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BUIO IN SALA: TORNA LA LUCE?

IL FUTURO DEL MERCATO PRIMARIO  DI SBOCCO DEL CINEMA

Il mercato primario di sbocco del cinema, rappresentato dal rito collettivo della sala che emana sul grande schermo la magia dell’irrinunciabile sospensione dell’incredulità nel buio illuminato dal getto d’incisive ed emozionanti immagini, patisce ormai da anni l’accanita concorrenza dell’home video. Il mercato secondario di sbocco col profluvio delle piattaforme on demand genera un fatturato tale da convertire il consumatore cinematografico in consumatore filmico preferendo i luoghi domestici al circuito collettivo. La crisi in atto dall’epoca dell’approdo della televisione, esibito in Splendor (nella foto) da Ettore Scola, ed esacerbata al giorno d’oggi dalla lotta al Covid-19, rende lo sfruttamento intensivo del film una questione di stretta pertinenza del piccolo schermo. A volte piccolissimo. Come quello dei telefoni cellulari. Sintonizzati sui canali Youtube. Antitetici all’offerta del tempo libero in grado di riuscire ad appaiare l’appeal dello spettacolo, legato alla socializzazione, e la feconda sete di conoscenza congiunta al senso di meraviglia. Splendor (1989): Il monumento al cinema di Ettore Scola

Smarrito l’incanto, a favore della bulimia casalinga degli spettatori di Netflix, la soglia di sopravvivenza dei film in sala è ridotta all’osso. L’algida razionalizzazione, abituata a tirare le somme senza perdersi nell’impasse delle false speranze, punta sul cavallo vincente. L’emblematica fila al Capranichetta mostrata in chiave onirica da Nanni Moretti in Mia madre (nella foto) certifica perciò l’anacronismo di una domanda giunta al capolinea?

Gli illuministi non avrebbero dubbi in proposito. Liquidando la faccenda. Ritenuta sorpassata. Ed ergo immeritevole di spossanti tentativi di rianimazione. I romantici, invece, fautori dell’egemonia dello spirito sulla materia, intenti quindi a credere in qualcosa d’impossibile da realizzare sotto l’aspetto del solo ed esclusivo raziocinio, vagheggiano una carezzevole inversione di tendenza. Ma le cose bisogna farle accadere. E non aspettare che accadano. L’insita manna dal cielo non è contemplata da chi butta il cuore oltre l’ostacolo. La vendita al botteghino paga dazio alla mancanza di sostenibilità. L’estenuante penuria dei titoli appetibili, che potrebbero compensare il rischio economico connesso al proibitivo sforzo di contemperare il distanziamento, per eludere eventuali focolai di Coronavirus, e il riavvicinamento del pubblico alla sala, cede spazio ai film indipendenti. Il target dei cinefili, inclini ad anteporre la tenuta stilistica degli autori con la “a” maiuscola ai coefficienti spettacolari degli ordinari prodotti mainstream, divenuti straordinari in questi tempi di magra, va ancora in brodo di giuggiole per la rassegna “Da Venezia a Roma”. Le sale della Capitale – dal Giulio Cesare all’Eden, dal Farnese al Quattro Fontane – che levano la sete con il prosciutto agli appassionati, proiettando con i sottotitoli diversi film d’essai  presenti alla settantasettesima Mostra di Venezia, non hanno modo di allungarne la vita commerciale. Lo specchio per le allodole della cinefilia – che secondo il compianto ed erudito critico fiorentino  Giovanni Grazzini «induce a trascorrere nel buio della sala gli anni più belli della vita, a sopravvalutare opere d’infima qualità, a collezionare ridicole memorie del divismo e a mandare faticosamente a memoria titoli e date che si possono trovare in ogni buon repertorio» – getta ombre pure sull’indubbio impegno profuso in estate allo scopo di custodire l’interesse per il claudicante mercato primario. 

