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Venezia salva, il Mose ha fermato la mareggiata in mare

Il Mose è uno dei più imponenti progetti di ingegneria idraulica mai concepito. Quest’opera colossale ha consentito di mettere in sicurezza Venezia e la laguna da una marea eccezionale, la terza nella storia della Città. In particolare il 22 novembre scorso il livello del mare ha raggiunto 173 centimetri mentre a Venezia la marea si è assestata a 62 centimetri.

È stato strepitoso vedere le immagini delle telecamere del Centro Maree: le persone passeggiavano in Piazza San Marco mentre le onde si infrangevano sulle paratoie.

Che cosa è il Mo.S.E.

Per evitare il ripetersi dei danni delle mareggiate e per salvaguardare il patrimonio storico, artistico e culturale di questa Città unica, si sono mossi team di scienziati e ingegneri da tutto il Mondo, proponendo le soluzioni più disparate, valide ma poco adatte al paesaggio di Venezia. Ecco perché alla fine la scelta è caduta sul Mose che con le sue dighe mobili permette di controllare il flusso delle maree che entrano nella laguna, evitando nuove catastrofiche alluvioni.

Il Mo.S.E., trascritto anche nella variante Mose, è l’acronimo di Modulo Sperimentale Elettromeccanico ed è un sistema di dighe mobili posto alle bocche di porto della laguna di Venezia. Il nome si riferisce anche al Mosé biblico che divise le acque del Mar Rosso, assicurando al popolo ebraico in fuga dall’Egitto la traversata del mare all’asciutto e la sconfitta degli egiziani.

Il Mose consiste in un sistema di paratoie mobili poste alle tre bocche di porto ( Porto di Lido, Porto di Malamocco e Porto di Chioggia). Si basa su un’idea tanto semplice quanto innovativa che utilizza il principio di Archimede per alzare le barriere che spingono indietro l’Adriatico, per bloccarlo: paratoie incernierate in una gigantesca struttura in cemento armato appoggiata sul fondo del mare. Queste sono enormi scatoloni gialli che rimangono invisibili fino a quando vengono riempiti di aria, più leggera dell’acqua, e sollevati per bloccare la marea.

Note tecniche

Arrivando alla bocca del Lido si notano solo due massicce spallette che segnano l’ingresso del canale navigabile. Rimangono invece in gran parte sott’acqua le gigantesche strutture: 35 cassoni di cemento armato alti come palazzi di tre piani e 78 barriere mobili di acciaio ancorati al fondale con 156 enormi cerniere. Per vedere qualcosa si deve raggiungere quota -19 metri sotto il livello del mare. Qui ci si trova in un complesso di corridoi di cemento armato lungo 1600 metri, il cuore nevralgico del Mose. Questa è la zona dove sono posizionati gli impianti, i cavi e i tubi dell’aria compressa cheè la vera forza motrice del sistema. Lungo il tunnel, protette da porte stagne di acciaio, si aprono le cabine che ospitano le enormi cerniere del peso di 34 tonnellate l’una e dalla precisione di un orologio svizzero.

Una tecnologia che ha richiesto anni di studio e di lavoro e grandissimi investimenti. Il tutto è raccordato a una sala di controllo principale. Le barriere sono state concepite per bloccare maree alte fino a 3 metri. Già alla fine degli anni 70 si è cominciato a lavorare a questo progetto. I lavori per la costruzione sono iniziati nel maggio del 2003 tra polemiche sui costi e sull’impatto ambientale. La consegna dell’opera finita, testata e collaudata è attesa per settembre 2023; fino ad allora è prevista l’attivazione per test o nel caso di previsioni di maree superiori a 130 centimetri rispetto allo zero di Punta della Salute.

Il successo del primo test

La prima mareggiata che il Mose ha dovuto gestire è stata quella del 3 ottobre 2020. I tecnici si erano preparati per affrontare un’acqua alta 135 centimetri, sufficiente a inondare più del 50% della città. Mentre una corrente impetuosa cercava di entrare in laguna, dal mare sono emerse le prime paratoie. Con tutte le 78 poste a chiusura dei quattro imbocchi della laguna completamente sollevate, in mare aperto si sono registrati 126 centimetri e nella laguna 69 centimetri: il portale della Basilica di piazza San Marco non è stato neanche lambito dall’acqua.

Altri due fenomeni di mare eccezionale

La storia di Venezia ha visto altri due fenomeni eccezionali: il primo è stato quello del 12 novembre 2019. Una tempesta senza precedenti ha colto tutti di sorpresa. All’improvviso in mare aperto una piccola struttura ciclonica si è spostata al centro della laguna, i venti hanno ruotato e triplicato la loro velocità fino ai 110 km/h e una marea straordinariamente eccezionale ha fatto crescere l’acqua che improvvisamente dai 4045 centimetri ha raggiunto i 187 centimetri. Immagine surreale quella dei vaporetti a terra.

