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Le vane accuse della sinistra al ministro della cultura Giuli

Nel 2006 ero ancora in servizio nel ruolo dei funzionari scientifici del Ministero della cultura e nell’ufficio, allora, di mia appartenenza tra le diverse attribuzioni avevo pure la responsabilità della bibli0teca, quindi, ero responsabile attraverso il registro cronologico di entrata della presa in carico di ogni volume che afferisse in dono o per acquisto.

Nel caso degli acquisti, alcuni solitamente venivano effettuati direttamente dall’ufficio periferico, su indicazione del responsabile della biblioteca, altri, invece, avvenivano ad opera dell’amministrazione centrale del ministero; tutti gli acquisti, comunque, venivano registrati con l’indicazione del capitolo di spesa contabile dell’ufficio periferico o centrale acquirente.
Premetto tutto questo perché in quel 2006, guarda caso quasi due mesi prima delle elezioni politiche del 9-10 aprile e a più di tre mesi dalle successive elezioni amministrative del 28-29 maggio, vidi giungere alla biblioteca del mio istituto il libro “CULTURA, PAESAGGIO, TURISMO. Politiche per un New Deal della bellezza italiana”, opera di Giovanna Melandri, prefata da Romano Prodi e pubblicata il 2 febbraio 2006 dall’Editore Gremese.
L’autrice, allora esponente dei Democratici di Sinistra e già ministra dei beni culturali dal maggio ’98 al giugno 2001 sotto i due successivi governi D’Alema, Amato, era candidata alle politiche 2006, dove poi sarebbe risultata eletta, entrando pure come ministra per le politiche giovanili a fare parte del governo di centrosinistra, presieduto da Romano Prodi.
Il libro della Melandri era stato acquistato ed inviato agli uffici dipendenti per iniziativa dell’amministrazione centrale del Ministero della cultura, allora guidato, particolare questo, come vedremo, molto significativo, dal prof. Rocco Buttiglione (III governo Berlusconi).

Insomma, più semplicemente un ministro di centrodestra attuava una pratica imparziale di acquisto librario, soprattutto di genere saggistico, riguardante diversi autori, indipendentemente, appunto, dalla loro collocazione o coloritura politica. In conclusione, presi in carico il saggio della Melandri come acquisto su un capitolo di spesa dell’ufficio centrale, apponendo anche sulla terza di copertina il timbro recante il numero cronologico di registrazione del volume. Tutto nell’ambito di una prassi corrente e corretta.

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Eppure, proprio pochissimi giorni fa alcuni giornali, notoriamente e tanto infelicemente schierati a sinistra, hanno riportato la “scandalosa” notizia che l’attuale ministro della cultura Alessandro Giuli (FdI) avrebbe pubblicato un suo libro a spese dello stesso dicastero per un costo complessivo di 21.000 euro. L’opera in questione è “Venne la Magna Madre. I riti, il culto, l’azione di Cibele Romana” (Ed. Settimo Sigillo, data di pubblicazione il 21 aprile 2012), colto e raffinato lavoro sulla devozione alla dea Cibele nell’antica Roma, evidenziando l’importanza di quel culto sulla vita cittadina. Naturalmente, si tratta di una ristampa, avvenuta su iniziativa del Parco Archeologico del Colosseo, quindi giustamente finanziato dal Ministero della cultura. Ristampa che non rappresenta affatto chissà mai quale privilegio o, peggio ancora, un abuso del ministro Giuli: si tratta di una prassi frequente, della quale hanno beneficiato altri autori, le cui opere sono state o sono ritenute degne di pubblicazione per il loro valore culturale.
Se nel 2006 il ministero acquistava di tasca propria copie di un libro della Melandri, perché, adesso, ritenere illecito che un Parco Archeologico dello stesso ministero sostenga la ristampa di un testo, seppur ad opera del suo odierno ministro?

                                                           

Fra l’altro, il testo è del 2012, ben tredici anni fa, quando mai nessuno, tanto più Giuli, avrebbe mai immaginato che un ex “postfascista”, definizione, questa, cara alla sinistra, potesse sedere al vertice del Mic. Ma la sinistra, si sa, illudendosi di sputtanare il ministro Giuli e, di conseguenza, il governo Meloni, non ha esitato a dire e scrivere fregnacce per montare l’ennesimo scandalo fantasma a carico del governo di destra, questa volta gridando contro “l’autoreferenzialismo smaccato con i soldi pubblici, incarnato in un’operazione di autofinanziamento ministeriale, degna di una repubblica delle banane”
La solita logica parolaia della sinistra, adesso velenosamente acida e stizzita dei bei tempi che non tornano, ma soprattutto confusa e tanto, tanto smemorata.

 

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