A dispetto degli attestati di stima per la dedizione dimistrata dagli addetti con L’isola del Cinema sul Tevere e il Piccolo Cinema America, l’esito pratico è stato impalpabile. La cassa piange, creare ricchezza attraverso l’industria dell’intrattenimento e lo spettacolo dal vivo appare una chimera, le tavole rotonde non chiudono il cerchio, i dibattiti menano il can per l’aia, sostenere l’occupazione dei lavoratori dell’intera filiera resta solo un buon auspicio, la cerchia incantata dei presunti esperti stenta ad adeguarsi ai volubili diktat del mercato.  Il servizio garantito permettendo ad alcune platee di accrescere le proprie prospettive culturali, scoprendo con la visione all’aperto inobliabili chicche, non è certo in discussione. La disputa sulle sovvenzioni pubbliche ricevute dai circuiti avvezzi al consumo alternativo, più proficuo sul versante culturale rispetto all’ambito economico, dà fuoco alla miccia delle sterili polemiche. L’aperta ostilità per le arene estive a Piazza San Cosimato manifestata da ANICA (Associazione nazionale industrie cinematografiche audiovisive e multimediali) e ANEC (Associazione Nazionale Esercenti Cinema), con il provvedimento che ha concesso allo spettacolo all’aperto una capienza di mille persone rispetto al limite di duecento spettatori imposto alla sala, sembra un vaso di Pandora. Svuotarlo significa convertire gli ambiti di discrezionalità e il pluralismo dei punti di vista in ciniche discipline di fazione. Al contrario, benché ritenuto dapprincipio legato a una pleonastica operazione vintage, impossibile da tradurre in realtà pure per via degli importi stimati, il Cinedrive ha aperto decisamente una breccia di speranza. Di cui tener conto. 

La rimuneratività dei film, ritenuti il frutto del carattere d’ingegno creativo dagli intellettuali e una bella gatta da pelare dai mediatori finanziari decisi a reperire i fondi necessari alla loro realizzazione, necessita del consumo di massa in allegria. Non del consumo elitario sulla scorta dell’inopportuna superbia. Un’alacre collaborazione assume una valenza considerevole per risalire la china. Privilegiando un progetto complessivo rispetto agli interessi particolari. I protocolli stringenti, imposti dalla battaglia contro la pandemia, scoraggiano molti esercenti privi di santi in paradiso. L’autocrate condotta, spesso sottobanco, delle lobby di categoria mette i bastoni tra le ruote ai proprietari dei multiplex temprati dalla gavetta. Dalla capacità di persistere, di fare di necessità virtù, di adempiere al celebre motto The show must go on. L’indomabile grinta, frammista all’inesauribile passione, cementata sin dall’età verde smentendo Grazzini sui migliori anni della vita trascorsi all’insegna della cinefilia, costituisce un antidoto contro i guasti della grancassa? L’intervento diretto dello Stato, gli input qualitativi, contrapposti alle scelte quantitative, l’amministrazione delle risorse monetarie, le varie parti coinvolte, gli investitori in cerca di garanzie, le strategie di marketing, gli attributi-chiave, gli strumenti promozionali si vanno frattanto ad appaiare all’iniquità dei rapporti privilegiati. La chiusura di diverse sale, assai prima del lockdown, a causa dei problemi logistici e dell’ingerenza dei gruppi di potere dominanti, aveva già rotto le uova nel paniere agli inguaribili ottimisti. Il drastico ridimensionamento dell’esercizio cinematografico, causato dall’ininterrotta marcia dell’home video, palesa l’assoluta urgenza di nuove strategie. Ma soprattutto di un codice deontologico. L’aprioristica demonizzazione nei confronti delle imprese che operano nei canali distribuitivi Internet e televisivi inasprisce la lettura dicotomica dei mercati ancillari del settore. L’attesa spossante dei crediti d’imposta per la patrimonializzazione delle PMI (Piccole e Medie Imprese), costrette a subire perdite esorbitanti, pone in evidenza il peso specifico comportato dalla Spada di Damocle degli impietosi costi fissi. Su larga scala nel medio periodo è difficile intravedere apporti risolutivi. Il crollo delle capitalizzazioni di Borsa per le fiorenti società fuori dal cinema, che forniscono beni più tangibili di un film, e la crisi degli studios, invece, incapaci di dare ulteriore linfa alla cosiddetta fabbrica dei sogni, cementano l’implacabile adagio latino Ubi Maior, Minor Cessat. La produzione cinematografica mondiale ubbidisce al processo di sviluppo capitalistico che focalizza la macro e la micro-economia secondo i criteri di selezione del darwinismo universale. L’inidonea logica degli accordi tra distributori ed esercenti è strutturata così verticisticamente ai danni dei proprietari delle sale. Schiave dei limiti del mercato. Lo squilibrio, col massimo del potere racchiuso dai gruppi oligarchici, ha tuttavia provocato una sana reazione. L’ingresso del CNA (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della piccola e media impresa) nel mondo della Settima Arte prende piede dal fermo proposito di sostenere le parti contrattuali maggiormente svantaggiate. Il presidente del CNA – Cinema e Audiovisivo, Mario Pierchiazzi (nella foto), eletto con mandato quadriennale, è estraneo agli ostili movimenti di schieramento; caldeggia, piuttosto, il punto d’incontro tra cinema, televisione e web. Per consentire ad autori talentuosi ma negletti l’approdo nei mercati di sbocco, anziché rimanere ad aspettare l’inane occasione propizia. La recente affiliazione della neonata UECI (Unione Esercenti Cinematografici Italiani) con l’energica CNA rifugge dalle infeconde impuntature. Bensì mira a un cambio di rotta nell’ambito dell’imprenditoria cinematografica attraverso il pieno rispetto delle regole e alcuni progetti di rilancio elaborati con zelo.