L’altro fenomeno memorabile è avvenuto il 4 novembre 1966. Venezia venne invasa dalla peggiore acqua alta che si ricorda a memoria di uomo: 194 centimetri sul livello del mare, è il triste record di sempre,  infatti dopo quell’evento si è seriamente iniziato a pensare a un progetto per salvaguardare la città.

La prima delle due le problematiche da affrontare: l’aumento del livello del mare

La laguna di Venezia si è formata 7000 anni fa e i suoi fondali sabbiosi giovani e instabili sono la causa del progressivo abbassarsi del suolo. I sedimenti depositati dai fiumi si compattano alla velocità di 1 millimetro l’anno e questa è la causa della progressiva scomparsa di Venezia sotto il livello del mare. In 100 anni 1 millimetro diventa 10 centimetri: ciò significa che in 2000 anni di storia Venezia e le sue isole sono sprofondate di 2 metri. Ne sono testimonianza i ruderi o i complessi dei monasteri abbandonati al loro destino.

Venezia è costruita su 118 isolotti di fango, pochi centimetri appena sopra il livello dell’acqua. È facile preda di ogni variazione del livello del mare. La minaccia più grave è proprio l’aumento del livello delle acque che la lascia in balia delle onde soprattutto ora che le barene (isolotti di fango che l’hanno sempre protetta) stanno progressivamente scomparendo.

Le barene sono un ecosistema speciale in equilibrio dinamico, vale a dire che se il livello del mare aumenta, esse crescono con il mare, fintantochè il mare cresce lentamente. Si tratta di un sistema elastico in grado di assorbire l’impatto delle maree, ma non quello delle barche a motore

La seconda: l’impatto della navigazione sui fondali

Altro nemico che minaccia Venezia è il continuo moto ondoso creato dai motori dei vaporetti che martella senza sosta le fondamenta. La scia dei motoscafi e delle barche da trasporto crea piccole onde dall’apparenza innocua che lentamente si propagano fino a riva dove portano via il fango e sradicano la vegetazione. Come detto poc’anzi, Venezia è costruita sul fango.

Le fondamenta di chiese, ponti, palazzi poggiano su pali conficcati nei sedimenti fangosi fino a raggiungere gli strati più duri e compatti. Sulle teste dei pali è appoggiato un doppio tavolato di legno. Il fango con il suo ambiente privo di ossigeno ha il compito di proteggere il legno dall’attacco dei parassiti. Ma oggi il moto ondoso aggredisce le fondamenta perché l’acqua ricca di ossigeno penetra tra gli interstizi, porta via il fango e apre la strada a muffe e batteri. Così i pali marciscono e mettono in pericolo le fondamenta stesse delle costruzioni.

Quale futuro attende Venezia nei prossimi decenni?

La frequenza delle alluvioni che colpiscono la città è aumentata. Dal 1850 al 1950 ogni 10 anni si verificavano innalzamenti dell’acqua a 110 centimetri, considerata una soglia critica. Dal 2010 al 2019 sono state più di 90 i fenomeni delle acque alte. Il trend è preoccupante soprattutto alla luce del continuo innalzamento dei livelli del mare. L’oceano sta crescendo mezzo centimetro l’anno e questo vale sia per il Mediterraneo che per l’Adriatico. Nei prossimi 50100 anni bisognerà fare i conti con l’aumento delle acque di circa 1 metro ed è probabile che questo continui. A ciò si aggiunge il problema dello scioglimento dei ghiacci in Groenlandia e nell’Antartide, difficile da stimare sia nella portata che nella tempistica.

Se l’intera calotta della Groenlandia dovesse sciogliersi ci sarà un innalzamento dei livelli del mare di ben 7 metri. L’acqua arriverebbe fino al leone che sovrasta il portale della Basilica. E se si sciogliesse l’Antartide per intero, gli oceani si innalzerebbero di 60 metri! L’acqua arriverebbe all’altezza del campanile di San Marco in uno scenario apocalittico che nel futuro potrebbe fare di Venezia una nuova Atlantide.

Gli occhi del Mondo puntati su Venezia e sul suo Mose ne fanno l’occasione per capire cosa devono aspettarsi tutte le Città costiere della Terra.

Foto © Marco De Pisapia, Nordest24, UniGe.life,UniGe.it, Vesuvio Live ©Veronica Tulli

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