Skip to main content

Autore: Massimiliano Serriello

Classe 1975, Romano d'ascendenza Cilentana e Toscana, Giornalista, Saggista, esperto in critica cinematografica e sport

A colloquio con Boris Sollazzo sul ruolo della critica cinematografica

LA FUNZIONE DELLA CRITICA SECONDO BORIS SOLLAZZO:
UN ESPERTO DI CINEMA CHE CREDE NELL’UTILITÀ DEL DIALOGO

Una conversazione con Massimiliano Serriello

La dialettica tra critici e registi cinematografici è fondamentale per Boris Sollazzo, attivissimo nel commisurare attenti giudizi sulla vicendevolezza di spettacolo, cultura ed elementi segnaletici. In qualità di collaboratore di “Ciak”, “Film Tv”, “Panorama”, “Rolling Stone”, sul piccolo schermo, per La Rosa Purpurea del Cairo su Radio24 e sull’amata Radio Rock. È importante perciò comprendere il destinatario a cui la recensione si rivolge. I guasti della grancassa non lo lasciano indifferente. Distinguere tra cinema d’autore e cinema commerciale lascia il tempo che trova. Almeno a parer suo. È molto più urgente evitare di confondere le kermesse con i festival. Stimolare gli spettatori in termini intellettuali è compito fondamentalmente del regista. L’aura contemplativa, insieme al valore drammatico ed evocativo connesso alla scrittura per immagini, con certi movimenti di macchina e i piani-sequenza che esercitano un ascendente indiscutibile sugli amanti della fabbrica dei sogni, racchiude il mistero dell’arte. Meglio ancora: della Settima Arte. Come il decano dei critici nostrani, Ricciotto Canudo, ribattezzò l’invenzione dei fratelli Lumière.

Continua a leggere

A colloquio con Maria Pia Paravia, autrice di libri d’arte che cattura gli istanti epocali

LA RICERCA DELLA SEMPLICITÀ DI MARIA PIA PARAVIA:
UN’ INTELLETTUALE DEDITA ALLA GEOGRAFIA EMOZIONALE

Una conversazione con Massimiliano Serriello

Non è certo un caso che Pioggia nel pineto di Gabriele D’annunzio sia la sua lirica preferita.

Il senso di appartenenza si va ad amalgamare a spron battuto alla conoscenza delle immagini del territorio. La loro evocazione, lungi dal fermarsi in superficie, penetra le viscere e colpisce tanto al cuore quanto al cervello. I mezzi per raggiungere l’espressione artistica spesso sono più misteriosi del dovuto. La colpa è dei tromboni che si atteggiano a eruditi spiegando in modo difficile cose in verità semplici. A Maria Pia Paravia interessa compiere l’operazione contraria. A beneficio dei lettori che non devono sentirsi intimiditi dalla ricercatezza di un linguaggio per certi versi terroristico.
La geografia emozionale l’ha guidata nella stesura del libro Pompei. Crononi: gli ultimi istanti.
La densità lessicale impreziosisce la scelta di parole brevi, intense, folgoranti.
Le possibilità di rilettura ed ergo di riflessione vanno oltre certe elucubrazioni care ai falsi esperti che vogliono fare la parte dei leoni, anche se hanno il cuore delle pecore e l’occhio annebbiato quando si tratta di discutere gli elementi costitutivi dell’estro.
Le poche righe, intrise di un lirismo pervicace, con dei cortocircuiti talora perfino schernitori, favoriscono invece il passaggio dal lavoro di sottrazione, fiore all’occhiello dei maestri dell’antiretorica, alla negazione della morte. La grande mietitrice non è mai nominata ma orienta la signora Paravia pure nei cascami teatrali ed espliciti rei, di quando in quando, di smentire la natura asciutta ed essenziale dei nastri di partenza. La folta galleria dei personaggi, costretti a coniugare la loro vita all’imperfetto nel momento in cui Pompei resta vittima dell’atroce evento eruttivo, riesce, al contrario, ad appaiare i timbri interiori ed esteriori e conferire, perciò, la stessa precisione di accenti e sfumature a un’ampia gamma di umori.
L’istante prima della fine diviene un valore di rappresentazione inedito, sebbene gli echi cinematografici si sprechino, perché congiunto al livello d’iconocità costituito dai quadri, dai graffiti e dalle sculture che accompagnano il lettore in un viaggio sui generis. Odi et amo. Viene da pensare a Catullo e al suo celebre distico giacché il confronto dell’amor vitae con il cupio dissolvi riserva molte sorprese.
I sentimenti contrastanti cedono poi spazio alla topofilia, intesa come amore per dei luoghi da proteggere. Bisogna evitare che la storia si ripeta imparando dal passato. Il monito per Maria Pia non assume tuttavia mai i toni saccenti dell’oracolo. La forza dell’ironia la sorregge al punto dal garantire una sapida pregnanza al disegno psicologico dei caratteri costretti a condividere lo spietato destino col luogo natìo. Il fatto predominante resta lo schietto desiderio di non trascinare mai il lettore nel tedio alleggerendo l’intero contesto con l’egemonia dell’autentico lirismo della narrazione sull’esplosiva ambiguità della poesia. Che si manifesta lontano dai fuochi fatui del consumismo e dal dubbio gusto del pettegolezzo. Il gusto dimenticato sta addosso al presente. Il recupero della lingua osca, scambiata per un’operazione arcaica dagli scettici avvezzi a usare le scorciatoie del cervello, rinsalda un tipo di fonetica capace di arricchire la dimensione spoglia ed evocativa dei versi. Ulteriormente impreziositi dal margine d’enigma ad appannaggio dell’arte.

