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Emergenza Sanitaria e Diritti Costituzionali ai “Raggi X” della Giurisprudenza

La nostra Costituzione e lo “stato di emergenza”

una analisi di MASSIMO ROSSI* 

Dobbiamo domandarci se la nostra amata Costituzione repubblicana può essere violata senza alcuna conseguenza per chi la viola e sino a quando questi può persistere nel farlo. In primo luogo dobbiamo chiarire che esiste nel nostro sistema giuridico la gerarchia delle fonti legislative e la Costituzione è la fonte più alta del nostro ordinamento. 
Occorre capire, se una condizione quale quella epidemica in atto, può da sola interferire e interrompere il sistema delle garanzie costituzionali riconosciute ai cittadini come soggetti individuali e come soggetti associativi.
 Questa non deve sembrare né una domanda retorica né capziosa. Questo è un problema giuridico e di garanzie degli individui che non è secondo a nessun altro tema nemmeno quello epidemiologico.

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ROMA BERLINO E BRUXELLES VEDIAMO CHI LA SPUNTA

Lo spazio vitale tentazione di Berlino che perde la croce uncinata ma non il vizio

Raffaele Panico

L’inclusione della maggioranza dei tedeschi dell’Est nel sistema della Germania dell’Ovest con la caduta del Muro non è ancora per niente avvenuta. Una attenta psicoanalisi generale suggerisce che il carattere autoritario della maggior parte delle strutture della società tedesca non abbia fatto i conti col proprio passato. Dopo la guerra né la Germania dell’Est né quella dell’Ovest avevano di fatto realizzato effettivamente lo stato delle cose, il che rende ancora impossibile l’autodeterminazione democratica e le libertà reali per il popolo tedesco.
Helmut Kohl, allora cancelliere della Germania dell’Ovest, disse che il marco tedesco avrebbe trasformato l’Est della Germania e l’avrebbe resa fiorente, non è andata proprio così. Il martellante ossessivo ricorso dei media al ricordo di un passato terribile, sembra dimostrarlo. I campi di sterminio nazisti è il passato che non passa, lì si portano le scolaresche, come gita pseudo religiosa oscura. La mano data di vernice sul passato è ora evidente sia funzionale al nuovo progetto egemonico della Germania. Agitare i fantasmi del loro passato, farsi maestri e apprendisti stregoni in nome di un pericolo oscuro, forse vinto ma sempre minaccioso: la formazione di un “Quarto Reich”. Sono problemi di politica interna alla Germania che si scaricano sui Paesi amici.

È mancata l’integrazione della Germania dell’Est, dopo trent’anni, ora che ai 18 milioni circa di tedeschi, di allora dopo trent’anni, vanno pagate le pensioni. Dove trovare i fondi? Non hanno saputo produrre e lavorare come i fratelli dell’Ovest; hanno ora nostalgia del passato, di quelle poche certezze che offriva la Repubblica democratica tedesca, non vogliono gli stranieri e votano per l’Afd i neonazisti. Sono problemi interni che intendono ora scaricare sull’Italia. Ci hanno fatto i conti in casa nostra.

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Lo Stato Etico in Giovanni Gentile

L’ATTUALITA’ DEL CONCETTO DI LIBERTA’

Il 15 Aprile 1944 veniva assassinato a Firenze uno dei massimi filosofi del Novecento, Giovanni Gentile, in un momento tragico della Storia d’Italia. La Seconda Guerra Mondiale volgeva al termine, si tentava di fare fronte comune, alfine di salvare l’Unità Nazionale.

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Armani: “è tempo di togliere il superfluo e ridefinire i tempi” lettera aperta al sistema moda

 

Nuovamente in prima linea Armani, dopo la donazione al Sacco di Milano e dopo aver convertito le su aziende affinché possano produrre camici per il personale medico, si fa sentire con una lettera aperta al mondo della moda. Uno sfogo a gran voce con il quale afferma che “lavorare così è immorale”.  Un bisogno, quello di ripartire, quando l’emergenza coronavirus sarà superata, dalle priorità rallentando quei ritmi forsennati che il sistema moda ha avuto in questi anni, da quando il lusso è diventato fast.

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Fase 2: maggio il mese delle possibili riaperture ma come sarà cenare nuovamente al ristorante?

Il 4 maggio, il giorno che tutti gli italiani hanno segnato in rosso sul calendario, partirà la tanto attesa fase 2. Sicuramente non  un “libera tutti” dopo il quale sarà tutto come prima, ma un piccolo passo verso la così desiderata normalità. Già da oggi 14 aprile, hanno riaperto librerie, cartolibrerie (ad eccezione della Lombardia), negozi di articoli per neonati e bambini; dal 20 aprile dovrebbe poter iniziare la produzione in diverse fabbriche. Dal 4 maggio appunto, riapriranno negozi e attività commerciali con ingressi che andranno probabilmente scaglionati in una qualche modalità ancora da definire. Poi toccherà a tribunali e studi professionali l’11 maggio; il 25 maggio riaprono estetisti, parrucchieri ma con ingressi singoli ed il 31 maggio ripartirà lo sport professionistico.