Avere il polso della situazione, comprese le dolenti note rinvenibili nel rischio fondato che il culto della sala divenga un mesto modello anacronistico, vuol dire guardare al futuro. Nel rispetto del valore ereditato dalla tradizione. Rinvenibile nello spirito d’estrinseca aggregazione e d’inesausta scoperta congiunto alla sala cinematografica. La testimonianza fornita da Pierchiazzi al riguardo, oltre a confermare la rilevanza dell’apporto cooperativo, offre altri densi spunti di riflessione. 

1). D / Per ottenere un paradigma distributivo più proficuo ed equilibrato, salvando in tal modo il mercato primario di sbocco del cinema dall’oblio, occorre una valida regolamentazione delle finestre temporali. Per mutare la cronologia odierna servono interventi decisi?
R / La catena del valore e la regolamentazione di norme di natura economica non tolgono nulla allo status d’industria culturale del cinema. Anzi. La sala rappresenta il primo approdo commerciale dopo le fasi di pre-produzione, produzione e post-produzione per i film. Che sono tanto merci di scambio e quindi fonti di guadagno quanto opere d’estro. Il rinnovamento auspicato per lo sfruttamento dei film nei vari canali necessita di disciplina ed etica. Lo screditamento del mercato primario quale luogo aggregativo, al di là delle dissertazioni filosofiche sul cerimoniale della visione nel buio della sala, ha permesso al mercato secondario di spadroneggiare. Come CNA intendiamo formulare un giudizio costruttivo, proporre una via d’intesa, stabilire una tempistica sul rilascio dal mercato primario a quello secondario conforme alle esigenze di tutti i titolari dei diritti di sfruttamento.

2). D / Un codice etico fungerebbe dunque da monito contro la concorrenza sleale?  
R / L’etica tutela la rete diffusionale e sconfigge l’inerzia della rassegnazione. Bisogna difendere i diritti della sala. Gli interessi aziendali che ruotano attorno alla filiera cinematografica monopolizzano i diritti di trasmissione. Vanno concordati periodi tali da rendere il momento fruitivo sul grande schermo una tappa irrinunciabile. Come ai vecchi tempi. Adeguandosi anche ai nuovi.

