dato oggettivo: la violenza è cresciuta in modo esponenziale a seguito delle misure adottate dal governo per il contenimento dell’epidemia da Covid-19.
articolo di Alessandra De Tommasi via vanityfair.it
Il premio Oscar Anne Hathaway torna in scena con un progetto a metà tra la commedia e l’heist movie. Si chiama Locked Down ed è un progetto nato e girato interamente in tempo di pandemia. In arrivo dal 16 aprile in anteprima digitale, vanta nel cast Chiwetel Ejiofor e Ben Stiller.
Il carnet di ballo di Anne Hathaway è pienissimo. Tra i progetti in arrivo ci sono due serie tv (Solos con Helen Mirren e WeCrashed con Jared Leto), oltre a quattro film, tra cui Armageddon Time che la riunisce a Robert De Niro, dopo Lo stagista inaspettato (Netflix). L’attrice Premio Oscar, che di recente ha chiesto al mondo di essere chiamata “Annie” (il nome di battesimo lo usa solo la madre quando è arrabbiata con lei), in collegamento dal luminosissimo open space del soggiorno racconta la “ripresa” dopo lo stop forzato dovuto all’emergenza Covid-19.
Proprio durante la pandemia, infatti, ha girato Locked Down di Doug Liman, in arrivo in esclusiva digitale sulle maggiori piattaforme (da TIMVision ad Apple TV) a partire dal 16 aprile.
Nella pellicola interpreta Linda, una donna che molla il partner Paxton (Chiwetel Ejiofor), ma è costretta a viverci insieme a causa del Coronavirus. Questa convivenza forzata porta ad organizzare un colpo ai danni di Harrods. E sì, forse la storia scritta da Steven Knight (Peaky Blinders) strizza l’occhio a Ocean’s 8 (ora su Netflix), ma la cosa non dispiace. Questa commedia romantica che diventa heist movie ha inoltre la particolarità di essere nata e girata tutta durante la pandemia, cornice surreale eppure attualissima per la messa a punto di questa rapina.
Anche il progetto precedente di questa schiva ma volitiva 38enne newyorkese (Le Streghe) ha saltato la sala per approdare online e sembra quasi una lettera d’amore ai due figli, Jonathan e Jack, anche se ancora troppo piccoli per la visione.
Quanto è stato liberatorio tornare sul set per Locked Down?
«Più di quanto non riesca ad esprimere: la sola idea di tornare a lavorare era eccitante e l’ho vissuta come una sfida».
Cosa l’ha colpita del progetto?
«Il copione mi ha catturato per lo spessore della scrittura. Le vicende raccontate hanno un sapore autentico e profondo e fanno scattare qualcosa dentro, una presa di coscienza di cui non ti rendi neppure del tutto conto».
Una scena in particolare?
«Ad un certo punto Linda fa un monologo che sembra una sorta di allucinazione sul capitalismo e mi è sembrato talmente onesto che lo reciterei in ogni film».
Il mondo ha bisogno d’intrattenimento?
«Siamo tutte anime ferite in cerca di guarire, dobbiamo rimetterci in piedi e ricominciare e questo film può aiutare».
Il ruolo precedente, quello di Grande Strega Suprema, è di natura totalmente diversa, anche se poi entrambi i film sono stati destinati alle piattaforme e non al cinema. Cosa l’ha divertita di questa trasformazione fisica – anche discussa – per incarnare la magia?
«Lei è estrema, teatrale, anzi melodrammatica in tutto quello che fa: nel piano di trasformare i bambini in topi diventa ossessionata da questa idea che esprime sempre sopra le righe. Tanto che per interpretarla il regista Robert Zemeckis mi ha chiesto di non considerarla come un essere umano ma come uno di quegli animali in preda agli istinti, senza filtri».
Da mamma, quale parte della favola di Roald Dahl, la entusiasma?
«Mi piace che si dia il potere ai bambini, che si mostri loro anche il lato oscuro del mondo rendendoli consapevoli dei pericoli. In questo modo affrontano le proprie paure in maniera naturale, perché sanno di avere la meglio sulle difficoltà. E poi un tocco di magia di certo non guasta».
Per lei non è stato certo un debutto tra i personaggi di fantasia, con un passato da Catwoman, giusto?
«E pensare che non avevo la minima familiarità con Batman e i fumetti… anche in quel caso interpretavo il ruolo di un’egoista, di quelle che non tengono in considerazione i sentimenti e le ragioni di nessun altro a parte se stessa. Il che, devo dirlo, come attrice è molto divertente».
