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Osteria Fratelli Mori: la cucina della tradizione in zona Piramide

Siamo a pochi passi dalla Piramide Cestia, qui, circa quindici anni fa, nasceva il ristorante “Novecento”, progetto voluto da Ambrogio Mori che, in età da pensione, non ci pensa proprio di restare senza far niente e decide di realizzare un suo grande sogno: aprire un ristorante di famiglia. Al suo fianco, da subito, la moglie Giuliana e i figli, Alessandro e Francesco. Saranno proprio loro a prendere le redini del ristorante alla scomparsa del papà.

Entrando all’Osteria Fratelli Mori, ci accolgono i versi dei Poeti der Trullo, un gruppo di street poets che, con i loro versi (ovviamente in romanesco) raccontano la realtà di tutti i giorni, cogliendola da una prospettiva periferica e romantica.

I versi dei poeti der Trullo, in effetti, rappresentano il giusto preludio alla cucina dei Fratelli Mori. Una cucina semplice, che ricorda i piatti quotidiani delle mamme, e naturalmente fortemente legata alla tradizione romana.

Giusto qualche anno fa il locale di via dei Conciatori ha deciso di rinnovarsi, mantenendo solido il legame con le proprie radici, che sono la sua forza: da qui la scelta di cambiare il nome in Osteria Fratelli Mori, mettendo in evidenza l’importanza della tradizione familiare e richiamando il concetto di osteria, tanto caro ai due proprietari. Ecco dunque i fratelli Mori, “osti contemporanei” che seguono il loro locale da vicino: dalla scelta del menù alla selezione delle materie prime, fino alla carta dei vini. C’è poi il rapporto con i clienti, che Alessandro e Francesco curano personalmente, dispensando consigli, aneddoti e magari qualche chiacchiera spensierata.

Ma cosa si mangia all’Osteria Fratelli Mori? Protagonista è, naturalmente, la cucina della tradizione romana: tra gli antipasti oltre ai classici fritti, ci ha conquistato il baccalà mantecato, servito con pane carasau e pomodorini secchi. Fra i primi spiccano i grandi classici: cacio e pepe, rigatoni all’amatriciana, spaghettoni alla carbonara, ma anche fettuccine con guanciale, carciofi e pecorino. Tra i secondi immancabili le polpette di bollito (servite con una stuzzicante maionese al rafano fatta in casa), mentre fra i piatti forti dell’Osteria c’è la guancia di maialino al vino rosso e scalogno cotta a bassa temperatura. I dolci sono fatti in casa dalla mamma, Giulia, che prepara delle ottime crostate e ripropone una creazione di papà Mori: la Ricotta di Ambrogio con ricotta di bufala, scorza di arancia candita e pistacchio caramellato. Un dessert di sostanza che lascia felici e appagati, come vuole la tradizione romana.

Le materie prime sono scelte con cura, e provengono perlopiù dal Mercato di Testaccio e dai fornitori di fiducia come Dol e Guffanti per i formaggi, il Pastificio Gatti per la pasta fresca, Giraldo per il baccalà e Gustarosso per i pomodori. Il menù è perfettamente in linea con il progetto dei Fratelli Mori e con l’atmosfera che si respira in questo locale. Un luogo in cui è piacevole passare del tempo, fra piatti genuini e sinceri, accompagnati dalla presenza discreta e piacevole dei padroni di casa. E naturalmente, dai versi dei poeti der Trullo.

 

Bonci è il vincitore de Le 50 Migliori Pizze in Viaggio in Italia il re della pizza a taglio di Roma si aggiudica il podio

Il gelato di Fatamorgana a Roma: parola d’ordine qualità!

Il gelato non è mai abbastanza. In qualsiasi stagione o momento della giornata, rimane una delle pause golose più amate da noi italiani.

Non è certo un caso che le nuove aperture, in fatto di gelaterie, siano sempre più frequenti.

A Roma, per chi ama il gelato di qualità esiste un’insegna che è una certezza: stiamo parlando di Fatamorgana. La particolarità di questo gelato risiede innanzitutto nella varietà dei gusti, tutti originali, nati da accostamenti talvolta inconsueti. L’ideatrice, Maria Agnese Spagnuolo, negli anni ha creato più di 300 ricette originali, spesso partendo da antichi ricettari, reinterpretati in chiave innovativa usando, per esempio, le spezie.

