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Il senso del dolore nei testi sapienziali: il significato teologico del libro di Giobbe

Il tema della sofferenza è un tema universale che accompagna l’uomo ed è inseparabile dalla sua esistenza terrena: in essa è contenuta la grandezza di uno specifico mistero. Al centro di ciò che costituisce la forma psicologica della sofferenza si trova sempre un’esperienza del male a causa del quale l’uomo soffre. Così la realtà della sofferenza provoca l’interrogativo sull’essenza del male. Perché?

Solo l’uomo soffrendo sa di soffrire e se ne chiede il motivo. Sul terreno di questo interrogativo si arriva a conflitti nel rapporto con Dio, giungendo talvolta a negarne la stessa esistenza. Da un lato l’essenza del mondo apre lo sguardo dell’anima a Dio, alla sua sapienza, potenza e magnificenza. Dall’altro il male e la sofferenza sembrano offuscarne l’immagine.

Tra i libri dell’Antico Testamento ve ne sono alcuni denominati “sapienziali” che presentano un approccio particolare alla realtà: sono libri didattici o di etica morale.  Possiedono forme letterarie che li distinguono del resto dei testi; hanno uno stile immaginifico, un fraseggio musicale e sono presentati in forma poetica.

Tutti i sapienziali affrontano in vario modo il senso del dolore. Per esempio il libro della Sapienza lo propone alla luce della condizione finale dei giusti sofferenti per i quali si chiede se la sofferenza sia un castigo di Dio; e conclude che la sofferenza per i giusti è una prova. Il tema lo propone anche quando riflette sulla morte prematura di un giusto: questi dovrebbe vivere a lungo come premio della sua virtù ma i piani di Dio spesso sono diversi.

Il Siracide invece si sofferma sulle antinomie e miserie dell’esistenza umana: Ben Sira risponde a coloro che attribuiscono a Dio il dolore dell’uomo o che giustificano il male con la noncuranza di Dio nei confronti del mondo. Per lui è chiaro che l’uomo è libero e responsabile. Il male è insensatezza perché resta incomprensibile essendo rifiuto di sapienza. Dio non può essere causa del male. Il sapiente è consapevole della complessità della vita umana e di fronte al mistero resta in silenzio adorante.

Qoèlet, secondo la linea di interpretazione pessimista, è un intellettuale critico per il quale la morte cancella tutto, la sapienza è impotente a sapere, Dio è inconoscibile, il mondo è irrimediabilmente deforme e il piacere si raccomanda da sé. Si intrecciano brandelli di pace e di gioia al molto dolore e al non senso dell’esistere, ragion per cui Qoèlet invita a non perdere tali brandelli di gioia.

Nel libro di Giobbe l’interrogativo sul senso della sofferenza ha trovato la sua espressione più viva: l’uomo in Giobbe lo rivolge a Dio con tutta la commozione del cuore e con la mente piena di inquietudine. Questo testo è uno dei massimi capolavori della letteratura mondiale, un libro in cui la poesia raggiunge una vetta altissima ed è soprattutto una geniale e profonda meditazione sul mistero della sofferenza umana di fronte a Dio.

Giobbe rappresenta ogni uomo che soffre, cerca, dubita, si interroga e discute, si ribella e crede. Questa è brevemente la storia: Giobbe è un uomo di Dio. Satana con il permesso di Dio mette alla prova il suo amore per il Signore causando la distruzione di tutta la sua famiglia e di tutti i suoi possedimenti, colpendolo infine con una malattia grave e dolorosa.

Tre suoi amici vengono a fargli visita. Giobbe è talmente infelice che si duole persino di essere venuto al mondo. Tutti e tre affermano che la malattia è la punizione per un qualche suo peccato, gli consigliano di smettere di peccare e di chiedere piuttosto perdono a Dio. Giobbe tuttavia non riesce a comprendere il motivo di quella punizione poiché non trova il male nelle sue azioni. La discussione sulla causa delle sofferenze di Giobbe continua fino a che non arriva un quarto amico il quale sostiene che Dio può avere un motivo per permettere che anche a una persona buona accadano sventure.

