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L’Italietta provinciale

 

Da qualche mese a questa parte il paese si è perso in un mare di chiacchiere a vuoto, di polemiche sterili senza senso, di battutacce e ripicche da bar sport che hanno acuito il senso di frustrazione generale.

Nei notiziari Radio-TV e nella stampa scritta hanno campeggiato senza costrutto e senza spiegazioni plausibili, né approfondimenti, le diatribe parlamentari sulla legge finanziaria, sul reddito di cittadinanza, sui litigi veri o presunti Roma-Bruxelles, sulla cosiddetta tassazione della povertà (cioè i privilegi alle attività commerciali ecclesiastiche), sui condoni-si condoni-no, sulla saga delle candidature alle primarie del PD, sulle lungaggini della demolizione del ponte Morandi, sui guai della banca Carige, sulle gaffe di questo o quel ministro.

Il popolo italiano, confuso  e disorientato dalla congerie di notizie false, messe in circolazione in modo del tutto doloso, non si è appassionato a seguire i litigi nelle trasmissioni di intrattenimento o in parlamento tra politici delle opposte fazioni, protagonisti di prevaricazioni e di scene di contestazione a parti invertite, non meno violente di quelle del M5S appena entrato in parlamento, con l’aggravante dell’assenza di credibilità dell’opposizione di oggi.

L’italiano medio è stato richiamato al sentimento di fratellanza, tipico del periodo natalizio, più che dalle parole rituali del papa, dalla pietà per l’odissea di 49 migranti su due navi di una Ong tedesca e un’altra olandese, che da 20 giorni ondeggiano nel Mediterraneo, a poca distanza da Malta (7miglia), per il rifiuto del governo della Valletta e di ogni altra nazione europea di consentire l’attracco.

Sulla vicenda, dimenticando i bisogni di larghi strati della propria popolazione indigente, priva di abitazione e di mezzi di sostentamento, si sono buttati strumentalmente a pesce alcuni sindaci (Palermo, Napoli, Firenze), e governatori (Puglie, Toscana, Piemonte, Umbria) che anziché fare fronte comune con l’esecutivo Conte, dichiaratosi disposto ad ospitare 15 migranti, e protestare contro l’ipocrisia europea o stigmatizzare l’assoluta non cooperazione di Malta in violazione di principi ed accordi consolidati, hanno sparato una raffica di critiche al Governo minacciando illusori ricorsi alla Corte Costituzionale, per aver chiuso i porti ai trafficanti di disperati.

Per il caso della nave Diciotti, tenuta l’anno scorso alla fonda per 4 giorni presso Catania, senza consentire lo sbarco degli emigranti, fu montato un putiferio da guerra diplomatica con l’Europa con forti tensioni politiche interne e addirittura con l’intervento maldestro e propagandistico di uno zelante magistrato italiano che mandò un avviso di garanzia a Salvini, finito regolarmente nel nulla.

Oggi l’Europa e la comunità internazionale tacciono ipocritamente di fronte al prolungato rifiuto di Malta di consentire l’attracco, motivato a detta del primo ministro maltese “per non creare un precedente”. Capito? Invece il “precedente” di sbarchi continui in Italia fino al 2018 andava bene a tutti.

Sarebbe il caso di porsi una domanda di politica estera. La legge del mare, codificata in trattati e convenzioni internazionali, impone a qualsiasi tipo di nave che si trovi a distanza raggiungibile di soccorrere i naufraghi. Queste norme furono varate il secolo scorso quando il traffico passeggeri per mare era abbastanza intenso e il fenomeno del naufragio assai raro.

I legislatori di allora non potevano certo prevedere che ci sarebbero state organizzazioni, opache, informate in anticipo sulle coordinate marittime e sugli orari, dedite a questo business della malavita organizzata, di raccolta di emigranti messi in mare, dopo traversie e dolori, a prezzi da crociera di prima classe, su barconi o canotti, senza carburante sufficiente o dotazioni di sicurezza, destinati ad affondare.

Dunque che fare? Denunciare le regole vigenti e pretendere, all’infuori dei casi di naufragi di navi di linea regolarmente registrate, che la bandiera del natante soccorritore si faccia carico del destino delle persone salvate.

Mi direte che denunciare un trattato internazionale non è cosa che si possa fare tanto facilmente. Ma i tempi in cui i trattati valevano per secoli sono cambiati e lo stesso diritto internazionale prevede la recessione da un patto ritenuto anacronistico, non più coerente e utile agli interessi nazionali.

Del resto cosa ha fatto Trump? Ha denunciato gli accordi internazionali di Parigi e di Kioto sul clima e nessuno ha fiatato. Ha rinnegato il trattato multilaterale che vede l’Europa impegnata in prima linea con l’Iran sulla questione nucleare e l’Europa ha balbettato. Ha violato le risoluzioni dell’ONU sullo status di Gerusalemme e vi ha trasferito l’ambasciata da Tel Aviv e anche qui non si è sentito il ronzio di una mosca. Ha violato ripetutamente e costantemente le convenzioni di Ginevra sul trattamento dei prigionieri di guerra senza che l’ONU, la Croce Rossa Internazionale, il Tribunale Internazionale dell’Aja dicessero un’acca, e si potrebbe continuare in questa sfilza negativa.