La razionalizzazione dell’assurdo, frammisto agli elementi del reale legati al senso dell’addio insito nel trapasso, prevede la dolcezza riposta nell’illusione dei miracoli. Si tratta d’istanti fulminei. L’inevitabile avverrà. Ma aver saputo allargare i confini della fantasia non è un’accattivante reclame. Bensì la prerogativa della fabbrica dei sogni. L’idea di un documentario, sulla scorta del mix di acuto ragguaglio ed elaborazione creativa in grado di trascendere la registrazione nuda e cruda di quegli sconvolgenti accadimenti, non è certo campata in aria. Bisogna capire quale regista raccoglierà la sfida per coordinare i fattori espressivi uniti al nesso tra habitat ed esseri umani. Intanto Maria Pia (nella foto) ha già pronto un altro libro. La sua verve non conosce soste.

*******

1). D / Per quale motivo ha scritto un libro d’arte incentrato sul territorio raccontando l’esperienza della ‘non vita’?
R /
L’ho ambientato a Pompei perché sono campana: amo la mia regione in maniera viscerale. Inoltre ho vissuto l’esperienza del coma. Per ben tre volte. Quando ne sono uscita, ho compreso che la velocità con cui rivedevo la mia vita era sorprendentemente breve. Ho messo i crononi nel titolo di questo libro in quanto rappresentano proprio un milionesimo di secondo.

2). D / Tra i suoi criteri di valore ha quindi una parte importante la virtù di allargare gli spazi dell’immaginario cogliendo l’attimo?
R / Sì. Ognuno di noi imposta la vita a modo proprio: razionalmente o irrazionalmente. Come diceva Benedetto Croce (nella foto): c’è l’intelligenza emotiva e c’è l’intelligenza razionale. Essendo fornita in discreta misura di entrambe, ho sempre razionalizzato la scrittura ricercando la semplicità. Molte scritture complesse mancano di acume e abbondano di superbia. Quelle semplici sono le migliori: hanno il dono dell’estro e della sintesi. Per cui ho voluto riassumere nel libro in quattro o cinque righe i tratti essenziali di una personalità traducendo la complessità in semplicità. Nasco come settecentista e quel percorso, insieme all’esperienza di eventi traumatici ma rivelatori, mi ha insegnato a spiegare le cose difficili in modo semplice. Di presa immediata.

