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il COREIS saluta la Giornata Europea della Cultura Ebraica

Gli Imam salutano le Sinagoghe, centri di Cultura Ebraica

GENOVA
Il responsabile per la Liguria della COREIS, imam Abu Bakr Moretta, accompagnato da una delegazione di musulmani italiani ha portato un saluto nella sinagoga di Genova, città capofila: “Il tema di quest’anno, ‘Storytelling – la storia siamo noi’, ci porta a ricordare che ormai sono 30 anni di amicizia fraterna e collaborazione con la comunità ebraica in Italia e la COREIS. E proprio un anno fa ci hanno lasciato, a pochi giorni di distanza uno dall’altro, due grandi maestri e pionieri del dialogo interrelgioso e intellettuale in Italia ed Europa, Rav Giuseppe Laras e il nostro fondatore Shaykh Abd al-Wahid Pallavicini”.”Se un importante capitolo di “storia” del dialogo islamo-ebraico con loro volge al termine – ha continuato l’imam Moretta – a noi spetta la responsabilità di portare avanti questa eredità spirituale come uomini e donne appartenente a comunità religiose differenti, per conoscersi reciprocamente e nel rispetto delle provvidenziali diversità, rispetto che è alla base della vera pace e giustizia”.All’evento, iniziato con una sentita preghiera per le vittime del ponte Morandi, hanno preso parte anche la presidente dell’UCEI Noemi Di Segni, il presidente della Comunità Ebraica di Genova Ariel Dello Strologo, il rabbino capo rav Giuseppe Momiglianorav Benedetto Carucci Viterbi, il sindaco di Genova Marco Bucci e il prefetto Fiamma Spena.MILANO
Milano l’imam Yahya Pallavicini, presidente COREIS, ha portato un saluto in sinagoga dove il giornalista Paolo Del Debbio ha condotto gli interventi del presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, l’assessore alla cultura di Milano Filippo Del Corno e il critico d’arte Philippe Daverio. Il rabbino capo rav Alfonso Arbib ha tenuto una lezione sulla narrazione, che differisce dal resoconto storico per il fatto di mettere l’accento sulla scienza utile. I testi sacri si concentrano infatti su insegnamenti utili per la vita spirituale dei credenti.VERONA
L’imam Isa Abd al-Haqq Benassi, del Consiglio delle Guide Religiose della COREIS, è intervenuto in sinagoga a Verona: “Anche nella tradizione islamica la narrazione delle storie dei profeti riporta esempi eccellenti per riscoprire l’Eterno in ogni situazione della vita, dalla famiglia, al lavoro alla società. La narrazione di esempi positivi di dialogo fra le religioni, come quello di oggi, sono il migliore argine per l’antisemitismo e l’islamofobia, temi su cui lavoriamo nel Tavolo Interreligioso della Prefettura e che cercheremo di portare anche nelle scuole”. Presenti il rabbino capo rav Yosef Labi, il presidente della comunità ebraica di Verona e Vicenza Celu Laufer, il responsabile per l’ecumenismo don Luca Merlo, rappresentanti del Comune e della Prefettura.VICENZA
A Vicenza era presente anche Franco Perlasca, figlio di Giorgio, uno dei “giusti” che salvò la vita a oltre cinquemila ebrei ungheresi, intervenuto assieme a Roberto Israel, presidente dell’associazione Figli della Shoà di Verona, il consigliere comunale Patrizia Barbieri, don Gino Alberto Faccioli, direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose e l’imam Yahya Abd al-Ahad Zanolo, responsabile della COREIS per il Veneto: “Essere qui oggi ebrei, musulmani e cristiani, ci ricorda come di fronte a Dio tutte le religioni abbiano uguale dignità. Noi qui oggi testimoniamo della normalità della fratellanza tra ebrei, cristiani e musulmani, ben più reale e solida di ogni paura che è data solo dall’ignoranza”. L’incontro, promosso da Paola Farina, si è svolto nel cimitero acattolico di Vicenza ed è stato introdotto da canti e una preghiera ebraica, cristiana e islamica.

