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L’intervento internazionale dopo la rivolta dei Boxers

I cinesi si arrabbiarono molto e a buona ragione

La rivolta dei boxers fu molto importante soprattutto per le reazioni che suscitò nel mondo, essendo una rivolta basata sul rifiuto alle forme di occidentalizzazione che in altri paesi come il Giappone avevano preso piede già da tempo (vedi Giappone, epoca Meji).

Dopo i problemi nel quartiere delle legazioni dal 1º giugno cominciarono ad arrivare i distaccamenti di una spedizione internazionale guidata da un sodalizio chiamato “Alleanza delle otto nazioni” : le navi europee, giapponesi e americane al largo dei Forti Taku (o forti di Peiho, foci del fiume Hai He) fecero arrivare un contingente di 436 marinai a Pechino per proteggere le rispettive delegazioni. Il piano fu concepito con una doppia direttrice d’attacco, una dal mare, ove il compito di bombardare le fortificazioni era affidato alle cannoniere alleate, e da terra, dove un centinaio di uomini si sarebbe mosso per occupare i forti.                  Il 10 giugno l’ammiraglio britannico Seymour comunicò a Londra da Taku che sarebbe partito quella mattina stessa per Pechino con i 2.000 marinai del secondo contingente occidentale – tra cui un altro contingente di marinai italiani. Come forze erano più dimostrative che altro; ma il loro movimento verso Pechino aveva preoccupato il popolo, drammatizzato la figura dei Boxer e intimorito il Governo, il quale, come era logico non accettava la presenza di militari stranieri armati nella propria capitale. 

L’11 giugno venne avvistato il primo Boxer, vestito con il suo abito caratteristico, nel quartiere delle legazioni. Il ministro tedesco Clemens Von Ketteler e i soldati tedeschi catturarono questo ragazzo Boxer e lo giustiziarono senza motivo (Indiscreet Letters from Peking, Bertram Lenox Simpson 1907). Come risposta, migliaia di Boxer irruppero nella città di Pechino lo stesso pomeriggio e bruciarono la maggioranza delle chiese e delle cattedrali cittadine, bruciando vive alcune persone. I soldati dell’ambasciata britannica e delle legazioni tedesche a questo punto spararono e uccisero alcuni Boxer,inimicandosi la popolazione della città.

                 Ruolo del governo e conseguenze

Il governo della dinastia Qing rappresentato dall’imperatrice Cixi si rivelò di fatto impotente; la governante viveva in un continuo clima di sospetto, che la portava a temere tutti, compresi i cinesi nazionalisti (per i quali i sovrani mancesi erano una dinastia di usurpatori stranieri); Cixi odiava però di più gli europei e le loro «diavolerie moderne»: non per caso, all’interno della Città Proibita erano vietati il telefono e l’uso delle biciclette. Anche se il governo Qing condannò formalmente le azioni violente, non ne perseguì i responsabili e, anzi, dopo l’inizio dell’assedio alle legazioni, il 20 giugno 1900 dichiarò guerra alle otto potenze. Ma i viceré preposti nelle diverse regioni erano di altro avviso.

La situazione infatti, fattasi sempre più tesa, giunse infine al punto di rottura proprio in quella giornata, quando la stessa imperatrice cinese Cixi spinse i Boxer ad attaccare e assediare il quartiere di Pechino dov’erano insediate le delegazioni straniere. Chi salvò la situazione dal disastro totale furono infatti i viceré cinesi, che riuscirono a impedire l’estensione delle ostilità al di fuori delle regioni settentrionali. Li Hung-chang, uno dei tre viceré delle provincie meridionali, di propria iniziativa all’inizio delle ostilità aveva telegrafato ai diplomatici cinesi all’estero che i combattimenti a Taku non erano scoppiati per ordine del trono e che di questo bisognava informare i governi occidentali e domandare loro una tregua per una soluzione negoziata del conflitto.

