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LA Battaglia di Nikolajewka

Ci ricolleghiamo a quanto già pubblicato in dicembre e gennaio sul nostro web, riguardante le celebrazione del ricordo di questa epica battaglia, per riportare la relazione svolta dal Generale Tullio Vidulich, presso la Sala Conferenze dell’ Istituto SS Vergine sabato 21 gennaio  _ La Redazione di Consul PressNell’estate del 1942, nei mesi di luglio – agosto, una lunga serie di offensive vittoriose consentirono alle Armate tedesche e alleate di conquistare un ampio territorio fra il fiume Don e il Volga e di raggiungere l’importante città industriale di Stalingrado.

Ricordo che la partecipazione dell’Italia alla guerra contro l’Unione Sovietica – avvenuta nel periodo luglio 1941/gennaio 1943 – rappresentò uno sforzo notevole per le Forze Armate Italiane, già duramente impegnate nei Balcani (Grecia e Jugoslavia) e in Africa Settentrionale.

Dapprima furono le Divisioni Pasubio, Torino e Celere, del Corpo di Spedizione Italiano in Russia (abbreviato con la sigla C.S.I.R), ad essere duramente impegnate in Ucraina e le battaglie presero nome dai fiumi, che costituirono sempre dei forti ostacoli all’avanzata delle nostre unità, dal Bug, agosto 1941, al Dnjeper, Battaglia di Petrikovka, al bacino industriale del Donez, sino alla Battaglia difensiva del Natale 1941 e poi dal luglio 1942 sul Don con l’8a Armata. Per rimpiazzare le perdite subite nell’inverno 1941-1942 durante la Battaglia di Mosca e in vista della ripresa operativa della primavera 1942, la Germania chiese al Governo italiano di inviare altre truppe sul fronte orientale.

download A partire dal giugno 1942, Mussolini inviava in quel vasto teatro di operazioni,  altri due Corpi d’Armata: il II Corpo d’Armata con le Divisioni di Fanteria  Cosseria, Ravenna, Sforzesca e Vicenza, un Corpo d’Armata Alpino composto  dalle Divisioni Tridentina, Julia e Cuneense, Raggruppamenti delle Camicie  Nere, reparti dell’Aeronautica Militare ed i Mas della Marina Militare che  operarono nel Mar Nero e sul Lago Ladoga. Queste nuove unità, più il Corpo di Spedizione (CSIR), a partire dal 9 luglio 1942, costituirono l’8a Armata Italiana denominata anche ARMIR (Armata Italiana in Russia), al comando del generale d’Armata Italo Gariboldi.

L’ARMIR aveva una forza di 229.000 uomini, 988 cannoni, 17.000 automezzi, 25.000 quadrupedi, un centinaio di aerei ed un reparto di MAS della Regia Marina che operava nel Mar Nero.

Alle operazioni nello scacchiere meridionale, con il “Gruppo di Armate A”, prese parte in un primo tempo anche, il Corpo d’Armata Alpino che faceva parte dell’ARMIR, destinato a operare sulle montagne del Caucaso, successivamente rientrò nell’ambito dell’Armata per essere impiegato sul fronte del fiume Don. Il 30 luglio 1942 l’ARMIR, con la 3a Divisione Celere “Principe Amedeo Duca d’Aosta”, conobbe il battesimo del fuoco per eliminare la pericolosa testa di ponte sovietica de Serafimovic.

Alla fine di luglio del 1942 l’avanzata della 6a Armata tedesca venne arrestata dalle truppe dell’Armata Rossa sulla riva destra del Volga, a Stalingrado, città trasformata in una imprendibile fortezza. Benché superiori in uomini e mezzi, i tedeschi vennero fermati dalla ferma e disperata resistenza sovietica.

Con l’arrivo dell’autunno le truppe tedesche, ormai dissanguate a causa dei ripetuti attacchi senza successo contro la fortezza di Stalingrado, si disposero sulla difensiva. Anche le truppe alleate – ungheresi, italiane e romene – schierate lungo la riva destra del Don, su ordine dell’Alto Comando tedesco, ricevettero l’ordine di resistere ad oltranza, bloccando ogni tentativo di attacco nemico.

A fine ottobre del 1942 l’iniziativa strategica passava all’Armata Rossa. L’Armata Rossa venne rinforzata con ingenti riserve sull’Alto e Medio Don e sul fronte di Stalingrado per attuare la grande controffensiva preparata segretamente sin dai primi di ottobre dal Comando Supremo Sovietico (Stavka).