VENEZIA
L’imam Ahmad Abd al-Aliyy Venanzi ha portato un saluto a rav Scialom Bahbout, rabbino capo di Venezia, Paolo Gnignati, presidente della Comunità Ebraica e al responsabile per la cultura Enrico Levis, intervenuti nei locali del ghetto con la scrittrice Laura Forti della Comunità Ebraica di Firenze ed Enrico Fink.

BOLOGNA e PALERMO
Sono stati riportati i saluti di rappresentanti della COREIS anche nelle sinagoghe di Bologna, imam Yusuf Abd al-Adhim Pisano, e Palermo, imam Ahmad Abd al-Majd Macaluso.

a cura dell’Ufficio Stampa del COREIS

Maria Elena Boschi: donna PD – Maxim !

Maria Elena Boschi: quando il meglio di una Donna PD deve ancora venire

Caspita, però!
Davvero intrigante questo primo piano di Maria Elena Boschi su una recente copertina di Maxim con i capelli in disordine, niente trucco, un ciuffo ribelle e lo sguardo misteriosamente volto a destra, chissà dove e su cosa.

C’è qualcosa di ambiguo, ammiccante, a metà strada tra la santerellina e la lolita, in questa donna del Partito Democratico che, dismessi gli abiti di ministra e, poi, di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, si è fatta mettere a fuoco, come mai prima, per offrire di sé un’immagine nuova di donna, forse anche di femmina: per questo ha scelto l’obiettivo di Oliviero Toscani, fotografo del sociale, ammaliandolo perché, stregato dal suo fascino torbido, tornasse ad inquadrare la grazia muliebre, innanzitutto la sua; per questo, non a caso, ha scelto Maxim, rivista patinata per uomini raffinati, assai diffusa nel mondo, non certo per promuovere cultura quanto piuttosto per suscitare la piacevole contemplazione di donne belle, eleganti, non banali, insomma strafighe.

Maria Elena Boschi può, addirittura, ambire a posare anche per il prossimo calendario di Maxim, evocativo di desideri, pensieri pruriginosi negli italiani, pur se non suoi elettori, perché, si sa, il sesso è un comune denominatore che supera tutte le barriere, comprese quelle ideologiche e politiche. In questo rilancio d’immagine la nuova Boschi si affiancherebbe così a icone dell’augurio natalizio sexy come Anna Falchi, Alessia Merz, Elenoire Casalegno e via dicendo, dunque a far compagnia a figure certo più significative e ricche di smalto rispetto a grigi ministri, sottosegretari e parlamentari.

La nostra fascinosa Boschi, protagonista di una conversione all’incontrario sulla via di Damasco, parlando di sé sempre sulle pagine di Maxim, ha dichiarato che “il meglio deve ancora venire”: dunque finora ci ha mostrato il peggio o, forse, il meno appetibile. Sicuramente il peggio politico del suo ruolo istituzionale ce l’ha rifilato proprio tutto: indimenticabile!

Ma il suo meglio, che sta per sopraggiungere, quale mai sarà?

Intrigante, davvero intrigante! Se il bamboccione Renzi, illudendosi di poter emulare Piero Angela, si è riciclato cicerone “cincischiato”, per dirla alla toscana, ma pagato profumatamente in documentari sull’arte e la cultura, la Boschi vuol forse riciclarsi come femme fatale per turbare almeno i sogni degli italiani dopo aver fallito nell’intento di sconvolgere l’obsoleta Costituzione?

Certo, detto dalla Boschi, è molto ambiguo, dice tutto e non dice niente quel suo “Il meglio deve ancora venire”. Cosa mai sarà? Pensiamo a tutto, a tanto e, perché no, anche ai tesori personali più reconditi!

Ai compagni del PD, magari lettori/ammiratori clandestini del numero di Maxim con la compagna Boschi, una sola raccomandazione: fermi con le mani, si rischia di perdere la “vista” del paese!