3). D / Così facendo ha razionalizzato anche l’assurdo poetico, in altre parole la parte irrazionale connessa alla poesia?
R / Dante Alighieri
applicava i concetti geometrici ed euclidei e quindi razionalizzava le cose. Anche quella a cui lei fa riferimento: l’aura contemplativa. Che serve a riconoscere la vera poesia e distinguerla dal poeticismo.

4). D / Nell’introduzione di Pompei. Crononi: gli ultimi istanti cita lo scrittore e poeta Lawrence Durrell in Balthazar. Crede davvero che ogni interpretazione della realtà sia unica?
R / Ho imparato tanti anni fa che la verità comprende tante sfaccettature: non esiste una verità assoluta. Come non esiste, a parer mio, un Dio assoluto e una religione assoluta. Non c’è nulla di assoluto né di certo. L’unica cosa certa è il cambiamento. Ognuno di noi può osservare la verità attraverso un’ottica personale. Ma non è detto che sia la verità. Non credo quindi tanto nell’interpretazione della verità quanto piuttosto nella percezione della sensazione. È una cosa molto diversa.

5). D / Il dialogo con la morte rimanda, in chiave cinefila, a Il settimo sigillo di Ingmar Bergman e all’ironia sopraffina ed eminentemente surreale dell’ingegnoso Luis Buñuel. Quali sono gli altri suoi numi tutelari?
R / L’unico autore che amo in modo totale e incondizionato è Samuel Beckett (nella foto). Dopo di lui, è tutto cambiato. Confesso di non aver letto l’Ulisse di Joyce. Anche se mia sorella è un’esperta del drammaturgo irlandese. Però io trovo noioso il suo modo di scrivere. Una barba! Pure Ezra Pound, che lei apprezza molto, è pesante in alcuni passaggi. Ritengo che la demitizzazione in tal senso sia utile e altresì giusta. Anche quando vediamo in questa prospettiva i personaggi di potere, fuori dai loro alti incarichi, emerge un lato ridicolo e quindi degno di nota.

6). D / Indro Montanelli scrivendo Storia di Roma ha attuato un criterio simile. A beneficio del lettore, che avrebbe pagato sennò dazio alla noia con eventi epocali e monumenti statici.
R / Lei è molto perspicace. Antonio Spinosa è stato il mio padrino ma Montanelli è stato il mio maestro. Ho ancora chiari in testa i suoi insegnamenti: parla molto, scrivi poco.

7). D / Perché nel suo libro il congedo dalla vita ha un ruolo di prim’ordine?
R /
Ho cercato di rappresentare molti congedi. C’è chi, tra loro, lotta, impreca, si abbandona, sospira. Alcuni affrontano l’addio alla Vita in modo inconsapevole. Per dabbenaggine oppure per innocenza. Come il bambino che invoca la Madre. Metto in risalto, con poche righe, la dignità delle persone in procinto di morire. Una mamma quando partorisce non deve mai gridare. Il decoro è importante. Sia quando si viene al mondo sia nel momento del congedo dall’esistenza occorre estrema eleganza.

8). D / Nel recupero della lingua osca è stata ispirata dalla nostalgia del passato o dal desiderio di semplificare le cose complesse?
R / Ho chiesto a Gianni Letta di far leggere questo mio libro a l’uomo più cattivo di sua conoscenza. Il quale invece ha dato un responso positivo. Allora ho pensato di scriverlo in latino. Tradotto con il fronte retro. E lui si è messo a ridere: “E chi lo leggerà?”. Il recupero però della lingua osca, che si trova nelle scritte sulle facciate della città sepolta dall’eruzione del vulcano, era necessario. Ai fini di un idoneo lirismo narrativo. Il passato serve per il presente. Lo Tsunami ha causato gli stessi disastri, pure dal punto di vita ecologico. Gli esperimenti atomici in quelle zone sono all’origine del cataclisma. Ciò mi ha ferito profondamente ispirando il desiderio di redigere un libro semplice per trattare di qualcosa di complesso che riguarda il passato e il presente. Un conto però sono le calamità naturali e un altro gli addetti ai lavori che vendono i cieli. Che non sono loro.