3). D / Gli accordi di prevendita dei produttori con le imprese televisive e i distributori home video hanno comportato la palingenesi dello spettatore cinematografico in spettatore filmico.  Rimettere la chiesa al centro del villaggio, citando l’allenatore Rudi Garcia e l’appassionato esercente Davide Fontana, implica l’incontro o lo scontro?
R / Il fenomeno cinematografico prevede l’organizzazione industriale nel rispetto dei destinatari. La riorganizzazione, a favore dell’opportuno incontro tra produttori, distributori ed esercenti in rapporto alle nuove richieste di cinema determinate dalle piattaforme, va organizzata in maniera da impedire la tendenza a relegare la sala cinematografica in una posizione subalterna. È chiaro che l’ormai breve durata di programmazione dei film, anche i blockubuster, nel mercato primario e i cospicui ricavi provenienti da quello secondario hanno decisamente spostato l’ago della bilancia. Nondimeno verificare con coscienza le mire egemoniche delle grandi imprese all’interno della filiera, paragonabili talora al predominio dei cartelli messicani, è doveroso. Il palpabile pericolo di accerchiamento ai danni delle piccole e medie imprese non si può certo ignorare. Ed è giusto perciò rispondere per le rime agli intralci monopolistici. Richiamando, in caso dovesse servire, l’idonea attenzione degli organi competenti. Come l’Antitrust.

4). D / Non si tratta d’altronde di portare l’acqua al proprio mulino. Il nocciolo della faccenda è la salvezza di piccole comunità, analoghe al contesto dell’indimenticabile “Nuovo cinema Paradiso(nella foto), o le ragioni vanno ricercate altrove?
R / La chiusura delle sale sul suolo nazionale è una disdetta. Le piccole comunità traggono benefici pratici ed empatici casomai dalle aperture dei cinema e dei teatri. Affinché ciò sia possibile, in un futuro non troppo lontano, l’impostazione di fondo sul debito distacco spaziale e temporale dell’uscita dei film nel mercato primario da quella nell’home video prende le giuste distanze dagli eccessi delle politiche affaristiche. Per proteggere, in un’ottica italiana ed europea, gli interessi della collettività. Ben più importanti di quelli dei cartelli e delle lobby.

5). D / La riduzione del numero degli spettatori accresce tuttavia l’incertezza sull’avvenire della sala cinematografica tradizionale. I condizionamenti culturali ed economici impongono comunque delle modifiche in relazione alla concorrenza di Internet e dei videogiochi. Di che tipo?
R / Adeguarsi ai tempi che cambiano, all’interno dell’economia dell’intrattenimento e dell’industria culturale, spinge ad affrontare le metamorfosi necessarie con solerzia ed entusiasmo. Estendendo alla mattina gli orari delle programmazioni in sala. Con una particolare attenzione rivolta alla didattica. Il target principale, costituito dai giovani e dalle famiglie, ha molto a cuore l’aspetto ludico. Che rende profittevole e anche divertente l’impiego del tempo libero. Come sostiene Davide Fontana, la sala è un luogo di condivisione ed emozione. Se quindi lo spettatore diventasse un partecipante per mezzo dei contenuti interattivi, coinvolgendo le imprese del settore gaming, l’intrattenimento immersivo e la domanda di arte rappresentata andrebbero di pari passo. Aumentando il valore polivalente dell’esercizio cinematografico. È un’opportunità di crescita da prendere seriamente in considerazione. La componente del gioco, con l’allegria ivi connessa, insieme alla funzione sociale e culturale garantita dalla sala, rinsalda le prerogative dello spettacolo popolare.

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L’arduo percorso intrapreso dalla sala per ottenere dai Trattati cosmopoliti finestre temporali eque, rimuovendo gli ostacoli dovuti all’interregno della circoscritta ed empia moralità economica, corrisponde a una precisa linea di pensiero e di condotta. Che dinanzi alle risposte di secco rifiuto del mercato secondario di sbocco, complice l’agognato limite di due anni dall’uscita nel mercato primario per trasmettere film destinati con tutto ciò a perdere la presa della novità sul pubblico, stigmatizza qualunque tipo di censura preventiva. Lo ha dimostrato Davide Fontana (nella foto accanto al padre Daniele), proprietario del Multiplex Augustus di Velletri e anima pulsante quest’estate del Cinedrive al Palabandinelli, garantendo agli spettatori la visione dell’intenso film storico d’impegno civile Red Land – Rosso d’Istria di Maximiliano Hernando Bruno. Incentrato sul martirio dell’istriana Norma Cossetto. Un tema inviso alla maggior parte degli esercenti. Lungi dal compiere scelte audaci. Considerate anti-commerciali.