A Roma Futurism & Co: nuovo grande evento

La vera arte nazionale ancora in galleria, a via Mario de’ Fiori

a cura di Giancarlo Carpi e Andrea Baffoni
Brajo Fuso (1899- 1980), artista eclettico e sperimentatore originalissimo della materia, e del riuso degli oggetti nella stagione dell’Informale italiano e del New Dada,stimato da critici e poeti come Giulio Carlo Argan e Andrè Verdet è qui riproposto all’attenzione del mondo artistico con una quarantina di opere storiche affiancate a opere di Alberto Burri, Lucio Fontana, Enrico Prampolini, Andrè Masson e Salvatore Scarpitta. Il catalogo, ricco di materiale documentario anche inedito, si avvale dei contributi di Giancarlo Carpi, Massimo Duranti e Andrea Baffoni.

Si può forse estendere abbastanza questo principio creativo di Brajo Fuso, di una oscillazione molto forte tra il piano dell’illusione (fino anche al paesaggio dall’alto) e il piano della cognizione dell’oggetto come tale – come ancora nel Cromoggetto grigio del 1965. Nella straticromia “a nido d’ape” o “a rete” – Straticromia 1969 – ad esempio una certa estetizzazione cromatica dei materiali potrebbe far pendere la bilancia dalla parte dell’illusione, ma quel che è abbastanza certo nel suo lavoro è il carattere sempre invece non estetizzante, e finanche come di “malattia” di queste composizioni, come notava Argan. La lana di vetro, molto frequente nella seconda metà degli anni cinquanta, è un’altra scelta d’un materiale suggestivamente “guasto”, o “tossico”. Il carattere trash, in senso estetico, cioè di emulazione fallita, può in certo modo collegarsi a queste composizioni ma come fosse una proprietà dei materiali utilizzati, della materia. Questo è un aspetto abbastanza nuovo se si pensa che invece una soluzione più ovvia e diffusa, anche in altri lavori di Brajo ad esempio le sculture del Fuseum, è quella di usare i pezzi di scarto per comporre dei personaggi, sicché poi l’effetto di “trash” sembra riguardare un vero e proprio soggetto.

Ebbe a dichiarare Giulio Carlo Argan nell’intervista alla RAI del 1980 pochi mesi prima della scomparsa di Brajo Fuso “Verrà il momento in cui l’opera di Brajo Fuso verrà valutata sul piano estetico generale per quello che realmente rappresenta: la capacità di reazione creativa all’ambiente in cui si vive”.

BRAJO FUSO – epifenomeni cromomaterici
From 11th October 2018 to 11th January 2019
Opening for press: 11th October 2018, h 11:30
 
cured by Giancarlo Carpi and Andrea Baffoni

Brajo Fuso (1899 – 1980), an eclectic artist and extremely original experimenter of materials and reuse of objects in the season of Italian Informal and New Dada, estimated by critics and poets like Giulio Carlo Argan and Andrè Verdet, is here proposed again to the attention of the artistic world with about forty historical works supported by artworks of Alberto Burri, Lucio Fontana, Enrico Prampolini, Andrè Masson and Salvatore Scarpitta. The catalogue, rich in documentary and often unpublished material, is completed with the notes by Giancarlo Carpi, Massimo Duranti and Andrea Baffoni. We can perhaps furtherly extend this creative principle of Brajo Fuso, a very strong oscillation between the plane of illusion (even up to the landscape from above) and the plane of cognition of the object as such – as still in the gray Chromeobject of 1965. In the “honeycomb” or “network” colorlayer – Straticromia 1969 – for example a certain chromatic aesthetization of the materials could tip the scales on the side of illusion, but what is quite certain in his work is the character not always aestheticising, even as a sort of “disease” of these compositions, as pointed out by Argan. The glass wool, very common in the second half of the fifties, is another choice of a material that is suggestively “damaged” or “toxic”. The trash character, in an aesthetic sense, that is of failed emulation, can somehow connect to these compositions but as if it were a property of the used materials, of the matter itself. This is a fairly new aspect if you think that instead a more obvious and widespread solution, also in other works by Brajo, for example the sculptures of the Fuseum, is to make use of pieces of discarded things to create the characters, so that the effect of “trash” seems to concern a real subject.
Giulio Carlo Argan had to declare in the interview with RAI in 1980 a few months before the death of Brajo Fuso “Here comes the time when Brajo Fuso’s work will be evaluated on the general aesthetic level for what it really represents: the ability of a creative reaction to the environment in which we live”.

