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Italia Cina: un’amicizia millenaria

Il coronavirus, male oscuro del terzo millennio, subdolo e aggressivo come uno squalo, che ha già devastato tante famiglie italiane, sconvolto le abitudini di un popolo, fortemente danneggiato tutti i settori dell’economia, e messo in ginocchio l’Italia, ci ha ricordato un film di quasi mezzo secolo fa, parodia dello scontro tra l’ipocrisia borghese e il velleitarismo rivoluzionario, “la Cina è vicina” di Bellocchio.

Se sul terreno politico, da molti anni a questa parte,  l’Onu ha rivelato la sua impotenza, su quello economico il FMI si è distinto per le politiche di austerità ottusa che hanno affamato quelli che avevano più bisogno di aiuto, su quello sociale la UE ha tradito i valori solidaristici fondanti dell’Europa comunitaria, su quello monetario la BCE, nuova gestione, ha per incapacità o per malefico disegno, abbandonato il controllo lasciando la nave dell’euro in balia delle onde, anche sul piano sanitario, tutti abbiamo dovuto fare i conti con una nuda realtà. L’OSM – Organizzazione Mondiale della Sanità ha evidenziato tutta la fragilità del gigante burocratico dai piedi d’argilla, con una deleteria  lentezza di reazione, incapace di intuire che il virus presto si sarebbe trasformato in pandemia e di dare con tempestività le opportune direttive.

La forzata quarantena di 60 milioni di persone (tanti sono gli abitanti della provincia di Hubei, quanto gli italiani) capillarmente messi al corrente con le più moderne tecnologie informatiche (app, robot, droni, capaci di tracciare ogni movimento delle persone), e mobilitati con controlli sul territorio ad ogni livello logistico, ha facilitato in Cina il contenimento dell’epidemia. Il comportamento virtuoso dell’uso generalizzato e costante di mascherine e guanti, i controlli e gli screening continui, hanno consentito al popolo cinese, distintosi per disciplina e senso civico, di sconfiggere il morbo.
Questo successo, va detto, è dipeso in gran parte dall’esistenza di un sistema amministrativo forte, capace di una mobilitazione generale del popolo, pronto a seguire le rigorose procedure di sanità pubblica ed è stato un fattore positivo per la salute mondiale; se gli altri paesi avessero preso in tempo analoghe misure cautelative oggi piangeremmo meno defunti.

Purtroppo a pagare il prezzo di questa lentezza di reazione, di non adozione di tempestive misure appropriate, sono stati proprio i più deboli sia a livello individuale che di nazione.
All’inizio, la malattia è stata frettolosamente, e direi cinicamente, soprannominata come la Chernobyl cinese, senza che nessuno prevedesse, OMS in testa,  che avrebbe finito per investire gli altri continenti cominciando dall’Europa e dal suo cuore l’Italia. Invece la Cina, avvezza ad un radicalismo operoso, intuendo da subito la portata del male ha dato una risposta rapida ed efficace, impartendo, inascoltata, una lezione a tutti gli altri paesi, soprattutto ai membri del G7, che anzi non hanno esitato, spinti da latenti pulsioni ideologiche, a criticarne la severità delle misure.

Al contrario di quanto avvenne nel 2009 con la peste suina, nata in Messico e dilagata negli USA con oltre 18.000 vittime, quando nessun osò chiamarla malattia americana, questa volta il coronavirus è stato subito etichettato come malattia cinese innescando odiosi fenomeni di discriminazione razziale ingiustificata. 
Del resto l’identificazione del genoma con caratteristiche diverse in molti paesi, dall’Italia al Canada, dall’Australia alla Svizzera, ha dimostrato che era profondamente errato dare al virus la caratteristica etnica cinese, che ora da più parti viene purtroppo attribuita all’Italia. 
Lo scoppio dell’epidemia in Lombardia e Veneto, che ha visto 11 città formalmente chiuse ha impressionato i leader politici europei che, anziché dare prova di tangibile solidarietà, hanno mostrato orrore e diffidenza per il nostro Paese ritenuto l’epicentro della diffusione in tutto il continente. E’ da questa atmosfera che sono nate forme di derisione inaccettabili: dal video francese sul pizzaiolo italiano che tossisce su una pizza, alla cartina geografica pubblicata dalla rete televisiva americana CNN nella quale l’Italia è raffigurata come una stella irradiante la malattia nel mondo, all’offesa infelice dell’anchorman inglese Christian Jensen che ha accusato gli italiani di profittare del virus per non lavorare ecc.

Il paese ha reagito con orgoglio, anche se non sono mancati leader che hanno sputato nel piatto in cui mangiano, come i due Matteo, che in circostanze diverse hanno criticato il nostro Governo al limite del tradimento, mostrando di non possedere il minimo senso di amor di patria che è il segno distintivo degli inglesi che collettivamente e singolarmente di fronte alle avversità stanno sempre dalla parte del loro paese a prescindere dal governo in carica “I will stand by my country whether it be right or wrong.”

Sul piano internazionale il virus è stato sfruttato in modo sleale, a fini di bassa propaganda politica, a cominciare dal Segretario di Stato americano Pompeo che, nell’intento di sminuire il consenso internazionale di cui gode Pechino, ha definito la Cina, e il suo partito al potere, come la più grande minaccia per l’umanità.

Invece la Cina, in questi giorni di grande difficoltà per l’Italia, ha impartito una solenne lezione di solidarietà agli ipocriti leader europei. Anziché messaggi e vuote parole di finta amicizia o addirittura azioni ostili ci ha fatto toccare con mano la sua solidarietà con aiuti concreti.

Come recita un noto aforisma del padre della letteratura latina del II secolo a.C. Quinto Ennio (ritratto da Raffaello nelle stanze vaticane) “il vero amico si riconosce nell’avversa fortuna”, la Cina ci ha abbracciato con calore. La distanza tra Shanghai e Roma di ben 9.619 km. non ha impedito il rafforzamento dei legami tra i due paesi, di recente ribaditi con la riscoperta della via della seta (che ha fatto imbestialire Trump) e l’equivalente della Croce Rossa cinese ci ha inviato 2 milioni di mascherine e 30 tonnellate di forniture sanitarie oltre ad un equipe di medici specialisti.

Al contrario i cosiddetti alleati si sono voltati dall’altra parte: Trump ha pensato bene che fosse arrivato il momento di dislocare in Italia anziché gli aiuti, alcune testate atomiche stoccate in Turchia, ritenuto paese non più affidabile, la Lagarde ha cinicamente negato che si potesse agire per calmierare lo spread affondando la borsa italiana, Austria, Slovenia e Francia hanno sigillato le frontiere mettendo in pratica un’abolizione di Schengen, la Germania, Polonia e repubblica Ceca hanno vietato l’esportazione di mascherine ecc. 
Che Cina e Italia rappresentino il più antico esempio di amicizia tra popoli portatori di civiltà millenarie, è cosa nota risalente a due secoli prima della scoperta dell’America.

Il virus ha inferto un colpo mortale al nostro commercio con l’Estero, fino ad ora vera boccata di ossigeno per la bilancia dei pagamenti, e gli altri paesi hanno fatto a gara per creare avamposti nei nostri mercati di sbocco e soffiarci la posizione di preminenza ricoprendo il nostro vuoto con prodotti contraffatti.

Non solo per questo, quando sarà passato il momento critico, converrà puntare sulla Cina verso cui dirigere le esportazioni dei nostri prodotti tipici e verso gli altri paesi soggetti alle sanzioni volute dall’America, che fanno più danno a noi che ai destinatari del provvedimento punitivo.

TORQUATO  CARDILLI 

 

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