Il risultato? Gusti insoliti in cui si possono trovare anche 5 ingredienti che sorprendentemente hanno una loro magica armonia sul palato. Parliamo inoltre di un gelato naturale al 100% senza addensanti, conservanti, coloranti, paste o preparati base. Caratteristica che vale anche per la cialda del cono, degno accompagnamento a un gelato di questo livello. Fra i gusti (davvero tantissimi!) il cavallo di battaglia è lo zabaione della Fata, una variante della ricetta classica in cui il marsala è sostituito dal porto e dal rum, guarnito con chicchi di caffe’. Un gusto deciso e profumatissimo.
Delizioso anche il Bacio del principe con crema gianduia e nocciole intere.c’è poi l’insolito Pollicina, con noci, fiori di violette petali di rosa.

Ci sono poi tutti i gusti “classici” e un’infinità di loro rivisitazioni, oltre alle creazioni originali della “Fata” Agnese.
Una varietà che lascia sempre la curiosità di assaggiare un gusto nuovo e poi un altro e un altro ancora. Non resta che scegliere una delle moltissime sedi di Fatamorgana a Roma e trovare il proprio gusto preferito!

La tradizione romana secondo Baldassarre da L’avvolgibile

Per chi vuole gustare la cucina romanesca della tradizione, la proposta già ricca della Capitale si è arricchita da ormai qualche anno di una nuova insegna: stiamo parlando de L’Avvolgibile, la  “creatura” di Adriano Baldassarre, Chef stellato del Tordomatto. Il ristorante si trova in pieno quartiere Appio Latino, sulla Circonvallazione Appia, e all’esterno ci accoglie con un manifesto in cui campeggia la dicitura “Trattoria popolare” con il menù e i prezzi in bella vista. Tra il fiorire di trattorie moderne e contemporanee degli ultimi anni, qui ritroviamo con piacere una parola che scopriremo essere un po’ il fil rouge dell’intero progetto di Baldassarre: “popolare”.

Ecco dunque un locale che ci riporta indietro nel tempo, con una bellissima credenza anni sessanta con le scatole di latta dei biscotti che mangiavamo da bambini, le sedie in legno, le tovaglie a quadrettoni, i bicchieri da osteria. Nella seconda sala non poteva mancare il bancone bar dallo stile retrò con tanto di carte da gioco e bottiglie di amaro in bella vista.

Ma veniamo all’assaggio. Le aspettative, considerato lo chef, erano alte e non sono state affatto deluse. Sfogliando il menù abbiamo una nuova conferma di quanto sia realmente popolare questo ristorante: non solo per i prezzi (c’è anche una “provocatoria” pasta e patate a 5 euro!), ma per come è stato concepito il menù stesso, mettendo, per esempio, piatti “importanti” come coratella, fagioli con le cotiche e involtini al sugo, sfrontatamente fra gli antipasti, come vuole la tradizione. L’assaggio non tradisce: i piatti sono gustosi e sempre bilanciati, nonostante la tendenza della cucina romana a virare verso la sapidità. I fritti sono croccanti e asciutti, la coratella succulenta.

La cacio e pepe morbida ed equilibrata nel bilanciamento fra i due ingredienti principali, proposta con un tonnarello leggermente più sottile del consueto. Tra i secondi da menzionare la braciola di maiale con panuntella, ovvero una fetta di pane croccante intrisa del grasso della carne: godimento puro per il palato. Il carciofo alla giudia, un’istituzione a Roma, è croccante e asciutto. Buonissimo. Tra i dolci, da provare la crostata ricotta e visciole e il tiramisù.

Conto assolutamente in linea con le aspettative, accompagnato dalle caramelle Rossana: gesto un po’ piacione per farci sentire, fino alla fine, un po’ bambini, come in un pranzo domenicale dalla mamma.

 

Cappuccino e cornetto, brioche e latte schiumato o caffè e croissant?

Croissant, brioche e cornetto non sono sinonimi e queste sono le  ecco tutte le differenzetra storia e ingredienti, curiosità, croccantezza e forma. 