Futurism&Co Art Gallery Roma
Via Mario de’ Fiori, 68 – Roma, Italia

La Perdonanza nella storia aquilana di Enrico Cavalli

Dalle origini di Aquila ai Celestini

Nella sua trattazione su “L’architettura religiosa aquilana” del 1988, Mons. Orlando Antonini, Nunzio apostolico, affermava che “il numero di chiese cospicuo a L’Aquila” non si spiega solo come semplice prevalenza dell’espressione religiosa sulla laicità, bensì da un lato con l’origine della città, nata dalla integrazione degli antichi territori amiternini e forconesi, dall’altro con la “vitalità della locale comunità cattolica”. Il riordino della penisola per effetto delle discese imperiali, vede, nel 962, coerentemente con gli assi geografici, la donazione dell’imperatore Ottone I a papa Giovanni XII delle terre che vanno da Amiternum a Beffi e dal Gran Sasso a Rocca Di Mezzo.

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L’8 Settembre 1943, salvezza dell’Italia

Nei panni di Mussolini

Come sostenuto da alcuni protagonisti di questo brano di storia, vale a dire Federzoni, Grandi, Bottai, Mussolini già da Aprile 1943 presagiva che non c’era più niente da fare per lui e per il suo governo, ma, contrario per principio ad ogni pessimismo e conscio di essere il capo che portava con sè tutti gli uomini di una Nazione (il favore per il Duce era quasi un plebiscito) era concentrato a trovare una via d’uscita.

Di certo è che l’epilogo del Fascismo non lo trovò impreparato, se si fanno salvi alcuni particolari, come la scelta del suo sostituto dopo il Gran Consiglio del 24 luglio ed il modo con il quale venne estromesso. De Begnac, nei suoi “Taccuini”, riporta le risposte dategli dal Duce dopo Stalingrado ed El Alamein, battaglie che furono le porte di un abisso politico e sociale: «alle nostre guerre sono stato trascinato, con me lo è stato il Paese, contro volontà», che fa pensare al fatto che il Duce abbia a lungo esitato prima di entrare in guerra. Il 19, dopo lo sbarco degli Angloamericani in Sicilia, Mussolini ha un breve incontro con Hitler, al quale ventila l’intenzione di concludere con i vincitori una pace separata e, in sostanza, di ritirarsi piano piano dalla alleanza con il Fuehrer. Ma questi altrettanto pianamente, secondo Fest, in modo furioso, secondo altri, lo dissuade, colpito che l’uomo che considerava il più ammirevole – “di grande statura” – volesse chiudere un patto senza voler andare in fondo, e dopo il colloquio presso Feltre avrebbe riferito ad i suoi collaboratori che il Duce gli era parso malato, triste, quasi non lo ascoltava, addolorato per l’attacco aereo angloamericano a Roma, «come se avvertisse imminente – evidenzia Joachim Fest – la propria caduta.»

Da qualche accenno nel corso delle ore e dei giorni angosciosi che precedettero la riunione del Gran Consiglio, avuto con i suoi più fidati collaboratori, il Duce si era sentito raccomandare da Federzoni di adottare una politica di protezione per lui ed aveva ricevuto dal Grandi per lettera qualche presunta argomentazione che il Gran Consiglio gli avrebbe chiesto di spiegare. Mussolini risponde che avrebbe fatto ogni cosa per il bene del popolo e dell’Italia. Difatti è a continuo contatto con i suoi collaboratori, in colloquio frequente con gli alti gradi militari, meno Badoglio, che non stima, e non gli passa nessuna idea di fuga o dimissione per il capo. Attende il Gran Consiglio, conscio di averlo creato lui stesso come organo libero, con silenziosa dignità prevedendo in pectore un rimedio possibile, che, secondo il suo pensiero, potrebbe essere stato anche quello di un semplice cambio di rotta, ma prevede anche la sostituzione.