9). D / La scelta del fronte retro in italiano e in inglese invece a cosa è dovuta?
R /
Al fatto, in primo luogo, che io scrivo poco: la casa editrice doveva pubblicare un libro corposo. La seconda ragione risiede nel fatto che come libro d’arte si prestava a un largo oggetto di studio ed esame critico all’estero anche per le tesi di laurea.

10). D / Certe tipologie di personaggi che mette in luce, dall’usuraio alla meretrice, acquistano uno spicco particolare. Il passaggio dal semplice “vedere” all’attento “guardare” coinvolge anche l’interazione tra “apparire” ed “essere”?
R /
Ci sono due modi di percepire la realtà. Uno è capire, l’altro è comprendere. A capire è capace pure un bambino. Comprendere implica la necessità di soffermarsi sui valori dell’esistenza. Per me la comprensione è un atto infinito.

11). D / E quindi sarà la comprensione, intesa nella sua accezione metafisica, ad animare pure le pagine del suo prossimo libro per produrre degli effetti empatici?
R /
Affronterò
in questa chiave di riflessione ed empatia un personaggio storico bistrattato. Una donna che invece di essere compresa è giudicata. La comprensione costituisce il più alto livello d’intelligenza. Comprendere significa rispettare e quindi dare dignità agli altri come si dà a sé stessi. È un valore assoluto. Il migliore.

12). D / L’autorialità, intesa come la capacità di raccontare un fatto intimo trovando la corrispondenza in uno collettivo, può rendere lo stato psichico del lettore simile a quello del sogno?
R /
Ci riescono, come ha dato bene a intendere lei, solo gli autori. I grandi maestri. Il compianto Andrea Camilleri (nella foto), scomparso appena due giorni fa, era uno di questi. Un genio. Perché ha fatto sognare i suoi lettori con dei testi apparentemente scarni, se non rozzi, in realtà pieni di senso. Sapeva condurre il lettore in un’altra atmosfera. 

13). D / La logica comunicativa dell’immagine, quando è superficiale, sottrae forza significante alla parola. Nel suo caso, invece, le immagini prese dal Museo archeologico di Napoli contribuiscono ad accrescere il rapporto tra spazio e tempo. La parola, connessa un alto margine d’enigma, è stata la ciliegina sulla torta?
R /
La pittura di per sé è muta. La componente parlata, ridotta all’essenzialità a beneficio del lettore, diviene un arricchimento anche se, come lei ha sottolineato, contiene una sorta di trappola enigmatica. Come dire che non voglio stressare chi legge con una scrittura aulica e logorroica ma mi servo del carattere enigmatico per stimolare nel profondo il modo di percepire le cose. Questo significa dare voce alle immagini.

14). D / In effetti l’interazione tra le parole, sintetiche ma dense, e le immagini trasmette la percezione del viaggio. Un documentario può tradurre ancor meglio in immagini queste tecniche ascetiche?
R / Nel momento in cui mi accingo a scrivere ho in mente molto il teatro. E anche il cinema. Le visualizzazioni sono al contempo nitide e colme di significato. Questo testo è già pronto sia per il proscenio sia per il grande schermo. Educare i giovani al pensiero attraverso la scrittura classica e pure tramite la scrittura per immagini, tipica del cinema, è una cosa che si può e si deve fare. Occorre, chiaramente, saperlo fare.

MASSIMILIANO SERRIELLO

A colloquio con Carlo Zampa
la “Voce Storica del Popolo Giallorosso”

I PALPITI DELL’EMOZIONE DI CARLO ZAMPA:
UN RADIOCRONISTA CON LA FEDE CALCISTICA NEL CUORE

Una conversazione con Massimiliano Serriello

Carlo Zampa, al pari del Woody Allen di Crimini e misfatti, è consapevole che il cuore e il cervello non si danno nemmeno del “tu”. Cionondimeno sa essere anche un argomentatore smagliante, incisivo, puntuale. Ha scelto il cuore, rappresentato dalla fede calcistica, l’amore per la Roma, ma rispetta il cervello. Non rifugge dall’alta densità lessicale della lingua italiana, conosce bene la differenza tra parole piene e parole vuote, anche se resta affezionato ai modi di dire romaneschi. In qualsiasi cosa fa è la spontaneità a guidarlo.
Con lui come radiocronista i tifosi giallorossi hanno trattenuto il respiro, gioito, pianto, persino imprecato.

