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“La Lunga Notte della caduta del DUCE”:
una produzione Rai analizzata dalla Consul-Press

Un film d’impronta nazional-popolare ma non banale,
al di là di qualche difetto 
in un’analisi a cura di FABRIZIO FEDERICI

Di sicuro si poteva fare meglio, con un occhio meno attento all’Auditel e uno più rivolto ai buoni libri di storia. E’ quanto scriveva il quotidiano “L’Avvenire”, il 31 gennaio, recensendo la prima puntata di La lunga notte-La caduta del Duce”, lo sceneggiato RAI (non userò mai personalmente l’orribile termine “fiction”!), prodotto da Luca Barbareschi, con regia di Giacomo Campiotti (da un’idea di Franco Bernini, sceneggiatori lo stesso Bernini e Bernardo Pellegrini, con la consulenza storica di Pasquale Chessa) dedicato alla “Notte del Gran Consiglio” del luglio 1943 e alle sue immediate conseguenze.

Abbiamo preferito attendere alcuni giorni, prima di scrivere su questo sceneggiato. Per aver modo di ripensarci meglio, trattandosi d’un film tv che per la RAI ha rappresentato il primo tentativo, dopo l’altro sceneggiato del 1969, di affrontare con un’opera narrativa (non cioè, con un servizio giornalistico, di cui ci son stati già vari esempi, alcuni anche molto validi) un tema così centrale della nostra storia contemporanea, riguardante un’epoca che oggi sembra lontana quasi anni luce, ma che, in realtà, è più vicina di quanto sembri. Conosciamo bene quanto i nostri tempi – in tutto il mondo, non solo in Italia –  sono “figli” (o se volete “nipoti”) di quei decisivi anni 1939 -’45 in cui il mondo, assai più di ora, sembrò veramente sul punto d’implodere e distruggersi, tra dittature, “uncinate” e  con la stella rossa, all’assalto del potere mondiale; un’epoca in cui bombe atomiche “a stelle e strisce” hanno decretato la vittoria (fisica e soprattutto psicologica) della Seconda Guerra Mondiale.

Ma riprendiamo il discorso iniziale. Un giudizio, questo de “L’Avvenire” del 31 gennaio, su cui siamo d’accordo solo in parte: perché nel film tv di Campiotti ci sono incongruenze, piccole inesattezze, ed anche errori di “casting” che si potevano facilmente evitare (un Hitler da operetta, il Maresciallo Badoglio coi baffi, che sicuramente non portava nelle date del 25 luglio o comunque in quel periodo…).
Mentre ci sono anche “licenze poetiche” (o meglio, di sceneggiatura) perdonabili, in quanto possibilissime ….vds. il burrascoso confronto che hanno, tra un atto e l’altro della seduta del Gran Consiglio, Grandi e Mussolini: che a tratti ricorda quello – all’epoca, effettivamente avvenuto – tra il punico Annibale e il romano Scipione poco prima di Zama (…il che porta a considerare che gli sceneggiatori avessero letto i libri di storia sì, ma quelli sbagliati – N.d.R)
Ma ci sembra francamente esagerato, anche fuorviante in termini di contenuti, stroncare completamente quest’opera: come fa, ad esempio, l’altra recensione a firma di Boris Sollazzo sull’altra testata “The Hollywood Reporter”, definendola “una soap di quart’ordine”.

Ma andiamo con ordine. Già negli anni ’70-’80, rimase purtroppo nel cassetto il progetto di un film, per le sale, sulla prima caduta del fascismo (con sceneggiatori di prim’ordine, tra cui, se non erriamo, Ugo Pirro). Progetto mai realizzato, ma di cui la testata “L’Espresso” pubblicò (fine anni ’80, primi anni ‘90?) una parte dell’iniziata sceneggiatura. Per i film televisivi, invece, già nel 1969 era andato in onda su RAI 1, esattamente l’8 e il 10 aprile, “La resa dei conti- Dal Gran Consiglio al Processo di Verona”: film di Marco Leto, figlio di Guido (che era stato a capo dell‘OVRA dal 1938 al 1945), con sceneggiatura di Luigi Lunari, che si concentrava sulla seduta del Gran Consiglio del 24 luglio ’43, sul successivo arresto di Mussolini a Villa Savoia, dopo il colloquio col Re, e sulla grande vendetta del fascismo irriducibile – e dell’alleato nazista – a Verona (novembre ’43-gennaio ’44). Con un notevole cast: nei panni di Mussolini, un convincente Ivo Garrani (che risultò al tempo solo un po’ macchiettistico nel riprodurre certe tipiche pose del Duce), e, in quelli, rispettivamente, di Ciano, Farinacci, Grandi, Vittorio Emanuele, Scorza e Pavolini, altri celebri attori come Franco Graziosi, Mario Feliciani, Renato De Carmine, Giulio Girola, Daniele Tedeschi e Franco Parenti.