Probabilmente il Duce intuisce che Grandi avrebbe voluto prendere il suo posto senza palese inimicizia, ma, già dall’ascendere di Mussolini, questi capisce che vorrebbe essere lui al comando. Non si può negare la probabilità che con Grandi vi fossero, in comune proposito, altri del Gran Consiglio, preparati a sostituire Mussolini con l’occasione della riunione di luglio.

Un anno dopo, dopo essersi visto rifiutare da Hoepli le personali sue considerazioni intorno a qual terribile anno 1943, raccolte in un manoscritto consistente, il Duce le porta al Corriere della Sera, mai dimentico d’essere stato un fior di giornalista, e si accorda con il Direttore per poterle pubblicare capitolo dopo capitolo. Prevede infatti un peggioramento della sua situazione. «Voi – dice Mussolini – pubblicherete questo scritto, si tratta di una storia non romanzata degli avvenimenti che vanno da ottobre 1942 al settembre 1943.» Amicucci, il Direttore, gli consiglia di pubblicarli senza firma, per superare  la falsità di un ostacolo interpretativo dei suoi oppositori e realizzare così la volontà d’informare gli italiani tutti, ed il Duce accetta. Il primo capitolo della “Storia di un anno” si sarebbe intitolato: “Da El Alamein al Mareth”. Il racconto della campagna d’Africa è preciso e sintetico, accettato dalla gente con vivo interesse tanto da richiedere più ristampe, ma è lo spirito con il quale esso è stato redatto che salta agli occhi dei suoi fedeli: c’è un sottofondo più che amaro, sommesso, triste: la conclusione della sconfitta di El Alamein sottintende, nel modo con il quale è esposta, quasi una giustificazione, come se il Duce avesse dovuto rispondere ad un consesso di esaminatori, come se avesse già da tempo capito che in un modo o in un altro, l’Italia ed egli stesso erano perduti.

«Io penso – dice alla Camera fascista il 2 dicembre 1942 e poi il 3 gennaio 1943 – che la storia è già stata abbastanza benigna con noi, ci ha permesso di vivere delle grandi ore… La guerra è la sintesi in cui tutto converge e tutto si raccoglie, in cui tutto è in gioco.» Queste considerazioni, seppure nel corpo del discorso volessero essere un encomio ed un incoraggiamento all’eroismo italiano, erano però una sensibile ammissione che qualcosa era stato più forte e che si preparava una conclusione non prevista indolore, se non tragica, per lui. Forte della conoscenza della mentalità di Hitler egli chiamava a raccolta la forza bellica dei connazionali ma, nel contempo, sentiva l’urgenza di dover evitare una possibile catastrofe, avvisata dalla brusca caduta di Pantelleria, che portava all’invasione angloamericana. Il bollettino di una ripresa, ad Augusta, non lo rese tranquillo, anzi, pregò il Gen. Ambrosio di smorzare in esso i toni del successo, che vedeva momentaneo.

Infatti le notizie seguenti, l’improvvisa resa del Gen. Messe, furono drammatiche e il Duce pensò anche che «la scarsissima resistenza allo sbarco avesse qualcosa di misterioso.» Che voleva dire? Era la risposta al suo presentimento o l’individuazione di qualche oscuro traditore? E continua: «sabato 24 luglio, afoso e pesante, Roma è impallidita, ed ha sentito che qualcosa di grave era nell’aria.» E questo qualcosa erano i diciannove del Gran Consiglio che mettono il Duce in minoranza.

Mussolini si chiede ora cosa farà il Re, come gli si rivolgerà, quale esito avrà la sua reazione al termine del Gran Consiglio, del quale conosce più o meno gli argomenti che dibatterà, informato da Grandi. Vede che tutti gli uomini del Regime lo accusano; Scorza, ambiguo e oscuro, lascia cadere la frase “uscirne con dignità”, facendogli ritenere che sapeva già cosa sarebbe avvenuto, anche oltre lui stesso, dimostrazione che già, ufficiosamente, prima del Consiglio, lo avevano tagliato fuori.

