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Il mito dell’arca perduta

Insieme al Santo Graal è la reliquia più ricercata e sfuggente della storia. Costruita in legno d’acacia e oro puro per contenere i dieci comandamenti incisi sulla pietra da Dio e consegnati a Mosè sul monte Sinai, l’Arca dell’Alleanza è citata per la prima volta nell’Antico Testamento. Gli Ebrei la trasportano di peso nel corso del loro peregrinare nel deserto, fino a depositarla dentro il Tempio di Salomone a Gerusalemme. Secondo la tradizione l’Arca, in quanto manifestazione fisica di Dio, aveva un potere straordinario, capace di provocare cataclismi e infliggere sconfitte ai nemici degli Ebrei. È grazie all’Arca, per esempio, che le acque del Giordano si separano per fare passare gli Ebrei e che le mura di Gerico crollano per permettere loro di conquistare la città. Stando all’interpretazione comune degli storici biblici, l’Arca sarebbe andata distrutta nel 587 a.C., quando i Babilonesi, guidati dal re Nabucodonosor, conquistarono Gerusalemme e distrussero il Tempio. Ma sono state formulate anche altre versioni. Tra le varie ipotesi, c’è chi pensa che l’Arca sia stata sottratta dal Tempio prima dell’arrivo dei Babilonesi. Nel Secondo Libro delle Cronache, per esempio, si legge: «L’anno quinto del regno di Roboamo [925 a.C.] Sesac, Re d’Egitto [Soshenq I, della XIII dinastia], marciò contro Gerusalemme… e portò via i tesori del Tempio del Signore. Portò via ogni cosa, anche gli scudi d’oro lasciati da Salomone».

Altri, invece, hanno immaginato epiche avventure in cui i cavalieri templari avrebbero ritrovato l’Arca, nascosta in un sotterraneo del Tempio di Salomone, per trasportarla poi insieme ad altri tesori in qualche luogo misterioso, come la cattedrale di Chartres, in Francia, la Cappella di Rosslyn in Scozia o addirittura oltreoceano, anticipando così Cristoforo Colombo nella scoperta dell’America. Più degna di considerazione sembra la scoperta fatta dall’archeologo James Bruce intorno al 1760. Bruce, uno dei pionieri dell’esplorazione africana, rinvenne un documento dal quale si desumeva un possibile legame tra l’Etiopia e gli Ebrei. Stando a questi testi, l’etiope regina di Saba avrebbe avuto da re Salomone un figlio che fu chiamato Menelik. Secondo la leggenda, intorno al 950 a.C. Menelik rubò l’Arca dal Tempio e la portò in Etiopia.

In Etiopia, e più precisamente ad Axum, infatti, esiste un tempio in cui si dice sarebbe conservata l’Arca. Non aveva l’aspetto stropicciato di Harrison Ford, ma James Bruce fu il vero archeologo che si mise sulle tracce dell’Arca dell’Alleanza intorno al 1760, tre secoli prima di Indiana Jones. Figlio di un ricco proprietario terriero scozzese, Bruce fu avviato alla professione di avvocato finché, durante un viaggio in Spagna, scoprì una passione per la cultura araba. Divenne uno dei primi esploratori dell’Africa e si mise alla ricerca delle sorgenti del Nilo in Etiopia. Durante il viaggio entrò in possesso di una copia dell’antico Kebra Nagast (“La gloria dei re”), un epico racconto della storia etiope, dove si narrava anche di come l’Arca fosse arrivata nel paese dopo essere sparita da Gerusalemme. Bruce riteneva che le voci della presenza dell’Arca ad Axum fossero solo leggende, mentre dai suoi studi concluse che la reliquia era stata probabilmente distrutta a metà del XVI secolo dagli invasori musulmani.

Va sottolineato, infatti, che dell’Arca non scrive nessun contemporaneo, se si esclude il profeta Geremia. Nei testi biblici, infatti, l’Arca compare solamente dopo che il primo Tempio di Salomone è stato distrutto e l’Arca è sparita. Fu Tutankhamon, nel XIV secolo a.C., a realizzare la più bella descrizione esistente dell’arca. Fu proprio il faraone a volere che sulle pareti istoriate del colonnato che dal palazzo di Ramses II, a Luxor, si estende verso est fosse inciso un racconto. Vi è rappresentata una raffigurazione simbolica della festa di Apet, ricorrenza dell’anno egizio che annunciava il culmine della piena del Nilo, da cui dipendeva la successiva annata agricola. Sul muro si nota un disegno che sembra rappresentare un’arca, sollevata a spalla mediante aste di trasporto da un gruppo di sacerdoti. Solo che qui non si tratta di una cassa, ma di una vera e propria imbarcazione in miniatura, sorretta da portantini, come da contesto biblico. Il legame tra la festa di Apet e l’Arca dell’Alleanza è evidente se si pensa al fatto che gli Egizi usavano portare gli dèi in processione all’interno di quei modellini d’imbarcazioni, sostenute dagli uomini per mezzo di doghe. Durante la festa di Apet, quindi, le “arche” contenevano piccole riproduzioni di pietra delle divinità del pantheon egizio, proprio come, in parallelo, l’Arca degli Ebrei conteneva le tavole di pietra, il simbolo del Dio d’Israele.

Anche se la ricerca dell’Arca, che appassiona tanti archeologi, difficilmente produrrà un vero e proprio oggetto da esporre un giorno in un museo, tuttavia non diminuisce minimamente il fascino e la suggestione che provoca.

Nicola Sparvieri

Foto © Today

Arca dell'Alleanza, Ebraismo, Etiopia