Quando poi da Pechino venne la dichiarazione di guerra, Li e i suoi due colleghi Chang Chih-tung e Liu K’un-i, decisero di ignorarla, interpretando la frase che nel decreto del 20 giugno ordinava ai viceré di «unirsi per proteggere i loro territori» nel senso di scegliere la via migliore per salvaguardare le provincie a cui erano preposti. E quale modo migliore del restare fermi e in pace? La stessa strada fu seguita dal viceré dello Shantung (Shandong) Yuan Shih-K’ai e in questo modo tutti e quattro riuscirono a tener lontana la guerra dai loro territori e a dare consistenza alla tesi, ovviamente  sostenuta dal Governo cinese in seguito, che l’assedio delle legazioni era stata un’iniziativa dei Boxer in rivolta contro la dinastia, alla quale oltretutto erano sfuggite di mano pure gran parte delle forze regolari stanziate fra Taku e Pechino.

Stabilito questo atteggiamento e allacciate relazioni più o meno formali con le Potenze, ben liete dal canto loro di poter circoscrivere i combattimenti alla zona fra il mare e Pechino, i viceré provarono a farsi sentire nella capitale ma non ottennero nulla. L’entrata a Pechino del corpo di spedizione internazionale indusse il 14 agosto 1900 l’imperatrice vedova Cixi e i più alti ufficiali a fuggire dal Palazzo Imperiale per andare in Xi’an (nota in Italia come Sian), capoluogo della provincia Shaanxi, da dove inviarono Li Hongzhang per le trattative di pace.

Il governo cinese fu costretto a dare un indennizzo alle vittime e a fare altre concessioni: il quartiere delle legazioni, al centro della capitale, viene ingrandito e vietato ai residenti cinesi; esso venne posto sotto il controllo permanente delle truppe straniere, allo stesso modo di dodici punti sulle vie di accesso da Pechino al mare. Inoltre il principe Duan fu mandato in esilio nel più profondo della Cina, a 4.000 chilometri dalla capitale, nella zona di Kashgar. Vari responsabili del massacro di Pechino furono autorizzati dall’imperatrice a suicidarsi.

Altre riforme successive alla crisi del 1900 causarono, almeno in parte, la fine della dinastia Qing e la nascita della Repubblica Cinese che mantenne il controllo del continente fino al 1949, per poi controllare, come ancora oggi, la sola Taiwan più alcune piccole isole minori

                         Cronologia degli eventi

Le legazioni di Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Austria-Ungheria, Spagna, Belgio, Paesi Bassi, Stati Uniti, Russia e Giappone si trovavano nel quartiere delle legazioni di Pechino a sud della Città Proibita. Ricevuta la notizia dell’attacco ai forti Taku il 19 giugno, l’imperatrice ordinò immediatamente alle legazioni che i diplomatici e tutti gli altri stranieri avrebbero dovuto abbandonare Pechino sotto la scorta dell’esercito cinese entro 24 ore.

La mattina successiva fu trucidato il plenipotenziario tedesco barone Klemens Freiherr von Ketteler, ucciso per le strade di Pechino da un capitano Manciù. Gli altri diplomatici temevano che sarebbero stati uccisi anch’essi se avessero lasciato il quartiere delle legazioni, e così non rispettarono l’ordine cinese di abbandonare Pechino. Il 21 giugno l’imperatrice Cixi dichiarò guerra a tutte e otto le potenze straniere.

L’esercito regolare cinese e i Boxer assediarono il quartiere delle legazioni per 55 giorni, dal giugno al 14 agosto 1900; in esso trovarono rifugio 473 civili stranieri , 451 soldati di otto Paesi diversi e oltre 3.000 cinesi convertiti al cristianesimo con i loro servitori (testi differenti danno cifre diverse). Dall’altra parte della Città Proibita, nella cattedrale cattolica di Beitang, Monsignore Alphonse Favier, vicario apostolico di Pechino, assieme a 3.500 membri della comunità cristiana cinese, riuscì a resistere grazie all’aiuto di soli 43 marinai francesi e italiani.

Il kaiser Guglielmo II pronunciò un esplicito invito a radere al suolo Pechino:

Quando vi troverete faccia a faccia con il nemico, sappiate batterlo. Nessuna grazia! Nessun prigioniero! Tenete in pugno chi vi capita sotto le mani. Mille anni fa, gli Unni di Attila si sono fatti un nome che con potenza è entrato nella storia e nella leggenda. Allo stesso modo voi dovete imporre in Cina, per mille anni, il nome tedesco, di modo che mai più in avvenire un cinese osi anche solo guardare di traverso un tedesco.” 

Foto © wikipedia                                  ©Francesco Spuntarelli