Scorza lo accompagnò a Villa Torlonia in una Roma deserta, nel silenzio di tutti. Rachele gli si fa incontro, e Mussolini compatisce la sua eroica compagna, trascorre con lei la notte, poi il giorno seguente torna a Palazzo Venezia, ma crede l’esito più lieve di quanto non sia. In borghese, tranquillo e dignitoso, a villa Savoia, il Re lo fa arrestare, suscitando – come riporta Bruno Gatta – la reazione sprezzante e ferma della Regina contro il Consorte, al quale dice che non ha agito da Sovrano, ed assicurando Mussolini della sua protezione.

Ma è evidente che il Re ha agito sotto la spinta delle personalità del Gran Consiglio, e si accorda al pensiero di essi di far di tutto per concludere la guerra staccandosi dalla Germania, come era intenzione di Mussolini, al primo colloquio con Hitler. Il Capo del Fascismo a questo punto è davvero sorpreso, non si aspetta la decisione reale e non sa come prendere l’assicurazione del Sovrano della sua amicizia: il Re lo ha sostituito con Badoglio, che nessuno apprezza, che tutti tengono alla larga, anche da Hitler, che lo giudica “una canaglia”.

Grandi non è convinto per la scelta del Re del sostituto incapace, e per aver con lui preso la via della fuga ignominiosa da Roma per Brindisi, lasciando al figlio Umberto l’onere pesante di dover guidare una Nazione oramai militarmente in pezzi. Mussolini sa che fuori dall’ufficialità politica gli italiani credono ancora in essa, anche se El Alamein ha sconvolto civili e militari, e si tiene, amareggiato ed incerto, in silenziosa preparazione di una sperata via d’uscita. Sa che le condizioni infime di resa incondizionata discusse dal Gen. Castellano ed accettate dalla piccineria di Badoglio hanno del tutto sclerotizzato gli animi degli italiani, che continua ad amare da buona guida, da compatriota. È purtroppo sicuro dell’inimicizia, ora, dei tedeschi verso il Paese, e sicuro del contegno odioso dei vincitori, che distruggono ed uccidono in una terra ormai in ginocchio (mitragliata di giostre, stupri, distruzioni, giudizi sommari, saccheggi – per fortuna, sventato all’ultimo momento quello del “Pulcin della Minerva”).

L’interesse malcelato per le sorti di Mussolini da parte di Hitler, che lo vuole in Germania con i familiari e qualche ufficiale fuoriuscito, provoca nel Duce, comprensibilmente disorientato, una sorta di ripresa d’interesse per la situazione italiana: così come ha promesso, ma condotto dalla volontà di mitigare l’esito possibile e tremendo di una Germania aggressiva, che in meno di una giornata avrebbe potuto invadere e per così dire radere al suolo l’Italia, costituisce un baluardo contro l’invasione immediata dell’esercito tedesco dal Nord, e crea la Repubblica di Salò con un pugno di fedelissimi che lo seguiranno fino alla morte. L’amore per l’Italia è stato per Mussolini l’amore più forte di ogni cosa, ma la costituzione di Salò non è semplicemente una decisione dettata dal sentimento, piuttosto da una chiara veduta, un netto ragionamento che questo passo possa essere l’unico a fermare un disastro.

Marilù Giannone

Ecosistemi, Tecnosistemi e Teoria dell’Artificiale

Ecosistemi, Tecnosistemi e Teoria dell’Artificiale

di AMBROGIO GIORDANO

I rapporti tra diversi ecosistemi e le reciproche influenze sulla biosfera sono strutturati e definiti dagli assetti socio-economici e tecnologici finalizzati a modelli di  produzione e consumo che rappresentano in ultima istanza le finalità governanti l’agire umano da cui gli effetti dell’azione antropica sull’ambiente.

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