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La rivolta dei Boxers, Cina (circa 1898-1901)

La ribellione, o rivolta dei Boxers o anche guerra dei Boxers fu un sollevamento avvenuto in Cina nel 1899, rivolto contro l’influenza colonialista straniera.

Fu messo in atto da un grande numero di organizzazioni popolari cinesi, riunite sotto il nome di Yi-he-tuan (cioè Gruppi di autodifesa dei villaggi della giustizia e della concordia).

La rivolta ebbe come base sociale molte scuole di kung fu (identificate come «scuole di pugilato»), che inizialmente adottarono il nome di «pugili della giustizia e della concordia», denominazione che, nei racconti dei missionari, fu resa semplicemente come «boxer».

In che condizioni era la Cina a quel tempo?

Dopo aver sofferto per le guerre dell’oppio e la rivolta dei Taiping, la Cina era stata ulteriormente indebolita a causa dell’ aggressione nipponica del 1894-1895, cosicché le grandi potenze erano riuscite a suddividerla in zone d’influenza. Alla fine del XIX secolo, il risentimento nei confronti degli occidentali giunse al suo apice a causa della continua ingerenza straniera negli affari interni della Cina, con la connivenza passiva dell’imperatrice madre Cixi. Inoltre la cattiva gestione da parte delle potenze straniere dei problemi legati alla siccità fu causa di enormi carestie, che aumentarono il risentimento verso gli occidentali e le classi agiate in generale.

Erano gli anni del grande assalto all’impero di mezzo, in piena decadenza della dinastia dei Manciù, in cui le potenze straniere alla Cina tentavano in ogni modo di strappare concessioni territoriali, zone di influenza, miniere e appalti per la costruzione delle ferrovie. Per la spartizione erano in corsa inglesi, russi, giapponesi, francesi e tedeschi. Sembrava che la Cina stesse per fare la stessa fine dell’Africa: a fine Ottocento erano ben 62 gli insediamenti stranieri presenti in Cina. La rabbia derivava non tanto dall’invasione di una nazione sovrana, quanto dalla sistematica violazione delle tradizioni e delle regole di comportamento cinesi, che non veniva perseguita perché di fatto gli Occidentali erano immuni da qualsiasi procedimento.

Questo risentimento crebbe fino al punto di portare alla distruzione e alla violenza contro le aziende straniere, i loro dipendenti e persino oggetti quali violini, automobili, linee telefoniche e altri oggetti che si potevano far risalire alla progressiva occidentalizzazione della Cina. Anche se il governo Qing condannò formalmente le azioni violente, non ne perseguì i responsabili. I disordini antioccidentali iniziarono nel 1899 mentre la guerra vera e propria contro le truppe occidentali cominciò nel giugno 1900 e durò fino al 7 settembre 1901, durante gli anni finali dell’impero Manciù in Cina sotto la guida della dinastia Qing.

Boxers alla loro origine e cambiamenti successivi

I Boxer si batterono da principio, oltre che per la salvaguardia delle tradizioni nazionali contro l’«inquinamento» straniero, anche in difesa dei contadini contro le soperchierie dell’amministrazione imperiale e dei grandi signori cinesi, ma i governanti di Pechino riuscirono poi a incanalare solo contro gli stranieri tutto l’odio dei Boxer. La rivolta iniziò nel nord della Cina come movimento contadino, anti-imperialista e anti-straniero.

Gli attacchi erano rivolti verso gli stranieri che stavano costruendo le ferrovie e violando il feng-shui e verso i cristiani, considerati responsabili della dominazione straniera in Cina. Nel complesso chi pagò il prezzo più alto furono i cinesi cristiani, molte migliaia dei quali furono uccisi, e in grandissima maggioranza, 18.000, erano cattolici. Iniziata nello Shandong, diffusasi poi nello Shanxi e nell’Hunan, la rivolta dei Boxers raggiunse anche lo Tcheli Orientale Meridionale, allora vicariato apostolico di Xianxian, affidato ai gesuiti, ove i cristiani uccisi si contarono a migliaia. Secondo alcuni storici, in tale vicariato furono uccisi circa 5.000 cattolici.