 

articolo di Chiara Cajelli via Dissapore.com

 

In alcune zone d’Italia ordiniamo la brioche, in altre il cornetto; nelle pasticcerie ci si sente più eleganti e si chiede un croissant. Questi tre termini sono quindi scelti, nella maggior parte dei casi, in base a zona e contesto e non effettivamente perché si conoscono le loro caratteristiche. Ebbene, le differenze tra croissant, brioche e cornettosono parecchie e includono sia tecnica sia fatti storici molto affascinanti.

Vi spiegheremo tutto di queste tre prelibatezze, ben diverse l’una dall’altra: ingredienti, origini, caratteristiche organolettiche, curiosità… per non sbagliare più e poter selezionare meglio ciò che si vuole degustare. Insomma, se ordinate una brioche e vi aspettate che arrivi il croissant, allora dovreste davvero leggere questo articolo!

Le origini

Per quanto riguarda il croissant, sbaglieremmo sia ad affermarne le origini francesi sia ad affermarne le origini austriache. Le due cose sono una la conseguenza dell’altra. Nella seconda metà del 1600 ci fu la Battaglia di Vienna contro l’Impero Ottomano. I Turchi decisero di far crollare la città austriaca scavando di notte le fondamenta. In quelle ore del giorno, solamente i panettieri erano svegli e proprio loro diedero l’allarme ai viennesi. La storia dedicò la vittoria ai panettieri, che pensarono ad un dolce a forma di mezzaluna: il kipferl. Austria e Francia, come sappiamo, sono legate da un indissolubile filo rosso: il kipferl fu adottato in Francia, e diventò presto croissant… chiamato anche viennoiserie.

Per le brioche dobbiamo volare in Normandia, dove nel Medioevo esisteva già una pate a brioche. L’etimologia del nome riprenderebbe il normanno “brier”, che significa impastare tra due rulli di legno.

E il cornetto? Qui la diatriba è un po’ più accesa perché le origini certe al 100% non si sapranno mai. C’è di mezzo la Repubblica di Venezia, che nel Seicento aveva importanti scambi commerciali con Vienna. I pasticcieri italiani svilupparono questa nuova versione di croissant o viennoiserie, ed eccoci qui con il cornetto.

Questione italica del “cappuccio e cornetto”

In Italia si chiama brioche al Nord e cornetto al Centro-sud: retaggio culturale che ha poco a che fare con le caratteristiche di fatto di questi dolci. Soprattutto, l’Italia sembra essere la patria indiscussa del binomio “cappuccio e cornetto/brioche” ma nessuno sa che questa usanza non è merito italiano. Ricordate i panettieri austriaci che diedero l’allarme ai viennesi nel Seicento, e quindi gli ottomani scapparono a gambe levate non aspettandosi un attacco notturno? Ecco, nella zona degli scavi abbandonarono tutto… compreso il loro caffè.

L’ufficiale Jerzy Franciszek Kulczycki lo trovò, se ne innamorò e fu lui ad aprire ufficialmente la prima caffetteria viennese. Caffetteria viennese che andò avanti per anni ad offrire i kipferl insieme al caffè, e poi i croissant. Et voilà.

 

La forma

I kipferl nascono come detto a forma di mezzaluna per ricordare la vittoria sull’Impero Ottomano, di conseguenza è a mezzaluna anche il croissant.

La brioche è completamente diversa, sembra un pandorino rovesciato con una pallina di impasto in superficie. Il cornetto invece può avere diverse forme, tra cui ovviamente quella più classica di mezzaluna arrotolata.

 

 

 

 

Ingredienti e metodo

croissant

Veniamo al dunque, alla sostanza: se su origine, date e influenze possiamo discutere, sugli ingredienti ci sono criteri ben precisi. Il croissant contiene davvero una manciata di ingredienti: farina, acqua, pochissimo zucchero, pochissimo lievito, a volte il tuorlo d’uovo ma solamente per spennellare la superficie prima di infornare le porzioni.

Brioche e cornetto hanno più cose in comune da questo punto di vista: stessi ingredienti ma usati con metodi diversi, in quanto la brioche è lievitata e il cornetto è sfogliato con il burro stratificato. Contengono entrambi farina, molto burro, molto zucchero, lievito, uova e latte. Per la brioche si usa volentieri anche lo strutto al posto del burro.

