Il cibo è uno degli elementi di vita di cui si discorre maggiormente in letteratura, non importa quale sia il genere dell’opera; descrizioni di pietanze e delle loro elaborate ricette sono racchiuse tra le pagine scritte da alcuni dei più celebri autori. In particolare, le fiabe e i libri fantasy sono costellati da cibi ricorrenti, come le zuppe o gli stufati, o addirittura simbolici, come frutti succosi. Sorge spontaneo chiedersi: perché il cibo ricopre un ruolo tanto importante nelle opere di fantasia?

Sotto, illustrazione del 1916 al poema di Christina Rossetti “Goblin Market” disegnata da Winifred Knights:

Per trovare risposta a questa domanda, occorre tornare indietro nel tempo, fino ai miti delle antiche civiltà. Questi erano colmi di frutti, ortaggi o carni che, se ingeriti, avrebbero sortito benefici o malefici. Ad esempio, quando la dea greca Persefone mangia sei semi di melagrana, condanna sé stessa a trascorrere sei mesi di ogni anno all’inferno con il dio della morte, Ade.

Sotto, opera di Dante Gabriel Rossetti, Ottava versione della Persefone (1882), galleria d’arte di Birmingham (Immagine di Pubblico Dominio)

Ricercando invece nella tradizione letteraria celtica, si trovano cibi “incantati” offerti agli umani, per trarli in inganno, da fate, gnomi o altri esseri ultraterreni.

Ad esempio, composta nel 1859 e pubblicata nel 1862 nella raccolta “Goblin Market and Other Poems” , la poetessa Christina Rossetti, scrisse “Goblin Market”, una poesia a proposito di due sorelle e di goblin; a una delle due sorelle venne venduto (pagato con una ciocca di capelli e una lacrima) un frutto che, una volta assaggiato, la rese folle di desiderio per poterne avere ancora. Non potendone più mangiare, essa si ritrova a patire grandi sofferenze. L’altra sorella torna allora dai goblin per poter avere ancora un frutto, sperando di salvarla dalla malattia. Ma le perfide creature la attaccano, cercando di fare ingerire il frutto diabolico anche a lei, la quale però riesce ad avere la meglio. Con le vesti e il viso ancora intrisi di succo del frutto, la giovane torna a casa dalla sorella malata, che la mattina dopo miracolosamente riprende vigore, e viene liberata dal maleficio dei goblin.

Sotto, copertina di “Goblin Market and other poems” di Christina Rossetti, 1882:

Nel 1819, il famoso poeta romantico inglese John Keats scrisse la poesia “La Belle Dame Sans Merci” (titolo originario di un poemetto del XV secolo di Alain Chartier), la quale racconta di un giovane cavaliere “stregato” da una giovane figlia di una fata, che si dice innamorata di lui. Condotto dalla fanciulla nella “Grotta degli Elfi”, gli vengono offerti “roots of relish sweet, And honey wild, and manna-dew” (radici dal gusto dolce, miele selvatico e rugiada di manna). Dopo essere stato nutrito e ammaliato, il cavaliere si sveglia dal sonno in cui era sprofondato e durante il quale era stato avvertito da figure spettrali che “la bella dama è senza pietà”. Ella è infatti svanita, lasciandolo abbandonato e pieno d’amore per lei.

Sotto, John William Waterhouse – La Belle Dame sans Merci (1893) 

Un altro autore dedito alla “tradizione” di includere pietanze particolari nei racconti di fantasia fu J.R.R. Tolkien. L’importanza che egli diede al cibo nelle sue opere può ricercarsi nell’esperienza dolorosa e nella fame da lui patite durante la Prima Guerra mondiale. Ne “Il Signore degli Anelli”, Tolkien fornisce una descrizione del villaggio degli Hobbit paradisiaca; una terra non contaminata da venti di guerra e da creature orripilanti, rigogliosa di fiori e ricolma di cibo, perennemente in festa.

