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Elogio della menzogna

Forse la bugia è più utile alla vita di quanto non lo sia la verità. Non c’è dubbio che chi sa mentire ha capacità decisamente più ampie di chi sa dire solo la verità. Senza possibilità di mentire l’umanità non avrebbe mai conosciuto la capacità di elaborare modelli matematici che è in fondo, immaginare mondi non veri ma simili ai veri. Questo ha consentito di costruire la scienza e la cultura in generale. Le forme artistiche sono la creazione di mondi non veri, pensiamo a pittura, scultura, teatro, cinema ma anche la musica. Tutta la cultura è alla fine una forma di non rassegnazione al reale, e quindi un’ideazione di mondi non veri.

Ma la bugia non è una prerogativa esclusiva degli uomini. Anche gli animali mentono, e lo fanno ogni volta che, nella lotta per la vita, si nascondono. Occultarsi è forse la sorgente e il modello di ogni menzogna, perché priva l’avversario delle informazioni necessarie per orientare la sua condotta. Quando il predatore, infatti, non percepisce più la sua vittima, diventa incapace di inseguirla. Impressionanti sono i comportamenti di camaleonti o di seppie che prendono completamente colori e forme del contesto in cui sono. E questa incredibile capacità mimetica vale sia per l’attacco che per la difesa in ogni specie animale, uomo compreso. Le tecnologie di guerra di ogni epoca hanno prediletto le capacità sia mimetiche che di nascondimento. Pensiamo alle tecnologie stealth di invisibilità ai radar o il bariolage delle mimetiche dei soldati e dei loro mezzi corazzati. Chi non ha mai desiderato nella sua infanzia di possedere il fiabesco mantello che dona invisibilità che consente sia di fuggire da situazioni pericolose che di spiare senza essere visti le mosse del nemico? Il cavallo di Troia è la prima e più famosa descrizione del passaggio dalla forza bruta all’uso dell’inganno per arrivare all’obiettivo.

L’inganno appartiene quindi alla logica del vivente ed è rintracciabile anche nel mondo vegetale, dove ad esempio l’orchidea africana imita l’aspetto di fiori ricchi di nettare per attirare insetti e farfalle.

Dice Platone: “Mentire coscientemente e volutamente ha più valore che dire involontariamente la verità”. Chi dice la verità conosce solo quella, mentre chi mente conosce la verità e la sua alterazione. E alterare la verità non è cosa facile. Occorre mettersi nei panni dell’altro, interpretare rapidamente le sue attese, studiare i suoi comportamenti ed evitare nel contempo di fare apparire troppo trasparenti i propri. E questo non è un gioco di intelligenza? E infatti non c’è pedagogista che non indichi nel gioco dei bambini l’esercizio più idoneo per lo sviluppo dell’intelligenza. Quel che i pedagogisti non dicono è che il gioco, ogni gioco, da quello dei cuccioli a quello dei bambini, non è altro che una serie di mosse per ingannare l’avversario, è un “far finta che” o, come si dice nel gioco del calcio, è un “fare la finta”, accennare una condotta per poi intraprenderne un’altra.

Non a caso la parola latina che sta per “giocare” (ludere) è la stessa di “il-ludere” e “in-lusio” significa letteralmente “entrare in gioco”, in pratica: dire bugie. Senza bugie molte specie, e soprattutto quella umana, che è la meno fornita di istinti e di difese naturali, difficilmente avrebbero potuto sopravvivere. L’inganno, dunque, appartiene alla logica del vivente, anzi molto spesso è la condizione della sua vita. Ma siccome per ingannare bisogna essere almeno in due, la bugia non è solo il primo segnale dell’intelligenza, ma anche il primo veicolo della socializzazione. Chi dice il vero, infatti, è esonerato dall’entrare nella mente dell’altro, mentre chi mente non può esonerarsi da questo lavoro di intima penetrazione su cui si fonda ogni relazione sociale. Inoltre, chi mente deve conoscere le aspettative di chi ascolta per poter anticipare ciò che l’altro vorrebbe sentirsi dire o per lo meno ciò che è già disposto a credere. Tutto ciò esige una rappresentazione della mente dell’altro oltre che un piano per manipolarla. I leader hanno questa virtù e per questo si differenziano dai gregari. Le informazioni che diffondono con i mezzi a loro disposizione non hanno lo scopo di istruire gli altri, ma di istruire se stessi sulle intenzioni degli altri per potere, al momento giusto, sottrarre loro ogni autonomia e ogni libertà di movimento. I sondaggi di opinione non hanno lo scopo di sondare l’opinione della gente per poi venire incontro alle loro richieste, ma hanno lo scopo di sondare l’efficacia delle persuasioni che si è riusciti a diffondere con i mezzi di informazione. Le ben note finestre di Overton spiegano molto bene le finzioni indirizzate verso la manipolazione occulta della opinione pubblica. E qui siamo arrivati alla televisione con le sue fiction (le sue “finzioni”) così tanto seguite dal pubblico. Ma dalla televisione possiamo passare a Internet dove il reale sconfina nel virtuale, che non riproduce esattamente il reale, come ben sa chi cerca l’amore in rete. E poi c’è il metaverso che si sta sviluppando a grande velocità e promette addirittura una realtà completa e integralmente finta. Le interfacce tecnologiche degli occhiali e dei guanti che sono in grado di “dare l’illusione” che il soggetto sia completamente immerso in una realtà virtuale. E se ci si pensa un po’ una “realtà” che sia anche integralmente “finta” è quanto di più paradossale si possa pensare. E poi c’è il cinema, il teatro, l’arte, la letteratura il cui scopo è di “narrare delle cose non vere”. Come diceva Vittorio Gassman, “l’attore è un bugiardo a cui si chiede la massima sincerità”. In una “rappresentazione” non è importante che siano veri i fatti, gli oggetti e la messinscena, ma che la finzione scenica provochi nell’attore un sentimento vero e sincero esattamente come vero e sincero sarà il coinvolgimento del pubblico che non sarà più in grado di distinguere emotivamente il vero dalla finzione. In questo miracolo di trasformazione l’attore si immedesima nel suo personaggio e questi si incarna, nel volto e nel corpo dell’attore, realizzando una completa fusione esistenziale ed emotiva.

Per immaginare, per mentire, per ideare scenari diversi da quelli esistenti occorre uno sdoppiamento della coscienza capace di far convivere, come in una scena di teatro, la condizione mentale dell’ingannatore e dell’ingannato. Forse anche la psicoanalisi non è altro che lo svelamento dell’autoinganno; quindi, l’apertura della coscienza che i pensieri che elabora sono soltanto razionalizzazione di desideri inconsci.

Nicola Sparvieri

Foto © Facebook

bugia, illusione, Simulazione