Di questi tempi si parla tanto di mascolinità tossica, lei che ne pensa?
«Mi piace considerare la faccenda da un punto di vista diverso: il mondo maschile si sta evolvendo e finalmente gli uomini sembrano maggiormente a loro agio nell’esprimere le emozioni».
Sebbene la coppia di influencer si sia più volte pregiata di grandi gesti di solidarietà e sensibilizzazione, sulla legge Zan ci sentiamo di dire basta. Si, perché mettere in luce salute e cultura è una cosa, accendere i riflettori su questioni delicate come la legge sulla trans-omofobia è invece tutt’altro.
Parlare della legge Zan, non è come fare una foto al museo, né è una campagna crowdfunding: la questione è di spessore ben diverso. Dalla terminologia usata, che suscita la perplessità di molti, anche di associazioni femministe. Alle problematiche etiche, messe in rilievo sia dall’On. Vittorio Sgarbi e dall’On. Giorgia Meloni, relative all’educazione in età pre-sviluppo di tematiche riservate a maggiori di 14 anni. Sino alle brillanti osservazioni di Gaetano Quagliarello, che in un’intervista su l’Huffington Post, spiega come la sessualità “fluida” rischia di vanificare decenni di lotte femminili.
Ognuno di noi ha un fenomeno con cui descrive l’inizio, la durata o la fine della sua adolescenza. E sono quasi sicura che, per quelli nati negli anni ’90, quel fenomeno sia segnato dal passaggio da una tecnologia oldschool a una quasi all’avanguardia. Per me, l’adolescenza è iniziata all’alba della seconda media, quando un nuovo mondo è entrato nella mia camera da letto nel modo più ingombrante possibile: un computer fisso a schermo “piatto” (piatto= 15 cm quindi praticamente un comodino).
All’inizio giocavo a Campo minato, Freecell (avanguardia pura) oppure disegnavo simil Kandinsky su Paint. Poi, un giorno, qualcuno mi ha detto che non dovevo più spendere soldi al telefono per mandare messaggi, non dovevo più fare squilli per provarci con i ragazzi, non dovevo più cambiare da Tim a Vodafone in base alle migliori offerte telefoniche estive, di quelle “500 messaggi, 500 minuti, 10 mms” (che poi, gli mms, chi li ha mai mandati?). Non dovevo più perché era arrivato Windows Live Messenger, comunemente chiamato MSN,uno dei primi servizi gratuiti di messaggistica istantanea.
Ignara di tutte le gioie che avrei ricevuto di lì a poco grazie a questo nuovo macrocosmo ho deciso di scaricarlo, soprattutto perché tutti continuavano a chiedermi “ma tu ce l‘hai msn?”. La procedura prevedeva un indirizzo di posta elettronica e una password. Ricordo che la scelta non era stata semplice, a partire dal fatto che molti dei miei primi tentativi erano già stati scelti da qualcun altro: “ilag…@katamail.com”: niente, già utilizzato; “IlariAA…”: anche questo già scelto. Continuavo a chiedermi quante Ilaria con il mio cognome esistessero. Finché non ho scoperto che esistevano una serie di trattini (basso, alto, piccolo, lungo) che potevo utilizzare per distinguermi dalle mie omonime. Chissà quante persone non ho mai avuto tra i contatti solo per un trattino sbagliato.
Alla fine ce l’ho fatta: ilarietta_1992@katamail.com. Quando davo il mio contatto mi vergognavo sempre, ma a posteriori posso dirmi soddisfatta della mia sobrietà rispetto a robe del tipo “p4t4t4_69_@libero.it”. La password invece era per me fonte di sfogo costante. Spesso iniziava con “vaffanculo” e finiva con il nome di qualcuno a cui dovevo gran parte del mio rancore. Terminata la registrazione ho dato il benvenuto a quello che sarebbe stato successivamente il mio angolo segreto a cui avrei dedicato l’attenzione di ogni sera. Se prima non mi andava di studiare, con MSN ho proprio seppellito la mia già scarsa dedizione allo studio.Tornavo dagli allenamenti alle otto di sera e con tazze di latte e nutella, prima di cena, iniziavo a massaggiare. Poi cenavo, e subito di nuovo incollata a quella sedia.