 

Sapore e croccantezza

La tipica consistenza del croissant deriva dalle basse percentuali di zucchero nell’impasto, che dona appunto molta croccantezza ma anche un sapore piuttosto neutro, che ben si adatta sia al dolce sia al salato.

Brioche e cornetto sono decisamente più saporite del croissant. La brioche è molto soffice e regala tanto sapore di burro, mentre il cornetto è dolce, meno soffice della brioche ma nemmeno croccante quanto il croissant.

 

 

 

Viaggio alla scoperta della Sicilia del vino

La realtà vitivinicola siciliana ha una lunga e gloriosa tradizione. Il modo migliore per conoscerla più da vicino, è visitare aziende e conoscere produttori per comprendere come si sta muovendo il comparto, anche in considerazione della spinta verso il mercato estero che si fa sempre più pronunciata. Siamo andati alla scoperta della Val di Noto per conoscere più da vicino alcune realtà interessanti del settore. Qui si trovano le otto città riconosciute nel 2002 patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Il barocco è lussureggiante almeno quanto la natura: non solo mare, ma alberi da frutto, fichi d’india, olivi e viti. A sormontare il territorio, “Iddu”, l’Etna. Si va dalla costa alle alture, il terreni sembrano essere perfetti per la coltivazione di uva: dall’argilloso al calcareo fino a quello lavico.

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Tassa sull’unto e le 5 tasse sul cibo più necessarie

articolo di DARIO DE MARCO via dissapore.com 

Mentre il direttore degli Uffizi di Firenze butta là la possibilità di istituire una tassa sull’unto, noi fantastichiamo su quali imposte sarebbero davvero necessarie per dissuadere i ristoratori dall’imbruttimento del cibo italiano.

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Pasta, Leggende e… Fantasia tra Teatri, Osterie e Bordelli

GLI SPAGHETTI ALLA PUTTANESCA NEI BORDELLI,
LA “PASTA ALLA NORMA” A CENA, DOPO IL TEATRO

________ breve excursus gastronomico a cura di Lidia D’Angelo 

La pasta non è un semplice piatto, la pasta è tradizione, cultura; è l’icona di un’intera nazione. 
Le origini della pasta sono molto antiche, si perdono addirittura nella notte dei tempi, era già conosciuta dalle popolazioni italiche della magna Grecia e dell’Etruria.
Non è assolutamente vero che sia stato Marco Polo a importare la pasta dalla Cina, dopo il suo rientro a Venezia, si tratta di una leggenda metropolitana messa in giro ad arte negli Stati Uniti allo scopo di nobilitare un prodotto affinché fosse considerato internazionale e non legato soltanto agli emigrati italiani.

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Serendipity 3 crea le patatine fritte più costose al mondo

Il nome di queste patatine fritte da record è “Crème de la Crème Pomme Frites”, e sono esentate a far parte del menù di Serendipity 3 al modico costo di 200 dollari, circa 170 euro.

Il costoso piatto è stato creato da Joe Calderone, Creative Chef e Fredrick Schoen-Kiewert, Corporate Executive Chef; sono partiti da ingredienti di lusso per poter offrire ai clienti un’esperienza unica sia per unto riguarda il lato del gusto che anche quello economico.

Il piatto non è costituito solo da semplici patate tagliate e poi fritte in olio bollente ma da una serie di particolarissimi ingredienti:

  • patate Chipperbeck Upstate

  • champagne Dom Perignon

  • aceto di champagne francese J. LeBlanc Ardenne

  • grasso d’oca di animali allevati in Francia 

  • sale di Guerande al tartufo

  • olio tartufato

  • pecorino Tartufello delle Crete Senesi

  • tartufo nero estivo a scaglie italiano

  • burro al tartufo

  • panna biologica A2 A2 100% prodotta da mucche Jersey nutrite con erba

  • formaggio Gruyère Truffled Swiss Raclette invecchiato di 3 mesi

  • polvere d’oro alimentare 23k

Le patatine fritte vengono poi servite su un piatto Arabesque di cristallo Baccarat, accompagnate da una salsa speciale chiamata Mornay Sauce.

patatine fritte

La preparazione consiste prima in una scottatura delle patatine nel Dom Perignon e nell’aceto francese J. LeBlanc, per dare  un tocco iniziale dolce e acidulo; poi vengono cotte tre volte nel grasso d’oca in modo da donare all’esterno una consistenza croccante. Nel frattempo viene preparata la salsa Mornay, sciogliendo in padella burro al tartufo, si aggiunge la farina per fare un roux e si monta poi la panna biologica per addensare la salsa.

