Queste parole comparvero a Parigi, più di un secolo fa, in apertura di un editoriale del giornale socialista l’Aurora, firmato dallo scrittore Emile Zola in forma di lettera aperta, diretta al Presidente della Repubblica francese, a proposito di una macroscopica ingiustizia giudiziaria: il caso Dreyfus. Da allora il “j’accuse” è entrato anche nella lingua italiana corrente per indicare un preciso riferimento ad una denuncia pubblica per una grave ingiustizia.
Il 22 gennaio, sfidando la discutibile iniziativa delle domeniche ecologiche di Roma, la via Cassia si è riempita di persone, per partecipare alla cerimonia in onore per i Caduti di Russia, celebrata tradizionalmente ogni anno dall’Associazione “Reduci di Nikolajewka”. Alle 10 del brumoso mattino, il ventaglio di grigi, dal cielo all’asfalto, si accendeva dei colori della Bandiera e dei Corpi Militari in perfetto ordine, giovani e meno giovani, diritti negli attenti, con lo sguardo ad un orizzonte inizialmente quasi angoscioso, ma che veniva tradotto da quegli sguardi diretti e sinceri come naturale e patriottico traguardo: Italia, libera e forte, stabile e splendente sopra mafie, inciuci, politica d’accatto.
Molta acqua e molta neve, acqua torrentizia passata sotto i ponti e neve, d’oggi e di ieri, è caduta su quel che resta della memoria: è la memoria del sacrificio di oltre novantamila italiani rimasti sui campi di Russia; c’è soltanto, in quei lontani territori, in pochi casi, qualche piastrina, una gavetta sfondata, qualche misero resto umano a parlare di coloro che sono caduti combattendo una guerra spesso dimenticata e, volutamente, oscurata nella memoria nazionale.
Niente da fare Charlie Hebdo proprio non ce la fa. Per la seconda volta ricade nella satira fuori luogo, di cattivo gusto e crudele, proponendo una comicità che non fa né ridere e né piangere ma ti lascia solo l’amaro in bocca.
La prima volta risale a pochi mesi fa, a quel 24 agosto maledetto, quando l’Italia si è letteralmente svegliata in due pezzi. Colpita nel suo cuore, al centro, tre regioni principalmente coinvolte ma tutta la nazione scossa. Ci hanno paragonati ad un piatto di pasta, precisamente a delle lasagne. Forse perché collegano Amatrice ai famosi bucatini. L’ambasciata si è subito scusata affermando che quello non è il pensiero della Francia e dei francesi.
Adesso invece abbiamo la neve, troppa neve, che associata all’oramai costante tremore della nostra terra ha provocato una valanga. E loro che fanno? Beh ci informano tramite la Signora Morte in tenuta da sci che “la neve è arrivata, ma che non ce ne sarà per tutti”.
Noi non ci siamo mai permessi di fare ironia su ciò che è avvenuto in Francia, sulle stragi del Bataclan, di Nizza, di Rouen e dello stesso Charlie Hebdo. Noi siamo stati e saremo tutti Charlie Hebdo ma prima di tutto, per noi stessi “noi siamo tutti lasagne” e fieri esserlo.
I recenti e ripetuti terremoti del Centro Italia ha spinto studiosi e una grande parte della popolazione, impaurita dai suoi tragici esiti, ad approfondire le relative conoscenze su queste sconvolgenti manifestazione della Terra. Lo scopo, pur se privo di una probabile risposta positiva, sarebbe quello di realizzare una potenziale prevenzione o, nel peggiore dei casi, preservare da catastrofi abitazioni, edifici di valore e paesaggi da tali calamità.
La cucina italiana a corto di ingredienti linguistici?
Firenze, Accademia della Crusca, 20 gennaio 2017
Il Gruppo “Incipit”, costituito da Michele Cortelazzo, Paolo D’Achille, Valeria Della Valle, Jean-Luc Egger, Claudio Giovanardi, Claudio Marazzini, Alessio Petralli, Luca Serianni, Annamaria Testa, diffonde il suo ottavo comunicato. Ricordiamo che Incipit si occupa di esaminare e valutare neologismi e forestierismi ‘incipienti’, scelti tra quelli impiegati nel campo della vita civile e sociale, nella fase in cui si affacciano alla lingua italiana, al fine di proporre eventuali sostituenti italiani.