Allora vuol dire che conta solo la forza di un paese che l’Italia non ha e non vuole avere, abituata come è a guardarsi in modo provinciale solo l’ombelico.

D’altra parte solo en passant, tra una fetta di panettone e un bicchiere di vino, gli italiani sono stati informati durante le feste, anche qui con scarsezza di analisi, di quanto accadeva fuori dei nostri confini e dei suoi riflessi sulla politica internazionale, sulla nostra economia.

I temi del fenomeno pre rivoltoso dei gilet gialli in Francia; della guerra commerciale dei dazi contro la Cina, innescata da Trump; del ritiro dei soldati americani dalla Siria e dall’Afghanistan; delle nuove sanzioni imposte all’Iran e a chi commercia con quel paese; dell’impulso dato all’uso degli idrocarburi e del carbone contro i trattati anti inquinamento hanno avuto l’onore delle ultime pagine o dei titoli di coda. Eppure sono tutte questioni di politica estera che meritano uno sforzo di analisi e di dibattito (quanto tempo è che non si discute nel nostro parlamento di quale debba essere la posizione dell’Italia nel contesto internazionale?) per coinvolgere l’opinione pubblica in temi che proiettano i loro effetti sulla nostra società per parecchi anni a venire.

Prendiamo per concisione due argomenti, tra i tanti sul tappeto, che ci possono riguardare direttamente: la pre rivoluzione in Francia e la guerra persa in Afghanistan.

Per l’ottavo sabato consecutivo i gilet gialli sono scesi in piazza a decine di migliaia contro Macron, non solo a Parigi, ma in parecchie altre città (Tolosa, Nizza, Caen, Le Mans, Montpellier, Strasburgo, Lione, Marsiglia ecc.). La protesta, anche violenta, nonostante si sia tinta di rosa per l’estesa partecipazione delle donne, con l’endorsement della Brigitte nazionale (non quella che abita all’Eliseo), ha contestato apertamente la politica governativa che sperpera milioni per cose di incredibile futilità destinate all’appagamento dell’ego dei politici che non si curano della gente ridotta in miseria, che aumenta le tasse sulla benzina e sui consumi primari e favorisce solo i ricchi.

Negli scontri ci sono stati morti e feriti. La pubblica umiliazione di centinaia di studenti tenuti in ginocchio con le mani legate non ha fatto che esacerbare gli animi. A Parigi c’è stato l’assalto ad un palazzo del governo con lo sfondamento del portone del ministero dei rapporti con il parlamento.

Ormai lo slogan scandito dalla folla richiama altri periodi storici sull’esigenza degli  stati generali del popolo perché il potere torni ai cittadini.

La società italiana dovrebbe riflettere. Se fino a questo momento le cose in Italia hanno preso una piega diversa lo si deve al fatto che il M5S ha incanalato la protesta su binari del tutto legalitari e democratici. Il popolo si è però stancato di guardare quell’orizzonte di lavoro e di dignità, sempre distante e irraggiungibile e sarebbe un grave errore se la classe politica ora venisse meno al mantenimento delle promesse, cancellando le aspirazioni ad una maggiore equità e giustizia sociale.

Altro scacchiere e altra questione non meno grave.

Il presidente americano Trump ha preso atto con realismo che la guerra in Afghanistan durata 18 anni, la più lunga guerra combattuta dagli Stati Uniti, è persa e in modo ancor più umiliante di quella del Vietnam. Quindi ha deciso il dimezzamento delle truppe americane con il ritiro di 7.000 soldati da Kabul e del contingente stanziato in Siria, abbandonando i curdi al loro destino sotto il tallone di Erdogan.

Contraddicendo ed esautorando la linea del Pentagono e provocando le dimissioni a catena del Ministro della difesa Mattis, del suo capo di gabinetto, del portavoce del Pentagono e del plenipotenziario anti Isis in Siria e Iraq ambasciatore McGurk, ha lasciato i 37 partner della coalizione Nato allargata, confusi e sbalorditi.

Senza consultarsi con i vertici delle forze armate, senza trattare la questione nelle riunioni Nato, infischiandosi della concertazione con gli alleati, considerati servi sciocchi e obbedienti, ha deciso di avviare il ritiro completo da quello scacchiere operativo, mettendo in seria difficoltà politica gli alleati della Nato, compresa l’Italia.

Ora i vari Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, i cosiddetti statisti competenti, spieghino al popolo italiano per quale motivo abbiamo sacrificato in Afghanistan la vita di ben 65 soldati, il ferimento di altri 200 e dilapidato oltre 10 miliardi di euro per non ottenere nulla né sul terreno militare, né su quello economico, politico e diplomatico.

Per essere rispettati e non considerati sempre vassalli è necessario qualche volta alzare la testa e il Governo Conte farà bene a ritirare il nostro contingente sic et simpliciter, senza dovere spiegazioni a nessuno che non sia il parlamento e il popolo italiano.

Torquato Cardilli