Il mattino del 19 novembre a nord ed il 20 novembre a sud di Stalingrado, in presenza di temperature molto basse e di una fitta nevicata, si scatenò la potente controffensiva dell’Armata Rossa denominata “URANO” che capovolse lo scenario strategico sull’intero fronte meridionale. I tedeschi vennero colti di sorpresa e travolti dai russi non riuscendo a bloccare la violentissima offensiva.

La 3ªArmata romena, schierata alla sinistra della Sesta Armata a difesa del Don, venne travolta e dispersa dalla decisa offensiva russa e subito dopo anche il fronte a sud di Stalingrado non resse alla potente offensiva: le due branche della tenaglia sovietica si incontrarono il giorno 23 novembre a Kalach, una cittadina sul fiume Don, realizzando un grande successo strategico: l’accerchiamento della 6a Armata di von Paulus bloccata fra le rovine di Stalingrado ed i resti della 3ª e 4ª Armata rumena e parte della 4a Armata corazzata tedesca al comando del famoso generale von Manstein.

Mentre a Stalingrado proseguiva la battaglia per eliminare la 6a Armata tedesca, all’alba del 16 dicembre, preceduta nei giorni precedenti da intense azioni di fuoco tendenti a logorare le capacità di resistenza dei reparti italiani, dal pericoloso saliente del Don di Verhnj Mamon, si scatenò l’Operazione “Piccolo Saturno”, condotta da reparti di due armate, la 1a Armata e la 6a Armata Guardie.

Una devastante tempesta di fuoco si abbatté sui fanti delle Divisioni Cosseria e Ravenna del II Corpo d’Armata, tagliando in due il fronte dell’8ª Armata italiana. Attraverso la falla aperta reparti russi penetravano in profondità nelle retrovie dell’Armata italiana verso le cittàdine di Taly e di Kantemirowka aprendo così una nuova minaccia verso le truppe tedesche che operavano a Stalingrado.

A causa del cedimento delle divisioni Cosseria e Ravenna, le divisioni Pasubio, Torino, Celere, Sforzesca e la 298ª Divisione tedesca, schierate a destra della Ravenna, si trovarono in estrema difficoltà. Per non essere accerchiate dai carri e dalle fanterie sovietiche, furono costrette a ritirarsi dalle posizioni del Don per costituire una linea di resistenza più arretrata a sud di Kantemirowka – Tcertkovo.

All’alba del 14 gennaio 1943 l’Armata Rossa attuava la terza fase della grande controffensiva “Urano, chiamata “Ostrogozsk-Rossosch”, penetrando con reparti corazzati nel fronte difeso dagli ungheresi a nord e in quello tenuto dalle unità tedesche a sud. Attraverso le brecce aperte le colonne corazzate sovietiche irruppero verso ovest racchiudendo in una vasta e profonda sacca il Corpo d’Armata Alpino e le residue forze alleate.

Per uscire dall’accerchiamento la sera del 17 gennaio, protetti da un velo di forze, il Corpo d’Armata Alpino iniziava a piedi la lunga ritirata in condizioni climatiche, operative e logistiche spaventose, su un terreno ormai in mano ai russi.

Le penne nere della “Tridentina”, della “Cuneense”, della “Julia”, del Battaglione sciatori “Monte Cervino”, i fanti della Divisione “Vicenza”, i carabinieri e tutti i soldati dei Servizi raggiunsero e spesso oltrepassarono i limiti estremi delle capacità di sopportazione umana.

La marcia del Corpo d’Armata Alpino verso la salvezza fu un evento drammatico, doloroso ed allucinante, costellato da innumerevoli episodi di valore, di grande solidarietà, in cui circa 50.000 uomini si batterono disperatamente, senza sosta, per 15 interminabili giorni e per 200 chilometri di ripiegamento, in condizioni ambientali tremende, con pochi muli e slitte, nell’intento di aprirsi un varco verso la salvezza.

Gli Alpini sostennero una serie di epici combattimenti che sono entrati a far parte della storia dell’Esercito Italiano e d’Italia.

Il 26 gennaio, dopo sanguinosi scontri sostenuti durante la notte dal battaglione Tirano in località Arnautowo, i resti della Divisione Tridentina, alla testa di una colonna di 40.000 uomini, italiani, tedeschi e ungheresi, quasi tutti disarmati e in parte congelati, appoggiati dagli ultimi quattro semoventi del XXIV Corpo corazzato tedesco, al comando del maggiore Fischer, giunsero davanti a Nikolajewka, che oggi si chiama Malenka Alexandrowka, un grosso villaggio situato in mezzo ad una conca, lungo la quale passava l’importante ferrovia Mosca – Rostov, fortemente difeso dai russi con armi controcarro, mitragliatrici e mortai.