A questo punto Giobbe chiama lo stesso Dio in causa e si lascia andare ad un lungo lamento autobiografico al quale il Signore risponde conducendolo ad un’umile professione di sottomissione: nessuno può comprendere cosa Egli fa o perché lo fa. Dio rimprovera i primi tre amici che avevano sbagliato nel sentenziare la colpevolezza di Giobbe. Premia poi Giobbe concedendogli una nuova famiglia e ricchezze maggiori di quelle possedute in precedenza perchè durante le sue sofferenze non lo aveva mai accusato.

Il libro di Giobbe non offre una teoria organica sul problema del male e della sofferenza umana ma è un coraggioso atto di onestà di un credente razionale di fronte alla durezza della vita. Giobbe è consapevole che la vita umana non è il risultato di forze caotiche ma che il mondo è creato da un Dio buono e sapiente. Egli confida che ci sia un senso ultimo buono all’esistenza umana e tale fiducia legittima tutto il suo sforzo di intelligenza. Giobbe ha fede in un creatore buono di un mondo ultimamente buono, ordinato e sensato e questo è il sottofondo su cui scorre la tormentosa ricerca.

È interessante soffermarsi sulla posizione dei tre vecchi conoscenti che cercano di convincerlo come tutta la sofferenza che lo ha colpito è dovuta a una qualche colpa grave da lui commessa. Essi sostengono che la sofferenza viene mandata da Dio assolutamente giusto all’uomo come pena per un reato. I vecchi amici vogliono da un lato convincerlo della giustezza morale del male e dall’altro vogliono difendere il senso morale della sofferenza come pena per il peccato. Questa è una convinzione della coscienza morale dell’umanità ossia l’ordine morale oggettivo richiede una pena per la trasgressione, per il peccato e per il reato.

Secondo questa concezione Dio ripagherebbe il bene con il bene e il male con il male: essendo il Dio della Rivelazione legislatore, giudice e creatore, la consapevole e libera violazione del bene essenziale della creazione è un’offesa al creatore. Tale trasgressione è un peccato e al male morale del peccato corrisponde la punizione. La sofferenza appare da questo punto di vista come un male giustificato. La sofferenza come punizione del peccato si fonda sull’ordine della giustizia.

Giobbe contesta invece che questo principio sia vero: la sofferenza, dice, non è una punizione del peccato. Egli è consapevole di non meritare una tale punizione e ripropone anzi il bene compiuto nella sua vita. Alla fine Dio stesso riconosce che Giobbe non è colpevole e rimprovera i suoi amici per le loro accuse.

La sofferenza di Giobbe è la sofferenza di un innocente che deve essere accettata come mistero che l’uomo non è in grado di penetrare fino in fondo con la sua intelligenza; Dio ha seminato nell’universo segreti impenetrabili all’uomo e il dolore è un segreto della Sua sapienza che è necessario accettare con umiltà.

Il libro di Giobbe non intacca il principio dell’ordine morale trascendente fondato sulla giustizia proposto dalla Rivelazione però dimostra che i principi di quest’ordine non si possono applicare in modo esclusivo e superficiale: se è vero che la sofferenza ha un senso come punizione quando è legata alla colpa, non è vero che ogni sofferenza sia conseguenza della colpa ed abbia carattere di punizione.

Quello di Giobbe è il problema della sofferenza dell’uomo innocente: la sofferenza senza colpa. Giobbe infatti è stato sottoposto ad una durissima prova sebbene non vi fossero le basi per infliggergli una pena: Dio permise questa prova per provocazione di Satana, leggiamo nell’introduzione del libro. Quindi Dio acconsente a provare Giobbe con la sofferenza per dimostrarne la giustizia: la sofferenza ha qui carattere di prova.

Il libro di Giobbe pone fortissimo il perché della sofferenza, mostra che essa colpisce anche l’innocente, ma non dà ancora la soluzione al problema. La piena risposta all’interrogativo sul senso della sofferenza sarà rivelata da Dio all’uomo nella croce di Cristo: l’amore.

Veronica Tulli

Foto © Teth

libri sapienziali, Mistero del male, peccato, prova, sofferenza del giusto