Infine nell’impasto si aggiungono i cubetti di Gruyère Truffled Swiss Raclette, per dare una cremosità simile alla fonduta. Il piatto, poi, viene guarnito con scaglie di tartufo nero, scaglie di formaggio pecorino Tartufello delle Crete Senesi e la polvere d’oro alimentare 23k.

Le jeux sont fait!

Il Mulino Bianco esiste per davvero ma finisce all’asta

 
 

Cosa significa il cibo nelle fiabe e nei romanzi fantasy?

Il Financial Times seleziona le migliori botteghe al mondo due sono di Roma

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Cortona – Il Falconiere riapre con interessanti novità

PRONTI AI NASTRI DI PARTENZA

a cura di Sveva Marchetti 

Il tempo, passato forzatamente chiusi in casa, ha stimolato la fantasia di Silvia Baracchi, Chef e Maitre de Maison de Il Falconiere a Cortona, portandola a trasformare la già rinomata BOTTEGA BARACCHI, Wine Bar & Bistrò in centro a Cortona, in un innovativo CONCEPT STORE multibrand, tutto scoprire e …da gustare!

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Merenda per tutti i gusti: cosa preparare

Merenda per Tutti e ad Ognuno il suo Gusto 

FRANCESCO VALENTE*

Nell’ultimo anno e in questo periodo più che mai abbiamo molto tempo da dedicare alla cucina per sperimentare in casa numerose ricette che solitamente non abbiamo mai modo di realizzare e che rimangono chiuse nei libri o nei siti di cucina.
Oggi vediamo insieme cosa possiamo preparare con le nostre mani per la merenda, accontentando tutti i gusti della famiglia, dai bambini ai più grandi.

Dolci sfiziosi

Quante volte abbiamo voglia di un dolce che sia per noi o per la nostra famiglia.
Spesso però quando apriamo il frigo non abbiamo in casa gli ingredienti necessari per soddisfare la nostra idea. Ma per fortuna ora, grazie ad alcuni servizi di consegna a domicilio, possiamo ad esempio ordinare del latte a domicilio e altri ingredienti mancanti, per realizzare il nostro dolce preferito.
Dopo essere sicuri di avere tutti gli ingredienti perché non prepariamo una sfiziosa ciambella al cocco, alla menta o alla nutella?
Potete procedere montando tre uova con 100 grammi di zucchero; aggiungete 100 ml di latte e 130 ml di sciroppo di menta e mescolate bene. Unite 300 grammi di farina, una bustina di lievito e una di vanillina ed infine 50 grammi di farina di cocco. Versate il composto in uno stampo per ciambelle e infornate a 180 gradi per 30 minuti. Sarà una vera delizia!

Merenda salata  
Molte persone di ogni età amano la merenda salata e proprio per non sgranocchiare snack pesanti o patatine da un sacchetto, meglio optare per un’idea originale da preparare in casa.
Un’ottima merenda salata potrebbe essere un gustosissimo plumcake salato, ad esempio alle zucchine e mortadella, da servire tiepido o freddo tagliato a fette.
Per realizzarlo è molto semplice. Si inizia grattugiando alla julienne 350 grammi di zucchine e saltandole per breve tempo in padella con un filo d’olio e un pizzico di sale.  Nel frattempo, montate 80 gr di burro con la frusta elettrica, aggiungete tre uova, 60 gr di parmigiano, le zucchine e una fetta di mortadella tagliata a dadini.
Infine, incorporate 270 grammi di farina con una bustina di lievito e mezzo bicchiere di latte, amalgamate tutti gli ingredienti, versate l’impasto in uno stampo da plumcake fino a cuocerlo per 55 minuti a 170 gradi.