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I librai sono lavoratori non simboli

Riportiamo l’articolo di Adalgisa Marrocco pubblicato su  https://Huffington Post

 

“Dunque, saranno le librerie ad assumere il ruolo simbolico di un Paese che dovrà pian piano ripartire, rialzando le serrande dal 14 aprile (eccezion fatta per Campania, Lombardia e Piemonte: regioni che hanno preso decisioni autonome in materia rispetto alle indicazioni dell’ultimo Dpcm). Ma a quali condizioni? E a che pro?

Il provvedimento dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) dare un po’ di ossigeno al comparto dell’editoria, in queste settimane praticamente fermo (come quasi tutti gli altri settori) non solo a causa della chiusura delle librerie. Anche gli store online, infatti, lavorano comprensibilmente a scartamento ridotto e l’evasione degli ordini è lenta. Diverse librerie di quartiere hanno provato a riorganizzarsi con la consegna a domicilio (si veda, tra tutte, l’iniziativa #libridasporto), ma i dati del settore parlano chiaro.

Se l’Associazione Italiana Editori (AIE), infatti, riferisce un crollo del 75% dei fatturati, l’Associazione Librai Italiani (ALI) fa eco lamentando perdite, per le librerie indipendenti, di 25 milioni. A poco sembrerebbe servita l’entrata in vigore, a fine marzo, della legge sul libro che, limitando lo sconto massimo sul prezzo di copertina, metterebbe (almeno in teoria) i piccoli negozi di quartiere in grado di competere coi giganti dell’online.

Ma la riapertura delle librerie servirà davvero a ridare slancio al settore? Difficile pensarlo. Va da sé che un negozio aperto possa vendere e incassare, mentre un negozio chiuso non può farlo, ma ci sono alcuni elementi da tenere in considerazione. Il primo è che il tessuto delle librerie di quartiere, negli ultimi anni, è stato letteralmente decimato. Dunque, nelle grandi città (per non parlare della provincia), per trovare una libreria aperta è necessario muoversi con i mezzi o con la macchina: spostamenti al momento non consentiti.

In secondo luogo, la libreria appartiene a quella tipologia di negozio che funziona se può essere “vissuta”. Difficile pensare che, allo stato attuale, i lettori possano serenamente muoversi tra gli scaffali, sfogliare volumi o scambiare opinioni col libraio. C’è poi da aggiungere che le piccole librerie hanno puntato molto, negli ultimi anni, sulle presentazioni e sugli eventi, attività purtroppo irrealizzabili ora, e chissà per quanto tempo. Queste variabili non sfuggono ai negozianti del settore: in diversi hanno già annunciato che, nonostante il via libera, non rialzeranno la serranda. Anche e soprattutto per non mettere a repentaglio la propria salute, quella dei dipendenti e dei clienti. Non è chiaro, infatti, quali misure vadano adottate per garantire la sanificazione degli ambienti (nonché dei libri) e la sicurezza di librai e lettori nella frequentazione dei punti vendita.

Nelle scorse ore, un gruppo di 150 librai (indipendenti e di catena) hanno redatto una lettera pubblicata da Minima&Moralia, in cui si legge: “Riaprire le librerie non può essere considerato un puro gesto simbolico, ma deve essere un’azione strutturata e gestita nella sua complessità, così come dovrebbe avvenire per tutte le altre attività necessarie alla vita sociale”.

“Tanti di noi hanno continuato a lavorare senza alcuna certezza di sostegno economico, ad altri non è stato possibile portare avanti il proprio lavoro nel quotidiano, ma non abbiamo mai smesso di fare cultura […] Ora non abbiamo intenzione di esporci al solo scopo di fingere una ‘ripresa culturale delle anime’ che ci potrà essere davvero solo quando sarà possibile la messa in sicurezza di tutti i corpi. In mancanza di garanzie sulle richieste qui avanzate molti di noi si riservano di non riaprire comunque l’attività nemmeno dopo l’entrata in vigore del decreto, finché non sarà possibile esercitare il nostro lavoro nelle condizioni e con le tutele adeguate”, si legge ancora nella lettera redatta da LED – Librai Editori Distribuzione in rete.

E come dichiara la stessa Associazione Librai Italiani , che pure ha accolto con favore il provvedimento del governo, sarebbero altre le misure di cui il settore avrebbe bisogno. “Chiediamo l’istituzione di un Fondo speciale con contributi a fondo perduto”, dichiara il presidente Paolo Ambrosini. Difficile pensare a misure drastiche, soprattutto in un periodo di crisi. Ma qualcosa, forse, potrebbe essere fatto su altri fronti.

Un’idea potrebbe essere quella di estendere il regime forfettario al settore dell’editoria: per le piccole attività significherebbe un taglio importante dei contributi previdenziali, che attualmente rappresentano una ‘stangata’ da quattromila euro l’anno. Un’altra possibilità potrebbe essere quella di un equo canone per l’affitto dei locali alle librerie, da compensare con una cedolare secca e un taglio dell’IMU per i proprietari”, mi racconta un ex libraio indipendente che, come altri colleghi, la saracinesca ha dovuto abbassarla due anni fa. Definitivamente.

Restituire alle librerie la loro centralità è encomiabile ma, al di là dei romanticismi, bisogna essere pragmatici. Perché i librai sono lavoratori, non simboli. Perché le librerie non sono solo luoghi di sogno, ma anzitutto luoghi di lavoro.