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Prescrizione e processi

Fra i tanti incagli governativi c’è quello della prescrizione diventato, in questi giorni, il più evidente punto di contrasto fra i 5Stelle, il PD e il resto della combriccola di governo.

Il Ministro della giustizia ne fa una questione di principio, seguito dai grillini. Il PD, dopo aver più volte votato contro questa proposta ora tentenna, interessato più a non aprire una crisi che a  risolvere il problema.  Renzi (Italia viva), invece, è fieramente contro, minacciando di non votare la proposta del governo e, addirittura, di votare una proposta diversa, presentata da Forza Italia, di segno opposto.

La questione è importante perché i fatti della giustizia interessano tutti noi, ma è piuttosto complicata e pochi, se non sono della materia, ne capiscono qualcosa.

Il Ministro della giustizia propone di sospendere la prescrizione dopo la prima sentenza di giudizio. Tutti gli altri, praticamente, sono contro questa proposta che è una delle poche bandiere rimaste ai 5Stelle. Il Presidente del Consiglio, Conte, cerca di mediare, come d’abitudine, tra le fazioni contrapposte.

Se una cosa è certa, nel nostro Paese, è che la giustizia italiana non funziona. Milioni di processi si accumulano in fascicoli polverosi, le sentenze arrivano dopo anni di questioni procedurali e i risultati si vedono perché le disfunzioni della nostra giustizia civile sono una delle cause più importanti della disaffezione degli investitori esteri verso il nostro mercato.

Laddove, in altri Paesi, un processo dura, al massimo, tre o quattro anni, da noi si arriva facilmente a dieci, venti o trent’anni e il più delle volte i vari protagonisti sono morti e magari non ci si ricorda più delle ragioni del contendere.

La prescrizione, come è noto, estingue il reato. Dopo le stenuanti lungaggini di  un processo, spesso, è la salvezza dell’imputato.  Tutto finisce.

Per altri, invece, che sono dalla parte opposta, è un trauma. Il contenzioso si sperde fra le mani, specie se c’era un fumus di ragione.

Da un canto le procedure, dall’altro i difensori, sono spesso causa di questo finis vitae. Se la prescrizione decade al primo giudizio, il processo può concludersi subito, evitando tempi e spese ulteriori (questa è la tesi del Ministro della giustizia) oppure può prolungarsi all’infinito.

Sovente, poi, la magistratura interviene dove il potere politico non è in grado di provvedere, con invasioni di campo sempre più frequenti. D’altro canto, dove c’è un vuoto di potere è inevitabile che ne subentri un altro.

Se, un tempo, si sussurrava che i magistrati erano al servizio del potere, oggi si pensa, piuttosto il contrario e che, cioè, il potere politico sia succube di quello giurisdizionale. Forse sono interpretazioni maliziose, ma certe sentenze lasciano di stucco l’opinione pubblica.

Sta di fatto che, oggi, ricorrere in giudizio è un azzardo pericoloso in termini di spesa, di tempo e, soprattutto quanto alla decisione finale del giudice.

In un sistema ideale, che non è certo di questo mondo, il giudice dovrebbe essere imparziale, non dovrebbe manifestare opinioni politiche o religiose e dovrebbe agire solo in funzione dell’accertamento della verità. Però, è anche vero che i giudici sono uomini e che, come tutti, possono anche sbagliare, avere conoscenze o amicizie pericolose, nutrire simpatie o antipatie.

Ma, a parte queste considerazioni di buon senso, la lentezza dei giudizi, l’intasamento delle Procure e l’incertezza dei risultati sono tutti fenomeni che contrastano con l’idea di un sistema efficiente al servizio del cittadino. Infatti, la giustizia non funziona come dovrebbe.

Sospendere la prescrizione dopo il primo giudizio significa, in pratica, allungare i tempi processuali. Esattamente il contrario di ciò che si dovrebbe fare. Non mi pare una bella cosa e, francamente, non capisco le ragioni di questa presa di posizione del Movimento. Ci sarebbero ben altre questioni da affrontare nel nostro processo penale.

 Si favoleggia di una riforma in fieri di questo Codice ma dato il livello dei giuristi al governo c’è da tremare.

 Sempre in tema  di processi, si avvicina  il momento  della decisione  circa le presunte colpe dell’ex Ministro dell’interno Salvini, a proposito del fermo degli emigranti in mare.

Il caso Salvini è emblematico di questa confusione di ruoli che genera assolute incertezze. Qui, la prescrizione non c’entra, ma si tratta di un caso nel quale la Magistratura è entrata con un piede tra la porta e lo stipite, suscitando controversie a non finire.

Che l’ex Ministro dell’interno, Salvini, sia uomo imprevedibile nelle sue uscite è noto ma che, come Ministro, non abbia mai informato delle sue decisioni i colleghi Ministri e, segnatamente, il Presidente del Consiglio, non è verosimile.

In quel delicato momento in cui si negoziava con l’Europa per la ripartizione dei naufraghi, possibile che nessuno dei Ministri o lo stesso Presidente del Consiglio non sapessero cosa accadeva al Ministero all’interno? Non leggevano i giornali, non ascoltavano la radio o la TV? Pare di no, a sentire le loro dichiarazioni. Nessuno ne sapeva niente, neppure il Presidente Conte, cui compete per legge il coordinamento della compagine governativa, di cui è responsabile.

Di qui il senso di una farsa strumentalizzata dai giudici di Catania contro Salvini, ad onta del parere negativo della stessa Procura di Catania.

 In un caso precedente, Conte autorizzò il trasporto aereo degli emigranti. Evidentemente, allora, era informato. Chiusi i porti, gli aeroporti erano aperti. A ciò aggiungasi che il famoso decreto sicurezza 2, contro il quale si appuntano gli strali della sinistra, fu firmato da Conte, e ciò avvenne dopo lo sbarco degli emigranti “sequestrati”.

Comunque andrà a finire questa storia, non è una bella storia ed è un pessimo esempio che, un giorno, mutate le convergenze politiche, potrà ritorcersi contro altri.

 

 

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