Pochi anni fa, invece, il poliedrico Pier Francesco Pingitore, “deus ex machina” degli spettacoli satirici del “Bagaglino”, metteva in scena, proprio in quella che fu la residenza ufficiale di Mussolini dal ’25 al ’43, la piece teatrale Quel 25 luglio a Villa Torlonia”. «Si tratta di un tentativo – spiegava Pingitore, il 21 luglio 2010, al “Giornale”  – di ricostruire la vicenda umana e politica del Duce prendendo spunto dalla notte tra il 24 e il 25 luglio del’43, quando nella seduta del Gran Consiglio si stabilì il suo allontanamento».
Lo spettacolo, ambientato tra il salone da ballo del neoclassico Casino Nobile di Villa Torlonia e lo spazio esterno antistante la vetrata, si compone di una serie di dialoghi, a partire dagli incontri, reali (con Donna Rachele) e immaginari (con gli scomparsi, all’epoca, Bruno e Arnaldo Mussolini, nonché Margherita Sarfatti e Claretta Petacci) che il dittatore – interpretato da Luca Biagini – interseca non appena rientrato a casa da Palazzo Venezia, nella notte sicuramente più lunga della sua vita.
Quel 25 luglio a Villa Torloniaandò in scena a Villa Torlonia dal luglio al settembre 2010: un lavoro da cui Pingitore ha tratto anche un film (probabilmente reperibile in dvd) e a cui ha fatto seguire poi due altri episodi, uno sulla “liberazione” del Duce – o meglio, il passaggio ad altra pri
gionia – (chi vuol capir capisca con “Operazione Quercia, 2013 – N.d.R.) a settembre del ’43 ed in seguito un altro, infine, sul terribile epilogo della vicenda, tra Dongo e Milano, nell’aprile del ’45 (ovvero “Scacco al Duce”, 2015 – N.d.R.) 

Tornando al film di Giacomo Campiotti, “La lunga notte” vanta senz’altro un’accurata ricostruzione degli ambienti (molte le scene in interni) e dei costumi dell’epoca: e un ritmo serrato, da thriller storico. Non è mai facile mettere in scena la storia: si rischia sempre di cadere nel didascalico “palloso” o, all’opposto, di banalizzare gli avvenimenti ricostruiti (uno dei pochi che c’è riuscito magistralmente è stato il grande Rossellini coi suoi film per la RAI, appunto, da “Socrate” e “Gli Atti degli Apostoli” a “La presa del potere di Luigi XIV”).  Potremmo dire che Campiotti è riuscito, nell’insieme, ad evitare ambedue i rischi: con una pellicola, poi, televisiva, quindi costretta – in quanto destinata a un pubblico molto più ampio di quello delle sale – ad usare un linguaggio il più possibile semplice e didascalico, risultando alla fine molto “equilibrato”.

Alessio Boni, non nuovo ai film storico-biografici (già Walter Chiari e Caravaggio, sempre per la RAI) è un convincente Dino Grandi, anche se, forse per l’epoca, troppo ragionante in termini di democrazia e diritti umani, diciamo “post 1945”.
Duccio Camerini (già visto, tra l’altro, in “To Rome with love” di Woody Allen ed “Esterno notte”, la pellicola di Marco Bellocchio sul caso Moro) è un Duce credibile, anche se non all’altezza di quello tratteggiato da Rod Steiger nel “Mussolini ultimo atto” di Carlo Lizzani (1974).
Meno convincenti, Marco Foschi come Galeazzo Ciano e la pur carismatica Lucrezia Guidone come Edda; mentre Martina Stella si sforza d’impersonare Claretta, purtroppo non riuscente nell’uscire dalla dimensione puramente sensuale del personaggio.  Ma nell’insieme “La lunga notte” è un film d’impronta nazional-popolare, sforzandosi di non essere banale, rappresentando i protagonisti del Ventennio non come mostri o idioti incompetenti, ma, al di fuori di vetuste visioni ideologiche, nella loro effettiva natura di politici navigati quanto drammatici, opportunisti ma anche pronti – almeno alcuni di loro –  a pagare personalmente i propri errori e colpe.
Un suggerimento a sceneggiatori, consulenti storici e regista: realizzare – sempre per la RAI – il seguito, con gli altri 2 tragici atti della guerra civile, con riferimento alla storia della Resistenza e agli avvenimenti del 25 aprile “e dintorni”. Magari per il 2025, ottantesimo anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale. 

 @Fabrizio Federici
 N.d.R. Francesco Spuntarelli