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Papa Francesco ed un suo intervento a 360° nel “Sociale”

“IL DENARO NON GOVERNA” 

Un’ analisi  a cura di RICCARDO PEDRIZZI * 

Questo libro”Il denaro non governa. Politica economia ambiente nel pensiero sociale di Papa Francesco” ha il merito di far parlare il Papa attraverso i documenti: le encicliche, le lettere pastorali, le esortazioni apostoliche, i libri scritti da lui, i suoi discorsi ufficiali.

I due autori, Andrea Tornielli e Pier Paolo Saleri, quindi, non interpretano, non suppongono, non ricostruiscono, non immaginano quello che direbbe o potrebbe pensare il Pontefice. In pratica riportano il pensiero autentico di Francesco e non lo falsano, come ha fatto recentemente Eugenio Scalfari su “Repubblica” che tra virgolette gli ha fatto dire che l’inferno non esiste e che le anime non sono immortali.

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Festival della Cultura Tartara

ACCADEMIA ANGELICO COSTANTINIANA

di lettere arti e scienze Angelo-Comneno Onlus

insieme alla

ASSOCIAZIONE CULTURALE   “TARTARE IN ITALIA”

PRESENTANO

Festival della Cultura Tartara

                                                                                                      Sabato 9 giugno 2018  h. 17.30

Complesso Monumentale di San Salvatore in Lauro Piazza di S. Salvatore in Lauro, 15 – Roma

Ingresso gratuito

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La 500 Blu, un racconto di Lia Viola Catalano

Perché si deve credere

Ciò che veramente distingue un medico da un ricercatore o da uno scienziato è la qualità umana, l’arte di approcciare, ascoltare, comprendere il paziente.

Arte raffinata perchè non ammette scatti, indifferenze, grossolanità: una sorta di lieve penetrazione psicologica che non perde mai lo scopo della sua dedizione: la guarigione, l’equilibrio ritrovato. E’, a ben guardare, tutt’altro che facile e, come il tocco musicale, bisogna averlo nella genetica. Il risultato dell’opera è appagante, e garantisce l’affetto e la stima dell’essere che ha ritrovato la sua armonia.

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Gli scrocconi

 La crisi continua e la gente è inferocita. Non capisce le sottigliezze della politica, ma s’infiamma quando qualcuno ci definisce scrocconi, inaffidabili, mafiosi o parassiti, specie se il commento viene d’oltralpe. Una specie di ventata nazionalistica e di sparuto orgoglio nazionale pervade il Paese. Meglio tardi che mai.

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Il modellino di una chiave antica

Dai tesori dell’antiquario Eugenio di Castro

Contenuto nell’ultima edizione della “Strenna dei Romanisti”, vi è un lungo racconto: Il modello è indispensabile“, a firma di Francesca di Castro, su un oggetto che ha attraversato secoli, inciso, carezzato, celato in molte nobilissime mani dai più diversi caratteri: nobili, artigiani, prigionieri, per grazia di un antiquario noto ed esperto, il nonno della scrittrice, Eugenio di Castro.

Il racconto inizia con un commento di Corrado Ricci a proposito della vastissima varietà di arti liberamente esercitate in Italia, dalla grande arte propriamente intesa alla cosiddetta arte minore, che nulla ha da invidiare alla prima, a parte la destinazione d’uso e, talvolta, la piena dedizione dell’artista all’opera che sottintende una vera e propria filosofia.

Continuando la narrazione, Francesca riporta che agli oggetti d’uso bellissimi Augusto Pedrini dedica una sorta di almanacco, secondo la materia di solito usata che è il ferro. L’uomo dice inoltre che, soprattutto per i piccoli oggetti, come le chiavi, era abitudine farne inizialmente modelli per lo più in legno, per correggerli eventualmente, o per riprodurne molte chiavi uguali .

Francesca di Castro, ammiratrice delle raccolte  del nonno Eugenio, sodale del Gruppo dei Romanisti e celebre antiquario, considera quanto possono aver importanza i modelli per l’arte minore, e racconta anche la lunga e tortuosa strada per la costituzione di un centro di raccolta di questi modelli e di altri “pezzi” di arte, sfociata, dopo molte vicissitudini, al San Michele, ex Riformatorio.

Francesca descrive minutamente fra gli oggetti antichi del nonno un modello in legno di chiave dalle ardite volute raffiguranti animali fantastici e rivelatrice, come costituzione complessiva, di una chiara impronta classica, ma di quel classico ardito ed interpretato che fu l’arte antica nelle mani degli uomini del Rinascimento, o poco dopo.

Camminando nella traccia della sua cultura, Francesca ritrova dopo lunga indagine l’oggetto, che sarebbe  la chiave di uno degli Strozzi, Leone, che fece un museo di rarità del bel palazzo ora Fondazione Besso di Roma, descritta nel l'”Arcadia” di Crescimbeni. La, chiave è matrice di quella in ferro conservata a Londra, nel Victoria and Albert Museum, fatta dal “Guillermo  franzese” mastro d’arte di Francesco I°. Ma non basta: la bellissima Diane de Poitiers l’avrebbe adoperata per raggiungere nell’appartamento il suo regale amante. Gli Strozzi avrebbero in seguito accompagnato Caterina de’Medici, nobile figlia dei loro amici, alle nozze con Henri d’Orléans, tramite il potente Filippo (Giovanni Battista), Tesoriere del Papa officiante, Clemente VII°, ed avrebbero anche loro alloggiato in quelle stanze, usando quella chiave.

Filippo Strozzi l’ avrebbe riportata in Italia e, compiaciuto per l’eleganza dell’oggetto, avrebbe ordinato una copia a Benvenuto Cellini, che l’esegui’ in legno, ma che da allora più nessuno la vide. Sembrava solo una fantasia, fino a che Francesca non l’ha ritrovata  studiando a lungo le carte e gli oggetti del nonno, aprendo una scatola moderna, meravigliosamente scolpita, di legno, e siglata con le iniziali del suo avo.

E qui il réportage si fa commovente: l’augusto antiquario avrebbe  avuto una scatola in dono quando era all’Asinara reduce dal Terzo Reggimento Bersaglieri, come uomo di fiducia dello Stato Maggiore, per sovrintendere al campo di prigionia degli austro-ungarici. Purtroppo in quella zona di li a poco scoppiò un epidemia di colera ed il Sergente bersagliere, impietosito dalle sofferenze dei poveretti e nel desiderio di portar conforto ai prigionieri ebrei, chiese al Comandante di poter usare un magazzino a Cala Reale per far celebrare per essi lo Jom Kippur. Sembrava inizialmente che chi vi giungesse fosse in un numero limitato di credenti, ma presto il sergente si accorse che il magazzino non poteva contenerli tutti, che parteciparono dunque alla ricorrenza stando fuori dalla costruzione, chi sdraiato, chi in ginocchio.

Al termine del rito Eugenio di Castro fu circondato da prigionieri che lo ringraziarono di cuore e gli baciarono le mani, ed uno, l’ungherese Popper, compose e scolpì la scatola che donò al militare in segno di gratitudine. L ‘oggetto, a testimonianza di un sentimento di stima e di riconoscenza imperituro, ha raggiunto la progenie del bersagliere, che giustamente se ne gloria.

Marilù Giannone