Memorabile il comportamento del generale Luigi Reverberi, comandante della Tridentina, che salito su un carro armato tedesco, al grido “Tridentina… avanti! di là c’è l’Italia!”, trascinava i suoi alpini all’assalto. Sotto il fuoco delle mitragliatrici ed i colpi dell’artiglieria nemica caddero centinaia e centinaia di alpini. Nikolajewka fu l’ultimo cancello di fuoco prima della libertà.

Nonostante la tenace resistenza nemica gli alpini, prima di sera, spezzarono l’ultimo sbarramento russo a Nikolajewka e occuparono il paese cercando un alloggio nelle isbe, mentre le Divisioni Cuneense, Julia che ripiegano più a sud, già decimate dai sanguinosi, drammatici combattimenti dei giorni precedenti, ormai all’estremo limite della resistenza umana, vennero circondate e catturate a Valuijki.

Grazie a questo successo, tragico e pagato a prezzo altissimo, i resti del Corpo d’Armata Alpino, riuscirono a superare il poderoso sbarramento russo e raggiungere la salvezza. Erano gli ultimi giorni di gennaio 1943 di 74 anni fa!

Il 31 gennaio la testa della colonna del Corpo d’Armata Alpino giungeva a Schebekino, fuori dalla sacca, ove i militari, sfiniti dai combattimenti, dal freddo e dalla fame, ricevevano i primi soccorsi. Sgomberati con pochi autocarri i feriti più gravi, i superstiti ripresero la marcia e dopo 700 chilometri, sempre a piedi, il 1° marzo, raggiunsero la zona di raccolta di Gomel.

In mezzo a quel inferno bianco disseminato di caduti, di dolore e di tribolazioni di ogni genere, incalcolabile fu la generosa dedizione dei cappellani militari che si impegnarono oltre ogni limite umano per assicurare l’assistenza spirituale ai Soldati dei reparti condividendo con loro sofferenze, sacrifici, privazioni e offrendo a tutti una luce di speranza e di grazia divina.

La battaglia, che io ho descritto in così poche parole, era durata ben dieci ore e costò migliaia di morti: ricordo che vennero concesse ben 25 Medaglie d’Oro al Valore Militare.

Al di là degli avvenimenti bellici, resta il grande esempio di coraggio, di spirito di sacrificio e l’eroismo dei nostri Soldati, per la dedizione al Dovere e per avere onorato in ogni circostanza la Bandiera e l’Italia. Migliaia di alpini caddero sull’altare del sacrificio per dare la possibilità ad altri di salvarsi e di trovare aperta la via verso la salvezza e la Patria lontana.

Celebrando Nikolajewka onoriamo anche coloro che non riuscirono a sopravvivere, coloro che sul fronte del Don furono travolti dalla massa dei carri armati russi, ed i Caduti di molti scontri eroici, dalla Battaglia di Natale nel dicembre del 1941, alla Battaglia di Serafimovic della 3a Divisione Celere, alla carica del Savoia Cavalleria a Isbuschenskj, alla resistenza delle divisioni del II Corpo d’Armata nei cinque giorni iniziali nel dicembre 1942 sino alla tenace e disperata resistenza dei nostri valorosi soldati ad Arbuzovka e nella cittadina di Certkovo.

Con tale Battaglia si concludeva l’intervento italiano in terra di Russia, iniziato nel luglio 1941 con il Corpo Spedizione Italiano in Russia (C.S.I.R.) e proseguito poi con l’A.R.M.I.R.

Oggi la Battaglia di Nikolajewka, così come quella di El Alamein in Africa Settentrionale, è divenuta patrimonio morale e spirituale del popolo italiano, per le mirabili prove di dedizione, di coraggio e di umanità dei nostri eroici Soldati che dimostrarono nei numerosi durissimi combattimenti e che svolsero in condizioni disumane e spaventose.

Valori militari e civili che rappresentano le fondamenta della nostra Società, fondamenta che continuano ad essere patrimonio prezioso delle nostre Forze Armate e che continuano ad essere custodite e difese con grande responsabilità e rispetto dalle Associazioni Combattentistiche e d’Arma.

Generale B. Tullio Vidulich

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