Talvolta quando sentivo il computer squillare mi alzavo da tavola facendo finta di dover andare al bagno, ma in realtà sgattaiolavo in camera a vedere chi mi aveva scritto. La cosa geniale di MSN era che in situazioni di “non risposta” invece delle odierne spuntature blu, che per me sono il male del mondo, esistevano i trilli.Non mi rispondi? allora ti mando un trillo. Ma non solo: il trillo di MSN era anche un motivo di flirt, come i vecchi squilli a ripetizioni fatti con il 3310. Solo che il trillo creava un contatto diretto per cui tu, dopo averlo ricevuto, ti ritrovavi la schermata davanti e la possibilità di poter scrivere a chi te lo aveva mandato. Il trillo era un brivido o anche il momento esattamente precedente al brivido. Un’eccitazione tecnologica, un bacetto sul collo virtuale. Se qualcuno ti mandava un trillo era già storia d’amore. Perché di fatto rappresentava una dichiarazione di interesse, e da lì nascevano tante di quelle pippe mentali che potevi immaginare qualsiasi cosa. Rispondere ad un trillo in maniera compulsiva poi era come fare l’amore. Che poi il giorno dopo a scuola quella persona non la salutavi nemmeno.
Arriviamo alla vera novità che MSN aveva portato oltre alle emoticon: gli status. Ti dava la possibilità di identificarti e descriverti con una sola frase, con dei simboli, con un colore. I più eccentrici scambiavano numeri per lettere, le parole avevano ognuna un colore diverso e i contenuti erano spesso inni all’amore o all’amicizia. Io non appartenevo a quella categoria, ero di quei tipi alternativi forse ancora più insopportabili che mettevano frasi degli Oasis del tipo “You Have To Give It All In All Your Life”, senza cuori però, mai!
Senza alcun dubbio la vera avanguardia di MSN era il blog. Qualcosa di molto simile alle schermate di Instagram e Facebook, dove poter pubblicare pensieri, invettive, foto, questionari autoreferenziali (domande generiche a cui si aggiungevano cose del tipo “ti sei mai ubriacato?” – “non ancora”). Tante volte avrei voluto ritrovare il mio blog di MSN per vedere quanto imbarazzante fosse la mia identità virtuale. Ho provato a recuperare le credenziali e riaccendere al sistema, ma invano, anche perché la mia ultima password imprecante non ricordavo e non ricordo più a chi fosse indirizzata. Su yahooanwers ci sono effettivamente molte persone che, come me, si sono posti lo stesso problema. “Come faccio a recuperare il mio vecchio blog MSN” è una domanda frequente, ma nessuno di questi tempi c’è mai riuscito. Forse è meglio per tutti, forse è romantico ricordare quei tempi con nostalgica vergogna.
MNS lega alla mia memoria una potente spensieratezza di cui ormai non ricordo più la forma. Ricordo solo l’angolo della mia stanza pitturato di viola, una sedia scomoda, un computer ingombrante, un sonno incontenibile che poteva essere sostenuto soltanto dall’uso ossessivo che facevo di MSN. Le ore piccole, le sveglie insopportabili, le lunghe giornate che finivano sempre lì davanti a quelle colorate chat, con gli occhi rossi e i capelli ancora sporchi perché “la doccia la faccio domattina, magari quello che mi piace mi scrive proprio ora“.
Esce domani 9 aprile Onlife Fashion. 10 regole per un mercato senza regole il libro di Giuseppe Stigliano e Riccardo Pozzoli, scritto con Philip Kotler e con una prefazione del filosofo Luciano Floridi
di Giulia Crivelli via Il Sole 24 Ore
Anni fa, prima della rivoluzione portata da internet, qualcuno propose di istituire una giornata mondiale del dialogo tra generazioni, immaginando i più giovani in attento ascolto dei racconti di vita e lavoro di chi li aveva preceduti. Forse ancora più utile sarebbe una giornata dedicata al dialogo vero, allo scambio di punti di vista, oltre che all’ascolto passivo. Certo, deve esserci la volontà di abbracciare il nuovo da parte di chi viene da lontano e il rispetto da parte di chi è nato in una realtà diversa, molto più recente. Questa alchimia è riuscita a Philip Kotler, Riccardo Pozzoli e Giuseppe Stigliano (nella foto) e ne è nato il libro Onlife fashion. 10 regole per un mercato senza regole, pubblicato da Hoepli, che sarà disponibile, in libreria e formato e-book, dal 9 aprile.