Merenda sana e leggera 
Preferite una merenda più sana e leggera? Se amate il dolce potete andare sul sicuro optando per delle fette biscottate integrali o diversi tipi di pane fresco, magari con un filo di marmellata oppure del miele.
Invece per una merenda light salata il consiglio è una fetta di pane integrale magari tostata e croccante passandola in forno qualche minuto, condita con tacchino affettato e pomodorini, rifinito con un filo d’olio extra vergine d’oliva, origano oppure qualche foglia di basilico fresco.

*****

Si tratta di tante ottime idee per fare merenda da soli o in compagnia, dal dolce al salato, dallo snack più sfizioso a quello più sano.
Adesso non ci sono più scuse, mettiamoci il grembiule e stupiamo tutti con una merenda gustosissima da preparare insieme nelle proprie case. 
Così coniughiamo come passare il tempo, prima piacevolmente per la preparazione, poi successivamente per la degustazione …. ancor meglio se in compagnia. 

 

*FRANCESCO VALENTE, writer freelance
con  specializzazione in
relazioni pubbliche, new media, …,

 

UFarmer la piattaforma per adottare ed acquistare le eccellenze del made in Italy

Un marketplace dedicato a Doc e Dop, dove è possibile scegliere il produttore, seguire la produzione e personalizzare l’acquisto

di Maria Teresa Manuelli via Il sole 24 Ore

 

Se in Italia la “Dop Economy” vale 16,9 miliardi di euro alla produzione, il 19% del fatturato del settore agroalimentare italiano (Rapporto Ismea-Qualivita 2020), tanto da entrare anche nel Vocabolario Treccani, la startup UFarmer si propone di creare un marketplace delle eccellenze italiane rappresentate dalle Dop e Doc. Uno strumento di valorizzazione dei territori, dove i prodotti non si acquistano ma si “adottano”. Tutto a portata di click per sostenere le filiere e le biodiversità agroalimentari di eccellenza trasformando i consumatori in “farmer digitali”.

Parte da Milano, ma si estende su tutto il territorio nazionale, la startup dedicata all’agroalimentare di eccellenza Made in Italy e all’economia di vicinato. «L’idea – illustra Francesco Amodeo, manager di una multinazionale delle telecomunicazioni, co-fondatore e presidente di UFarmer è nata con lo scopo di offrire ai consumatori la possibilità esclusiva di prendere parte al processo agricolo, adottando un albero di olivo, un appezzamento di vigna per poi riceverne direttamente il proprio prodotto personalizzato a casa. Un’esperienza appassionante, il cui risultato finale può essere condiviso con la famiglia o gli amici più cari, magari con un pizzico di orgoglio e vanità nel mostrare il frutto del proprio raccolto»

Con UFarmer non si acquista un prodotto, ma tramite l’adozione è possibile creare il proprio campo digitale sostenendo il territorio italiano e i produttori virtuosi che investono in termini di qualità e sostenibilità. Si può seguire la crescita delle coltivazioni, partecipare alla produzione, effettuare visite alle proprie “adozioni” e personalizzare le confezioni e le etichette diventando un vero e proprio ‘farmer digitale”

Il giro d’affari della piattaforma nel 2021 è atteso intorno ai 500 mila euro per 500 adozioni stimate, con una crescita che già nel 2022 porti a superare 1,5 milioni di euro.

Non tutte le aziende agricole possono entrare a far parte del panel di produttori proposto dalla startup. Si entra solo se si rispettano specifici criteri di qualità sull’intera filiera produttiva e se si garantisce al consumatore finale un prodotto esclusivo e personalizzabile. Luca Passini, co-founder e ceo di UFarmer, aggiunge come il marketplace UFarmer.it sia «il risultato di un’esperienza ricercata e vissuta direttamente da noi fondatori. Un percorso che ha richiesto tempo e che ha portato alla definizione del primo portale interamente studiato per aggregare produttori di eccellenza italiani e consentire il contatto diretto produttore-consumatore. Così da dare a quest’ultimo la possibilità di prendere parte all’intero processo produttivo diventandone sostenitore e vero adottante».