Continua a leggere

I Problemi della “NOTIZIA” nell’ Epoca delle “Nuove Tecnologie”

IL RAPPORTO TRA L’INFORMAZIONE E I MULTIMEDIA:
VECCHIE REGOLE ED ETICA SEMPITERNA

Le lagnanze di chi rievoca a ogni piè sospinto i tempi passati e vede nel nuovo che avanza un chiaro segno d’involuzione, a dispetto della forza della tradizione ed ergo della consuetudine, lasciano, il più delle volte, il tempo che trovano. In tutti i sensi. Tuttavia, in qualche circostanza, persino il tanto vituperato rimpianto, quantunque sintomo di un’incapacità ad adattarsi ai cambiamenti, fa la spia a certe contraddizioni perlomeno curiose. In primo luogo appare chiaro che alla corsa all’adeguatezza al presente partecipino anche persone ideologicamente contrarie agli effetti della modernizzazione ma decise a non perdere il treno. Così da restare agganciate al ventaglio di possibilità e convenienze ad appannaggio di una divulgazione di messaggi di presa immediata. Senza alcun intoppo, quindi, tra emittenti e destinatari. Basti pensare, in tal senso, a Giampiero Mughini. Personaggio televisivo e polemista, balzato agli onori della cronaca come ospite fisso della trasmissione Controcampo, nei panni assai discussi di juventino di provata fede, però al contempo uomo d’indubbia cultura affezionato alla stesura giornalistica caduta in disuso.

Continua a leggere

A colloquio con il Professor Ugo Di Tullio per una via d’intesa tra arte ed economia

L’ECONOMIA DEL CINEMA ANALIZZATA CON  UGO DI TULLIO:
UN DOCENTE AVVEZZO ALLA CONCRETEZZA

Conversazione con Massimiliano Serriello

La concretezza è una bestia nera solo per chi usa le scorciatoie del cervello nella convinzione di preservare il carattere d’ingegno creativo. È curioso che dietro la difesa a spada tratta della cultura con la “C” maiuscola si celi un tentativo di evitare dispendi di fosforo. Perché è certo più comodo fare distinzioni tra film d’autore e film commerciali che affinare il senso operativo di messa in opera ed erogazione in seno al cinema. Lo sa bene il Prof. Ugo Di Tullio, Docente di Organizzazione e legislazione dello spettacolo teatrale e cinematografico, all’Università di Pisa, ed esperto di Economia e gestione dei beni culturali, al punto da manifestare il suo dissenso nei riguardi delle sterili dottrine manichee col sorriso sulle labbra.

Continua a leggere

A colloquio con il Professor Marco Maria Gazzano sull’insegnamento del Cinema in Italia e nel Mondo

LA DISCIPLINA DELLA  “7^ ARTE”, IN UNA INTERVISTA CON MARCO MARIA GAZZANO …… UN DOCENTE SEMPRE SUL “PEZZO”

una conversazione con Massimiliano Serriello

Stare sul pezzo non è solo indice di perseveranza ed ergo di carattere ma anche di passione. In conformità con l’ingresso della Settima Arte nelle Università italiane. La sottovalutazione della tecnica e dell’agire economico, considerati elementi blasfemi da chi cerca la purezza assoluta, è una bestia nera da cui lui sta bene alla larga. Gli interessa, piuttosto, apporre dei giusti ‘distinguo’… Un conto è il predominio storicista, che porta inoltre a tenere meno in considerazione la critica schiava dell’impressionismo soggettivo. Un altro è ripercorrere certe tappe fondamentali, dai primordi sino a oggi, per dare a Cesare quel che è di Cesare. Compiere questa sorta di amarcord per un critico cinematografico come il sottoscritto in compagnia di Marco Maria Gazzano, docente all’Università Roma Tre, è un piacere.

Continua a leggere