Nel maggio del 1898 una parte dei Boxers – i quali, sostituendo il secondo carattere nella scrittura del proprio nome, ora si facevano chiamare «Yi He Tuan», cioè «Bande della Giusta Armonia» – era diventata un’organizzazione volontaria di confine tra lo Shantung e il Chi li – la provincia intorno a Pechino – e il governatore dello Shantung, Chang Ju-mei, aveva comunicato al governo che intendeva incorporarli nella milizia locale. Ma i primi accenni di parte occidentale all’attività dei Boxer paiono risalire solo al maggio 1899, in seguito ai primi moti anticristiani. Da allora gli attacchi sferrati contro le missioni, i convertiti cinesi e i bianchi andarono aumentando e, quando il 31 dicembre 1899 venne ucciso un missionario protestante inglese, il corpo diplomatico cominciò a preoccuparsi. Vennero fatti passi congiunti presso lo Tsung-li Yamen, il ministero degli Esteri cinese, chiedendo la messa fuori legge dei Boxers.

Il movimento dei Boxer e la rivolta

Il 5 gennaio 1900 Sir Claude MacDonald, il ministro britannico a Pechino, scrisse al Foreign Office su un movimento chiamato “Boxers” che aveva attaccato proprietà cristiane e convertiti cinesi nello Shandong e nella Provincia Meridionale di Zhili. Nei primi mesi del 1900 questo “movimento dei Boxer” diede vita a una forte espansione nella parte settentrionale di Zhili, nell’area che circondava Pechino, e i Boxer iniziarono a vedersi persino nella capitale. Alla fine di maggio, i Boxer anticristiani presero una piega anti estera più ampia, e man mano che divennero più organizzati, iniziarono ad attaccare la ferrovia di Pechino e a Baoding e a tagliare le linee del telegrafo tra Pechino e Tientsin.

Infatti inizialmente l’organizzazione prese il nome di «Pugno della giustizia e della concordia» (Yi He Quan) ed in seguito quello di «Gruppo della giustizia e della concordia» (Yihetuan). I Boxer raggruppavano contadini senza terre, carrettieri, artigiani, portatori di sedie, piccoli funzionari, ex soldati. Essi vedevano con autentico terrore l’ampliamento della rete ferroviaria, la costruzione delle linee telegrafiche, la comparsa sulle vie fluviali di navi a vapore, l’apparizione di tessuti e filati fabbricati a macchina. Tutte novità che, nell’immediato, toglievano loro posti di lavoro. Portatori di queste novità erano gli stranieri, in modo particolare gli ingegneri delle ferrovie e delle miniere. Essi erano ferocemente odiati assieme a un’altra categoria, quella dei missionari, cattolici e protestanti. Un testo cinese redatto all’epoca di Mao Zedong spiega che: ” Questi missionari stranieri, i cattolici soprattutto, mentre facevano costruire chiese si impadronivano di terre, minacciavano i funzionari locali, s’inserivano nell’amministrazione, intervenivano nello svolgimento dei processi, raccoglievano vagabondi facendone dei convertiti, di cui si servivano per opprimere le masse: ciò provocò l’indignazione del popolo cinese.”

                    Peter Fleming, storico britannico

Una fonte occidentale, quella dello storico britannico Peter Fleming, fratello maggiore di Ian Fleming, creatore del personaggio di James Bond, giungeva però alle stesse conclusioni e precisava che le pretese secolari dei missionari cattolici erano senza limiti. In una istanza al trono, presentata il 15 marzo 1899, essi chiedevano che si riconoscessero loro, incondizionatamente e interamente, i diritti politici e i privilegi concessi ai cinesi di altissimo rango: per esempio l’equiparazione dei vescovi ai governatori generali. Fleming commentava così: “l’effetto di questo provvedimento sull’opinione pubblica cinese può essere valutato immaginando come sarebbe stata la reazione del popolo britannico se nel XIX secolo fosse stato annunciato sul bollettino di Corte che gli stregoni più anziani dovessero essere considerati pari ai governatori nell’ordine delle precedenze.”

foto ©wikipedia                                              ©Francesco Spuntarelli