 

Esistono già realtà di aziende agricole che hanno sperimentato con successo la loro adottabilità, ma ad oggi, non esisteva una piattaforma che le geolocalizzasse sul territorio italiano e le raggruppasse per tipologia di prodotto. E anche dall’estero sarà più facile individuare quale filiera italiana è possibile adottare e quale prodotto personalizzato si può avere.

 

 
 

Ristorante Da Luigi all’Orto di Roma: dove la tradizione sarda incontra quella romana

Il Ristorante Da Luigi all’Orto di Roma si trova in via di Grotta Perfetta 551.

Il Ristorante offre un locale ampio e accogliente con ottima cucina. Il ristorante dispone di 400 posti ed è a disposizione per cerimonie, come matrimoni, battesimi, compleanni o pranzi/cene aziendali. Il locale dispone di ambiente climatizzato, veranda estiva ampia. La struttura è dotata anche di un ampio parcheggio. Da noi potrete trascorrere tranquille colazioni di lavoro, piacevoli pranzi di nozze o di battesimo. Penseremo a tutto noi, per organizzarvi cerimonie e banchetti memorabili! Su richiesta, possiamo predisporre anche menù personalizzati.

Il Ristorante è disposto su tre ambienti separati: una sala principale, capace di accogliere anche gruppi numerosi; una sala più piccola, adatta per organizzare cene aziendali, feste private, o semplicemente cene tra amici; ed infine un’ampia veranda estiva, tipico ambiente con pergolato, ottimo per pranzi e cene estive.

Il Ristorante Da Luigi all’Orto di Roma la tradizione sarda incontra quella romana: malloreddus pescatora , porceddu sardo, seadas, bucatini cacio e pepe, saltimbocca alla romana. Il ristorante offre una vasta scelta di piatti diversi. Oltre a antipasti, primi, secondi e dessert, è possibile gustare alcuni piatti speciali come il cartoccio di spigola.

Il locale propone anche una pizza cotta al forno a legna, leggera, molto gustosa e con un alto livello di digeribilità. Una buona lavorazione, ingredienti di qualità. Il segreto per una pizza perfetta risiede nell’attendere i tempi per una giusta lievitazione.  Oltre alla pizza, è possibile anche ordinare la Pinsa Romana. Il prodotto oltre a livello estetico si distingue per la sua digeribilità dovuta a vari fattori: lievitazioni lunghe (da 24 ore in poi), alta idratazione degli impasti (circa 80%), mix di farine meno calorico di una normale farina per Pizza, utilizzo della farina di soia, utilizzo di pasta madre, nessun utilizzo di grasso animale nell’impasto e basso uso di olio.

La friabilità, la digeribilità e la fragranza della Pinsa contraddistinguono il prodotto da tutti gli altri. Ne deriverà un prodotto croccante fuori e morbido dentro. La morbidezza all’interno viene mantenuta proprio grazie alla farina di riso che ha il compito “fissa” l’acqua presente nell’impasto durante la cottura. Grazie alla sua leggerezza la Pinsa Romana è particolarmente adatta a condimenti alternativi che possono sposarsi alla perfezione con questo impasto.

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Colomba – il dolce della tradizione pasquale e la sua storia

Abbiamo passato anni a dire che la colomba è la sorella sfigata del panettone. No signori: non è così. Madama colomba ha una storia di tutto rispetto, a partire dal volatile da cui prende il nome, molto presente nell’antichità e nelle comuni radici culturali indoeuropee. Andiamo quindi a tracciare una storia della colomba di Pasqua che si propone di spiegare la simbologia, le leggende e la verità storica a nostra disposizione.

La colomba nella mitologia

Partiamo da un dato incontrovertibile: i volatili di diverso tipo sono da sempre ritenuti in qualche modo messaggeri e divinità da varie culture del mondo. Il mondo greco prima e quello romano poi attribuivano ai volatili delle funzioni ctonie e psicopompe: significa che avevano la possibilità di comunicare con l’aldilà e di accompagnare i morti nell’Oltretomba.

L’etimologia di “colomba” risale probabilmente dal greco antico, kolimbas-a, che sarebbe una sorta di uccello acquatico; da qui, deriverebbe anche la parola comignolo, perché sogliono nidificare proprio sulle cime dei camini.