Una scena in particolare mette in luce il ruolo fondamentale di conforto che può assumere il cibo nella più disperata delle situazioni; Frodo e Sam, accompagnati da Gollum, si trovano nelle Terre di Mordor, vicini a raggiungere il Monte Fato. Durante una pausa, Sam si preoccupa di insaporire uno stufato di coniglio con alcune foglie di salvia, dimenticandosi per qualche istante del contesto in cui si trova e fuggendo col pensiero ai giorni nella Contea. L’avvenimento potrebbe forse portare alla luce un ricordo dell’autore, o una scena da Tolkien realmente vissuta durante la Grande Guerra.

Sotto, il celebre Lembas, cibo elfico descritto in “Il Signore degli Anelli” 

Anche al principio de “Lo Hobbit” viene sottolineata l’incontenibile fame dei nani, provenienti da una terra in guerra, al loro arrivo in casa dello hobbit Bilbo Baggins; mentre lo stregone Gandalf domanda solamente un bicchiere di vino, i nani si rifocillano al punto da svuotare la dispensa del povero Bilbo, che tuttavia non nega loro il vitto.

Grazie al suo stile, perseguito da molti autori di fantasy ancora oggi, Tolkien dettò indirettamente le regole per costruire ottime scene, partendo dalla descrizione delle pietanze.

Influenzato dalla fame subita durante la Seconda Guerra mondiale, epoca dei razionamenti di cibo in Inghilterra, fu lo scrittore Brian Jaques. Per questo motivo, in infanzia egli sviluppò una fervida immaginazione riguardo al cibo; nella sua serie di libri per bambini “La saga di Redwall”, descrive minuziosamente di come animali antropomorfi preparassero ogni sorta di cibarie; contenute in una sola pagina dei suoi racconti, possono trovarsi le descrizioni di un pesce gigante, dodici tipi di insalate, dieci bevande, otto tipi di pane e tante creme: “panna fresca, crema dolce, panna montata, crema per guarnire, crema pasticcera”.

Sotto, Redwall Cookbook di Brian Jacques (Libro di cucina di Redwall)

Le splendide descrizioni sono frutto anche della scelta di destinare i suoi racconti ai bambini non vedenti della Royal Wavetree School.

Entrambi, Tolkien e Jacques, erano interessati a coinvolgere il lettore nelle proprie storie fino a farlo immedesimare completamente, inserirendo quasi sempre elementi descrittivi, canzoni e illustrazioni. Così facendo, udito, vista e gusto sarebbero stati stimolati al punto da catapultare i lettori negli universi di loro invenzione.

Sebbene si possa pensare che alcuni tipi di fiaba o di romanzo fantasy siano scritti con funzioni pedagogiche, con tutta una serie di elementi terrificanti o addirittura con la presenza costante della morte, essi presentano anche elementi volti a stupire e a deliziare il lettore. E’ il caso della saga fantasy di G. R. R. Martin “Game of Thrones”, conosciuta per la sua cruda rappresentazione della morte e delle faide tra regni lontani, ma anche per la costante presenza del cibo. Famose sono le deliziose tortine al limone, dolce prediletto di Sansa Stark, una delle protagoniste della saga, o il pane cucinato dal cuoco Frittella, amico della sorella di Sansa, Arya Stark.

Sotto, Tortine al limone ricreate grazie alle descrizioni presenti nei libri della saga Game Of Thrones – 

Sotto, l’attore Ben Hawkey (interprete di Frittella, in Game of Thrones) ha recentemente avviato una pasticceria, “You Know Nothing John Dough” dove produce biscotti a forma di metalupo, animale presente nella saga fantasy:

In risposta alla nostra domanda, appare chiaro come il cibo sia un elemento prediletto in letteratura (specialmente in quella di fantasia); esso rappresenta un richiamo a sensazioni reali e piacevoli, immerso invece in regni di fantasia, talvolta tutt’altro che incantevoli ma colmi di battaglie e morte.

Tortine al limone, creme deliziose, stufati e dolci frutti, altro non sono che uno spiraglio di quotidiana realtà in universi fuori da ogni logica, di cui sarebbe altrimenti difficile immaginarsi scenari, colori e profumi. E forse proprio il cibo, in quanto evocatore di mille ricordi e sensazioni, è il vero incantesimo.