La stessa laboriosità, impreziosita dall’autonomia di manovra tipica degli uomini liberi, ha animato Emanuele Ilari, proprietario del Cinema Madison a Roma, quando, nel 2009, a dispetto delle opinioni avverse, volle portare in sala Il sangue dei vinti (nella foto) di Michele Soavi. Contrario ai vincoli delle lobbies, che fanno il bello e il cattivo tempo, Ilari in veste di presidente UECI continua a parlar chiaro. Rimarcando le premesse per regolamentare la filiera e rimuovere lo spettro della resa incondizionata al mercato domestico.

Raccogliere la sua opinione sull’imbarbarimento generale e sulla voglia di battersi, districandosi nei meandri di un humus dominato dal passaggio dai valori residuali ai processi discriminatori, aggiunge un tassello fondamentale al quadro complessivo dell’arduo esercizio.

1). D / L’uscita in sala del film d’avventura “Mulan(nella foto) ha subìto il voltafaccia della Disney Plus. Che all’ultimo minuto lo ha reso disponibile on demand. Usufruire della campagna di advertising degli esercenti in vista dell’arrivo nel mercato primario scegliendo in zona Cesarini quello secondario equivale, come si dice a Roma, ad andare a vela?
R / In un certo senso sì. Sicuramente sotto l’aspetto etico ingenerare speranze e aspettative, per risollevare le sorti della sala ricavando un cospicuo vantaggio segnaletico e informativo dal contributo degli esercenti nella campagna promozionale del film in uscita, ed esulare poi all’impegno preso suona male. Parecchio male. Ed è per questo motivo che bisogna negoziare clausole estremamente precise. Occorre rimuovere il vizio di fondo dell’incoerenza.

2) D / È un vizio endogeno, con buona pace del doveroso Do ut des, che evidenzia i limiti della crudele selezione naturale? R / È soprattutto una musica che deve finire. La legge del più forte in quest’ambito rappresenta davvero un limite. Non si possono fare figli e figliastri. Il potere contrattuale è squilibrato. I distributori se ne approfittano. La sala sta con le spalle al muro.  La controversa logica di determinati accordi è inaccettabile. L’ANICA e l’ANEC li hanno presi a tavolino a scapito degli esercenti. Non va bene affatto. Reagire a una situazione del genere è un atto naturale. Assai più della deleteria sottomissione a criteri selettivi che privilegiano solo ed esclusivamente le grandi imprese coinvolte nella filiera cinematografica.  

3). D / Un braccio di ferro con i distributori è inevitabile?
R / In ballo ci sono questioni impellenti. Dal noleggio al costo dell’affitto dello stabile, dalle negoziazioni con i distributori agli schemi di uscita dei film, dalla tenitura minima al periodo di programmazione. Vanno riveste le percentuali. La concorrenza sleale ha fatto più danni della grandine. È arrivato il momento di dire basta. Di farsi valere. L’arrendevolezza di fronte all’estorsione dei contratti ha determinato un’incidenza negativa. È ora di mutare segno.  Gli esercenti francesi non sono soggetti a condizionamenti del genere. Il problema è a monte.

4). D / Con l’acqua alla gola, si rischia di capitolare anziché puntualizzare?
R / Noi esercenti italiani ci ritroviamo in quest’impasse perché non siamo tutelati. Le norme sono proibitive. I distributori, invece, hanno ottenuto la cassa integrazione e possono avvalersi d’un margine di manovra differente. Il rispetto delle regole per prevenire il rischio del contagio, le condizioni capestri stabilite per ottenere il diritto di distribuire i film nelle sale, le spese di gestione presentano agli esercenti un conto salatissimo. Starci dentro è alquanto dura. Quasi impossibile. La forza di volontà non ci manca. Bisogna aggiungervi l’impegno per un’autentica ripartenza. Il dialogo aiuta. Le cose vanno dette come stanno. Ma non basta.