L’industria della moda come spunto
È incentrato sulla moda, ma, come dice la scelta dell’aggettivo onlife (non è un refuso!) suggerisce riflessioni e trae conclusioni che possono valere per molti altri settori. La rivoluzione digitale si inserisce in un mondo già profondamente trasformato dalla globalizzazione. Anzi, ne è forse una necessaria evoluzione: Internet però non ha cambiato solo i processi economici e gli equilibri geopolitici tra Paesi, ha stravolto la vita di tutti noi consumatori, oltre a quella delle aziende di ogni dimensione. «Lavorare con Kotler è stata una sorpresa e allo stesso tempo un sogno realizzato – spiegano quasi all’unisono Pozzoli e Stigliano – È il maggiore esperto di marketing di tutti i tempi e ha scritto oltre 60 libri, ma le sue osservazioni e riflessioni potrebbero essere quelle di un illuminato nativo digitale».
L’esperienza degli autori
Libri, articoli ed esperienza ne hanno anche Pozzoli e Stigliano. Il primo, 34 anni, è imprenditore, business angel, fondatore di start up e consulente per grandi gruppi della moda; il secondo, oltre a insegnare allo Iulm, dal 2019 è ceo di Wunderman Thompson Italy dove guida un team di oltre 200 talenti con competenze che abbracciano strategia di business, creatività, tecnologia e dati. La differenza tra i due è che Pozzoli è da sempre focalizzato su moda e lusso (parola che peraltro non ama), mentre Stigliano segue anche altri settori. «Abbiamo scritto il libro durante la pandemia e questo ci ha aiutati – spiegano – Primo, perché dopo lo choc iniziale che ha colpito tutti, abbiamo usato la mancanza di impegni quotidiani in presenza e l’assenza di “rumori di fondo” per concentrarci e far germogliare una serie di idee nate ben prima del Covid. Il secondo vantaggio è stato parlare con protagonisti del settore che vivevano in prima persona l’accelerazione digitale imposta dai lockdown produttivi e commerciali. Tutti ci hanno spiegato che in un anno hanno realizzato piani che avrebbero dovuto svilupparsi nel doppio o triplo del tempo».
Testimonianze dei protagonisti
Con una prefazione del filosofo Luciano Floridi, che ha coniato il termine onlife, il libro continere i contributi di Leo Rongone (ceo Bottega Veneta), Brunello Cucinelli (Presidente Esecutivo e Direttore Creativo Brunello Cucinelli), Carlo Capasa (presidente Camera nazionale della moda), Fedele Usai (ex ceo Condé Nast), Alfonso Dolce (ceo Dolce&Gabbana), José Neves (fondatore, co-chairman & ceo Farfetch), Marco Bizzarri (ceo Gucci), Remo Ruffini (ceo Moncler), Lorenzo Bertelli (Head of Marketing & Head of Corporate Social Responsibility Prada), Micaela Le Divelec Lemmi (ceo Salvatore Ferragamo), Gabriele Maggio (ceo Stella McCartney), Jacopo Venturini (ceo Valentino), Jonathan Akeroyd (ceo Versace), Federico Marchetti (chairman e ceo YNAP), Francesca Bellettini (ceo Yves Saint Laurent). A tirare le fila però sono Kotler, Pozzoli e Stigliano, suggerendo dieci regole per governare uno scenario in cui l’unica costante pare essere il cambiamento.
Cinque forze e dieci regole
Partendo dall’analisi della situazione attuale gli autori individuano in prima battuta le cinque forze che maggiormente hanno influito sulla sua trasformazione, vale a dire: accelerazione, ibridazione, disintermediazione, sostenibilità e democratizzazione. Dopo questa panoramica, e grazie alle interviste, alle ricerche e ai contributi raccolti, vengono quindi delineate dieci regole per governare uno scenario in cui l’unica costante pare essere il cambiamento. Dall’importanza di bilanciare l’esclusività dei prodotti con l’inclusività della propria cultura (be inclusive), alla necessità di costruire una narrazione consapevole e strutturata del brand (be timeless), fino alla gestione dell’equilibrio tra crescita del fatturato e tutela del marchio (be anti-fragile), i dieci principi di Kotler, Pozzoli e Stigliano intendono fornire una chiave di lettura per decifrare quello che si presenta come un vero e proprio cambio di paradigma del settore del fashion.
Bussola post Covid
Una originalissima bussola in un mondo che non ha più punti cardinali, potremmo dire, con un vago senso di smarrimento. «L’augurio migliore che si può fare a una persona è quello di vivere in tempi interessanti – concludono – Questi lo sono: il vantaggio che abbiamo noi esseri umani rispetto a qualsiasi tecnologia è la flessibilità del pensiero. A patto di sfruttarla».