Concentriamoci ora sull’origine del mito, per forza di cose attraverso la tradizione mediorientale. Per gli antichi Assiri la colomba ha l’incarico di portare messaggi, ma per trovare più apparizioni di questo volatile è necessario pensare in particolare alle al racconto ebraico. La colomba è infatti presente sin dalle prime pagine della Bibbia: è una colomba a portare a Noè un rametto d’ulivo, a simboleggiare la fine del Diluvio Universale. Altro personaggio della Bibbia legato alla colomba è senza dubbio il profeta Giona, il cui nome nell’antico ebraico significa proprio “colomba”.

La colomba per gli Ebrei è la raffigurazione dello Spirito Santo, inteso come pensiero e non come persona fisica (come invece accade per il Cristianesimo). Appare continuamente come portatrice di messaggi di vario tipo nelle raffigurazioni sacre, compresi arazzi e codici miniati. San Paolino di Nola, nel V secolo, commissionò una Trinità sormontata da una colomba.

A questo punto è facile capire che il succitato pennuto sia portatore di notizie, perlopiù benevole; altrettanto semplice è il suo collegamento con la Pasqua, festa di Resurrezione.

Una colomba, tre leggende

Ora mettiamo da parte il campo simbolico ed addentriamoci più nella leggenda del pennuto lievitato. Come avevamo anticipato parlando di differenze tra panettone e colomba, la nostra beneamata possiede – tal quale al fratello natalizio – una serie di leggende a dire il vero… tutte molto simili tra di loro.

Tre, nello specifico, che concordano su un punto: siamo nell’epoca dei Longobardi, quindi nell’attuale Lombardia.

La prima leggenda ci dice che durante l’assedio di Pavia il re longobardo Alboino (siamo circa a metà del VI secolo d.C. ) si vide offrire un pane dolce a forma di colomba, come richiesta di tregua e pace.

La terza versione si riferisce alla Battaglia di Legnano, (1176), con la vittoria dei Comuni lombardi contro l’invasore Federico Barbarossa. Si narra che furono viste delle colombe bianche posarsi sopra le insegne dei lombardi; il condottiero che le vide diede ordine di preparare pani a forma di colomba per infondere coraggio ai suoi cavalieri.

Sembra abbastanza chiaro che la diffusione di pani pasquali – probabilmente coevi o addirittura discendenti del panettone – era una cosa abbastanza comune. In particolare nel Nord Italia, ma non mancavano versioni di dolci pasquali diffuse in tutta la penisola.

La verità storica della colomba

Così come è stato per il panettone, la fuoriuscita dai confini lombardi la si deve alla produzione su larga scala di questo bene, che avvenne per opera dell’azienda Motta; in particolare, dobbiamo l’invenzione vera e propria della colomba “industriale” ad un pubblicitario noto, Dino Villani. Difficile definire chi fosse Dino Villani: pubblicitario, artista, pittore, incisore, critico d’arte. Fu tra i primi ad utilizzare tecniche integrate di comunicazione, con risultati palesemente efficaci e che perdurano ancora oggi.

Era già riuscito nell’opera di diffondere il panettone a livello nazionale, proponendo di premiare i vincitori del Giro d’Italia con un lievitato da ben dodici chili. L’evento sportivo era seguitissimo, imperdibile per tutti gli italiani: anno dopo anno, dal 1934, sortì l’effetto desiderato. L’azienda di Angelo Mottaprese il dominio della scena nazionale del panettone.

Per quanto riguarda la colomba, Dino Villani fece una semplice ma efficace pensata: riutilizzare i macchinari e molti tra gli ingredienti già utilizzati per i panettoni natalizi per produrre fino alla fine della Pasqua.

Di fatto l’eclettico Villano aveva applicato quello che oggi è un concetto del marketing comune nell’industria alimentare: la line extension, ovvero l’ampliamento della linea di prodotto volto a coprire più fasce di mercato possibili, estendendo letteralmente il ventaglio dell’offerta a fronte di una domanda variabile, anche in base alla stagione.

Alla Motta subentrò, in un secondo momento (a partire dal 1944), la Vergani, azienda produttrice di colombe ancora oggi salda sul mercato dei lievitati da supermercato, nella fascia medio-alta.

 

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