5). D / Gli opionion leaders nel campo della comunicazione di solito danno una mano. La critica cinematografica però ha una funzione orientativa. Quali sono gli elementi di persuasione che potrebbero spingere gli spettatori filmici a tornare a essere spettatori cinematografici?
R / Il ruolo della critica consiste nell’argomentazione, nell’informazione e quindi nella comunicazione. L’analisi di un film è certo interessante. Anche utile sotto molti aspetti. Le leve decisionali che spingono il pubblico a scegliere la sala come ruolo d’aggregazione sono a ogni buon conto altre. Pure i comunicati stampa non sono sufficienti. Servirebbero degli infuencers capaci di far capire agli spettatori che vedere un film in sala è tutta un’altra cosa che vederlo a casa. Ora come ora figure come queste, che influenzano l’opinione pubblica, sensibilizzandola sulla sorte dell’esercizio cinematografico, non esistono. Al di là della promozione, una campagna di sensibilizzazione potrebbe fornire un contributo rilevante. Forse addirittura decisivo. 

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La sensibilità è probabilmente la dote migliore di Davide Fontana (nella foto, da ragazzo, accanto a Elena Fabrizi detta Sora Lella). Portavoce di UECI che passa dalla teoria alla prassi con il piglio del lottatore leale. Deciso ad andare avanti per la sua strada. Condividendo le iniziative escogitate per invertire l’infausta rotta e infondere fiducia alla categoria  invece di pensare solo a sé stesso. Le stime d’incassi risibili e il mito della resilienza, che trasforma la crisi in un’opportunità, farebbero venire le vertigini a chiunque pretenda la pappa scodellata. L’altalena di speranza e perplessità, sancita dall’andirivieni di accadimenti difficili da prevedere ed ergo da coordinare in anticipo, non intacca, viceversa, la tempra di Davide.

Gli ammaestramenti paterni, la gioventù trascorsa a pane e cinema, nel buio della sala, alla luce della bonomia di ricavare energia positiva dalla gioia del pubblico, il contenuto umano individuato nel dialogo con ogni appassionato testimoniano l’indissolubilità del legame con il luogo deputato per antonomasia alla visione dei film. Anche se a volte la stanchezza picchia duro, il morale non è mai sotto i tacchi. L’esperienza del Cinedrive gli ha insegnato moltissimo. Il coraggio di buttarsi avanti, senza paura di cadere indietro, non allarga i confini della filiera cinematografica. Né toglie le castagne dal fuoco alla finestra theatrical. Ma costituisce uno sprone per insistere. Per credere nella forza significante della comunicazione. Per comprendere strada facendo i passi da compiere. Step by step. Palmo a palmo. La goccia, si dice, buca la roccia. Smontare il Cinedrive un po’ l’immalinconisce. È pronto nondimeno a rimontarlo per offrire, come ha sottolineato, una stampella per le sale. Non si sa mai. Meglio farsi trovare pronti. Sul pezzo. La medicina contro la noia, costituita dal piacere di assistere a visioni memorabili, da raccontare ai nipotini, è il veicolo d’un tenero sogno. L’obbligatorietà di riempire gli spazi di programmazione, col perenne rischio d’inciampare nel filo d’erba delle sterili contese, diverrebbe un incubo se il ricordo delle giornate allietate dalla sala stracolma di folla non fungesse da valido pungolo. Nelle associazioni d’impresa il guanto di sfida lanciato ai clan che si tirano tutta la coperta dalla loro parte ha nell’indomabile slancio degli esercenti lo strumento ideale per scongiurare il mesto crepuscolo. E permettere alla sala cinematografica di rinascere come un’Araba Fenice. Che impedirà agli approfittatori, con la complicità delle sabbie mobili dei vincoli finanziari, di smantellare la fabbrica dei sogni. I modesti dividendi vanno rimandati al mittente. Le regole univoche stabilite col cuore e col cervello, che per una volta si danno del “tu”, nonostante l’avviso discordante di Woody Allen, debbono ricordare a tutti di che materia sono fatti i sogni. Shakespeare docet.

MASSIMILIANO SERRIELLO

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